61: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Vulcano lega con la sua rete Marte e Venere adulteri

Autore: Antonio Tempesta

Datazione: 1606

Collocazione: Metamorphoseon sive Transformatioum Ovidianarum Libri quindecim Aeneis formis ab Antonio Tempesta Fiorentino incisi, et in pectorum antiquitatisque studiosorum gratiam nunc primum exquisitissimis sumptibus a Petro de Iode anteuerpiano in lucem editi, Anversa

Committenza:

Tipologia: incisione

Tecnica: xilografia (10,5 x 11,8 cm)

Soggetto principale: Marte e Venere intrappolati nella rete di Vulcano

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere, Vulcano, Sole

Attributi: rete (Vulcano); corazza, elmo, scudo, lancia (Marte); raggi del sole (Sole)

Contesto: camera da letto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Alpers S., The Decoration of Torre de la Parada, Arcade, Brussels 1971, IX; Buffa A., The Illustrated Bartsch. Italian Masters of the sixteenth century, vol. 36, formerly 17, part. 3, Abaris books, New York 1983

Annotazioni redazionali: L’immagine raffigura il mito relativo all’adulterio di Marte e Venere ad opera di Antonio Tempesta (Cfr. scheda opera 60). L’opera è composta di sole immagini e l’autore, attraverso di esse, ha voluto rappresentare i miti narrati nelle Metamorfosi di Ovidio. L’incisione è occupata, per la quasi sua totalità, dal letto su cui si consuma l’adulterio, ad identificare quanto questo aspetto, cioè la profanazione dell’abitazione coniugale tanto curata da Vulcano, e ormai disonorata, abbia influito nella sua rivalsa piena di rabbia e sul suo dolore, come delineato da Omero (Vulfc01) e da Quinto di Smirne (Vulfc30).Sulle coltri disfatte, che cadono fino a terra, simbolo dell’amplesso appena avvenuto, si trovano i corpi dei due amanti, ancora stretti nell’abbraccio, secondo quanto riferito nelle fonti letterarie greche da Omero, ripreso poi da Eschilo (Vulfc05), Luciano (Vulfc25), Quinto di Smirne (Vulfc30) e Nonno di Panopoli (Vulfc32), e nelle latine da Ovidio (Vulfc14, v. 580) ed Igino (Vulfc19).Il corpo di Venere appare rivolto verso Marte, steso accanto a lei, ambedue nudi. Essi sono stati appena sorpresi, per cui Marte gira il capo stupito, mentre Venere rivolge lo sguardo verso il marito. Dall’alto del letto scende una cortina, che però, essendo stata lasciata aperta, permette la vista di quanto sta avvenendo e l’ha permessa soprattutto al Sole, che, come dice Bonsignori, “entra in ogni più piccola apertura” (Vulfm19). In primo piano, sulla sinistra, in terra, giacciono le armi abbandonate da Marte, ormai del tutto inutilizzate, in quanto il dio della guerra è stato vinto dalla dea dell’amore, come narrato da Lucrezio (Vulfc10) e da Ovidio (Vulfc14, vv. 563-566), quando dice che Marte,da guerriero tremendo, si era fatto amante”, in un concetto ripreso poi in epoca rinascimentale da Marsilio Ficino (Vulfr01). La posizione orizzontale dei due corpi nudi abbracciati, rende le figure dei due amanti quasi deboli ed indifese di fronte all’irruenza di Vulcano, che avanza, tendendo la rete, da lui appositamente fabbricata per imprigionarli e ridicolizzarli davanti a tutti. L’iconografia qui presentata, che vede Vulcano scagliato verso il letto, con in manola rete, differisce dalle fonti letterarie, che parlano di una trappola che imprigiona i due amanti nel letto, quando si trovano sopra. In questa raffigurazione, come già in quella di Salomon (Cfr. scheda opera 49), l’incisore tende ad accentuare il desiderio di vendetta del marito tradito, proponendo in parte la versione di Reposiano (Vulfc29), che parla di lui sottolineando che “lega insieme i due amanti”. Non appare nelle fattezze di un dio storpio, come di consueto sottolineato nelle fonti sia greche sia latine e ripreso anche poi da Bercorio (Vulfm15), ma assume un aspetto possente e muscoloso, quasi a dimostrare come la rabbia e il desiderio di rivalsa possano provocare una forza straordinaria anche in chi è più debole. Sulla parte destra dell’incisione, ad indicare l’inutilità della cortina posta sul letto, si vedono i raggi del Sole, che entrano dalla finestra posta in alto, per evidenziare quanto sia impossibile nascondere un adulterio. Questi raggi contornano la figura di Vulcano, che proprio dal Sole, che “per primoha visto tutto, come espresso con precisione da Ovidio, ha avuto l’informazione di quanto avveniva nella sua casa. Dalla finestra si sporgono molte divinità, difficilmente identificabili, che parlottano fra di loro ed indicano con le mani i due amanti puniti e derisi. Sono divinità sia maschili sia femminili, secondo la tradizione ovidiana, ripresa poi da Igino, che non ne indica né il nome, né il sesso, ma ne parla in generale, diversamente da Omero che, come poi farà anche Boccaccio (Vulfm16, IX), dice che le dee sono rimaste a casa per pudore.

Giulia Masone