
Titolo dell’opera: Venere, Marte e una ronda di amorini
Autore: Carlo Saraceni
Datazione: 1605-1610
Collocazione: San Paolo, Museum de Arte
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su rame (39 x 55 cm)
Soggetto principale: amori di Marte e Venere
Soggetto secondario:
Personaggi: Marte, Venere, puttini
Attributi: scudo, corazza, asta (Marte)
Contesto: paesaggio boschivo
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://cgfa.sunsite.dk/s/p-saracen2.htm
Bibliografia: Richardson E.P., Ranieri, Saraceni and the meaning of Caravaggio’s influence, in “The Art Quarterly”, V, 1942, n. 3, pp. 233-241; Ivanoff N., Intorno al tardo Saraceni, in “Arte Veneta”, XVIII, 1964, pp. 177-180; Ottani Cavina A, Carlo Saraceni, Mario Espagnol, Milano 1968
Annotazioni redazionali: Questo dipintoè stato attribuito a Saraceni da Longhi e considerato eseguito nel quinquennio 1605-1610. Tale datazione è confermata anche dalla Ottani Cavina. Nel dipinto sono raffigurati Marte e Venere in un loro incontro, inseriti in un ambiente naturale, in cui si sente l’influenza del testo letterario di Reposiano (Vulfc29), che introduce la loro storia d’amore in un “bosco caro a Marte”, su un prato fiorito, ombreggiato da cespugli. Sulla sinistra la dea, seduta sulle gambe dell’amante, si abbraccia a lui, poggiandosi sulla spalla. È nuda, con la mano destra regge il velo, alzandolo sul capo, priva dei gioielli che, di consueto, la adornano. Il dio della guerra è rappresentato del tutto privo di armi, nudo, giovane, senza barba, mentre è seduto sul bordo di una rupe, in atteggiamento rilassato e rivolto verso l’amante. Dall’alto della roccia, scende una tenda rossa, che, a mo’ di cortina di un baldacchino, incornicia i due, facendo riferimento al loro amplesso. A terra, in primo piano, ormai del tutto inutili, sono accatastate le armi di Marte, che questi si è tolto nel momento del suo incontro con la dea. Si osservano, in particolare, lo scudo, la corazza e l’asta, opera di grande abilità di Vulcano, proprio colui che è tradito dalla moglie. Intorno a loro una schiera di puttini si diverte, contornando la coppia, nell’episodio narrato da Stazio (Vulfc21) e Poliziano (Vulfr02). Due, a sinistra, giocano con l’elmo, troppo grande per loro, un altro sta seduto vicino a Marte e suona il flauto, altri ancora, al suono della musica del loro compagno, ballano in un girotondo, in cui si intrecciano le gambe e le braccia. Infine altri due, a destra, sembrano lottare amichevolmente, in una composizione iconografica che ricorda Eros e Anteros, anche quest’ultimo nato dal loro amore, come detto da Cicerone (Vulfc11). L’episodio, come avviene per molti dipinti dello stesso soggetto a partire dal Quattrocento, si svolge all’aperto, nel riparo della quinta formata dal cespuglio e dalla cortina, mentre a lato e sullo sfondo si apre lo scorcio di un paesaggio montano, lungo il quale scorre un ruscello saltellante, che ricorda le “limpide sorgenti” citate da Reposiano. Carlo Saraceni ha proposto la narrazione dell’amore di Marte e Venere anche in un altro dipinto, relativa al bagno di queste due divinità, conservato in una collezione privata, in cui adotta un’iconografia utilizzata precedentemente da Giulio Romano nel palazzo Tè (Cfr. scheda opera 31), e, prima ancora, dalla scuola raffaellesca a palazzo Madama, quale naturale amplificazione alla favola di Amore e Psiche.
Giulia Masone