
Titolo dell’opera: Marte, Venere e Vulcano
Autore: Enea Vico
Datazione: 1543
Collocazione: Berlino, Staatliche Museen, Gabinetto delle incisioni
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica: bulino (22,7 x 34 cm)
Soggetto principale: amori di Marte e Venere
Soggetto secondario: Vulcano forgia le armi
Personaggi: Venere, Marte, Vulcano
Attributi: corazza, elmo (Marte); incudine, martello (Vulcano)
Contesto: camera da letto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_49.97.351.jpg
Bibliografia: Dunand L. – Lemarchand P., Les compositions de Jules Romain intitulées Les amours des dieux, gravées par Marc-Anotoine Raimondi, Lemarchand, Lausanne 1977, vol. I; Freedberg D., Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Einaudi, Torino 1993; Bodon G., Enea Vico fra memoria e miraggio della classicità, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 1997; Petermann K., Enea Vico, in Venus. Bilder einer Göttin, 2001, pp. 280-271
Annotazioni redazionali: L’incisione, che rappresenta la storia dell’adulterio di Marte e Venere, è molto interessante, anche per osservare come in questo genere di realizzazioni, più che nelle opere pittoriche, avvenissero episodi tesi a censurare la raffigurazione proposta. La stampa in genere, infatti, dal momento in cui è stata inventata, ha offerto immagini riproducibili, che potevano essere diffuse ampiamente, e finire nelle mani di chiunque, diversamente dalle opere d’arte consuete, che si rivolgevano ad un pubblico più ristretto e che, comunque, non permettevano un contatto veramente ravvicinato, anche se poste in una collezione accessibile o in un museo. Da ciò è nata la spinta a censurare la stampa o la lastra. Emblematico è proprio il caso di quest’incisione in cui la sistemazione, in linea con i dettami della censura, avviene in modo sempre più netto. Nella prima stampa, infatti si vedono gli amanti nudi, uniti in un abbraccio appassionato, con Marte incuneato tra le gambe sollevate di Venere; nella seconda tutta questa zona è cancellata in modo palese, con un intervento diretto sull’immagine, nella terza, infine si è lavorato direttamente sulla lastra, lasciando l’immagine della sola Venere, con il capo reclinato nel sonno. Marte manca qui del tutto. La gamba destra della dea non è più sollevata, ma abbassata, molto più pudicamente, e coperta da un drappo assai ampio. Nell’incisone non toccata dalla censura, la scena è ambientata in un interno, nel quale si vede, anche nei particolari, la cura messa da Vulcano per preparare la camera e il letto nuziale. Sulla sinistra, infatti, sotto la finestra, si trova una panca, molto decorata, con rilievi vegetali. Davanti a questa, in primo piano, è poggiato, a terra, un bacile ed un’anfora di metallo lavorato. Un alto tappeto corre lungo la parete della finestra e prosegue lungo il letto, la cui base presenta teste di animali, alternate con tralci di piante. Sul tappeto si trovano anche le pantofole di Venere, che iconograficamente indicano la lussuria. Sul letto, dalle ricche coltri, che scendono in disordine fino a terra, giacciono Venere e Marte, uniti in un abbraccio appassionato, distesi proprio su quel letto nuziale, che con il loro comportamento hanno ormai disonorato, come risulta dalle fonti letterarie, in particolare in Omero (Vulfc01, v. 270) e in Quinto di Smirne (Vulfc30). La dea è nuda, con i capelli raccolti intorno alla nuca, protesa verso l’amante, con le gambe piegate e intrecciate con le sue,in un’immagine che sottolinea le parole di Bonsignori, “a cavallo abbracciati” (Vulfm19). Questi, con l’elmo in testa, ha il volto ripiegato verso Venere, con uno sguardo intenso, del tutto preso dall’amore verso la dea, per cui, da “guerriero tremendo si era fatto amante”,come riferito da Ovidio (Vulfc14, vv. 563-566) ed anche da Lucrezio (Vulfc10), che vede nell’amore di queste due divinità la possibilità per i mortali di vivere con una “tranquilla pace, poiché lecrudeli azioni guerresche di Marte” sono placate dal suo amore per Venere. Dalla sommità del letto scende il drappeggio del baldacchino, che non impedisce, però, di nascondere i due amanti. Essi, anzi, sono pienamente colpiti dalla luce del sole, che entra dalla finestra, inserendo nell’immagine anche il rimando a quel dio, che per primo ha scoperto il misfatto e l’ha svelato a Vulcano,come narrato dalle fonti letterarie, che presentano l’episodio dell’adulterio di Marte e Venere,in quanto, come dice Bonsignori (Vulfm19), il Sole “entra per ogni più piccola apertura”,arricchendo le parole di Ovidio (Vulfc15, v. 170), che aveva sottolineato “vede tutto per primo”. Tale scena occupa la parte sinistra della stampa, mentre nella destra è rappresentato Vulcano, che lavora sull’incudine, sempre nello stesso interno, in un’iconografia non consueta, che lo vede lavorare nella fucina, posta nella stessa camera nuziale, per accentuare la rabbia da lui provata. È seduto di spalle, apparentemente indifferente a quanto sta avvenendo dietro di lui, ma molti elementi rendono inquieta la narrazione dell’episodio. A terra, infatti, vicino a lui, ci sono le armi che Marte si è tolto nel momento del suo incontro con Venere, come solitamente rappresentato. Queste fanno da elemento collegante dei due episodi narrati. Sono, infatti, opera del dio fabbro, come evidenziato anche dalla loro fattura molto ricca e lavorata, apprestate per colui che avrebbe operato l’adulterio con la moglie, e da questi dismesse proprio per attuare questo misfatto. Si vedono la corazza, l’elmo e l’arco con la freccia,opera di grande maestria, che sottolinea sia l’abilità di Vulcano, come detto in Ovidio, sia la forza del dio della guerra, perché, se le armi sono destinate ad andare in battaglia, allora sembrano splendide, come detto da Boccaccio, che riferisce le parole di Stazio (Vulfm16, IX, III). Vulcano è rappresentato robusto, vestito con l’abito da lavoro e il pileoin testa, intento sull’incudine a fabbricare alcuni oggetti piuttosto piccoli, che fanno naturalmente pensare alle maglie della rete che vuole preparare per legare i due amanti,per porre in atto la sua vendetta, presentata nei testi letterari fin dai tempi di Omero. La panca su cui lavora è appoggiata contro il camino, nel quale arde il fuoco necessario per forgiare i metalli.
Giulia Masone