37: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Vulcano, Marte e Venere

Autore: Giovanni da Udine

Datazione: 1536

Collocazione: Roma, Castel Sant’Angelo, Stufetta di Clemento VII

Committenza: Clemente VII

Tipologia: pittura parietale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Vulcano scopre l’adulterio di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere, Vulcano

Attributi: scudo, clamide, elmo (Marte); specchio (Venere); rete (Vulcano)

Contesto: camera da letto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Gaudioso E., I lavori farnesiani a Castel Sant’Angelo: precisazioni ed ipotesi, in “Bollettino d’arte”, LXI, 1976, 1-2, pp. 21-42; Edwards N.E., The Renaissance “stufetta” in Rome: the circle of Raphael and the recreation of the antique, Ann Arbir, Michigan 1983; Contardi B. – Lilius H., a cura di, Quando gli dei si spogliano. Il bagno di Clemente VII a Castel Sant’Angelo e le altre stufe romane del primo Cinquecento, catalogo mostra (Roma, Castel Sant’Angelo, 1984), Romana, Roma 1984; Contardi B., Il bagno di Clemente VII in Castel Sant’Angelo, in Contardi – Lilius, 1984, pp. 68-69; Saari L., Lettura della decorazione pittorica del bagno di Clemente VII, in Contardi - Lilius, 1984, pp. 72-95; Dacos N. – Furlan C., Giovanni da Udine, 1487-1561, Casamassima, Udine 1987; De Jong J., Ovidian fantasies. Pictorial variation on the story of Mars, Venus and Vulcan, in Die Rezeption der “Metamorphosen” des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, hrsg. von den H. Walter H. Jürgen Horn, Mann, Berlin 1995; De Romanis A., Roma. Castel Sant’Angelo, in C. Cieri Via, L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 265-269

Annotazioni redazionali: La raffigurazione fa parte della serie principale degli affreschi del bagno di Clemente VII, di quella parte, cioè, relativa ai quattro scomparti rettangolari con rappresentazioni mitologiche, collocati sopra le nicchie, nella zona superiore delle pareti laterali. Promotore della decorazione del piccolo ambiente fu proprio Clemente VII, come attesta il suo stemma, collocato al centro della volta, e l’iscrizione sulla porta d’accesso. Di questo bagno vi è già una descrizione nel 1536, quando Fichard ne parlò con un tono ironico, in relazione alle figure piuttosto sconvenienti, poste nel bagno di un papa. L’ambiente ha i suoi precedenti non solo nella stufetta del cardinal Bibbiena, nei Palazzi Vaticani, ma anche in altri bagni romani del primo Cinquecento, appartenenti ad alcuni personaggi progressisti del tempo. L’affresco raffigura Marte, Venere e Vulcano, secondo quanto narrato nelle fonti letterarie a partire da Omero (Vulfc01), ma in una libera interpretazione del testo. Infatti la scena, divisa in tre parti, presenta una delle prime fasi della storia, quando si stanno verificando i presupposti della vicenda. Nella zona mediana si vede Venere, in una stanza, seduta su uno sgabello accanto al letto, che è coperta solo sulle gambe da un velo. In mano tiene uno specchio, con il quale si acconcia i capelli. Dietro di lei, il resto della stanza è occupato da un letto, le cui coltri disfatte rimandano al concetto del letto disonorato, come detto da Omero. Questo, come anche lo specchio, simbolo della Lussuria, o della Vanità femminile e della donna seduttrice, possono essere interpretati come attributi iconografici di Venere. Nella sezione a sinistra, è raffigurato Vulcano, la cui sorveglianza, come dice Virgilio (Vulfc12), è stata del tutto inutile, vecchio e barbuto, nudo, piegato sulle gambe malferme, come mostrato dalle fonti letterarie, fin da Omero, e ridicolizzato da Luciano (Vulfc25), che avanza verso la stanza della dea, pronto ad entrare dalla porta aperta, che si vede sulla parete sinistra, per sorprendere i due amanti. Egli porta in mano una fiaccola accesa, simbolo dell’imeneo, che rimanda al suo matrimonio con la dea, secondo la tradizione omerica, sulla spalla sinistra la rete e nella mano corrispondente un maglio, indice del suo lavoro di fabbro. Ben diversa è sul piano fisico, la figura del giovane Marte, che avanza prudente dall’altra parte, guardandosi intorno, con una clamide sulle spalle, l’elmo con il cimiero in testa e uno scudo nella mano sinistra, preparandosi per entrare, come sembra probabile, in considerazione della posizione del piede destro, girato verso l’interno della stanza di Venere, o che, secondo un’altra interpretazione meno convincente, anche in relazione al suo atteggiamento sicuro e disinvolto, si  affretta ad uscire. Tutti questi elementi lasciano presagire quello che sarà il seguito della vicenda, quando, cioè, Vulcano riuscirà a sorprendere i due amanti in flagrante adulterio e li legherà con la rete d’oro, chiamando poi a testimoni, molto divertiti, gli altri dei. In tal modo l’affresco aderisce alla tematica spiritosa, e leggermente erotica, di tutto il piccolo ambiente. Marte e Venere, con la loro storia adulterina, sono naturalmente il presupposto per le altre vicende qui narrate, in quanto, poi, da loro, nascerà Amore, che è il personaggio centrale delle altre storie rappresentate. L’elemento ironico di tutta questa rappresentazione deriva anche dal fatto che lo spettatore può cogliere simultaneamente l’azione dei tre personaggi, che invece fra di loro non possono vedersi, perché separati dalle pareti. Nello stesso tempo può osservare quanto i due personaggi maschili siano molto eccitatima per motivi ben diversi. Ciò permette di raggiungere quasi un effetto di commedia, in cui, chi guarda la scena, è perfettamente informato di quanto sta succedendo agli attori, che invece ne sono ignari. Pur partendo, quindi, dal racconto di Ovidio, Giovanni da Udine dimostra di seguire una variante del tutto personale, rispondente alla sua esigenza di ironia.

Giulia Masone