34: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera:

Autore: Maestro Andreoli

Datazione: 1534

Collocazione: Ermitage, Museo statale

Committenza:

Tipologia: maiolica

Tecnica: piatto istoriato (diam. 29,7 cm)

Soggetto principale: Marte e Venere intrappolati nella rete di Vulcano

Soggetto secondario: Colloquio fra Vulcano e Nettuno

Personaggi: Marte, Venere, Amore, Nettuno, Diana, Giove, Nettuno (Marte e Venere intrappolati nella rete di Vulcano); Vulcano, Nettuno (Colloquio fra Vulcano e Nettuno)

Attributi: elmo (Marte); diadema (Venere); rete, incudine, martello (Vulcano);arco, faretra (Amore); tridente (Nettuno); mezzaluna (Diana); caduceo e il petaso (Mercurio); fulmine (Giove); falce (Nettuno)

Contesto: camera da letto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Darcel A. – Basilewsky A., Collection Basilewsky. Catalogue raisonne, Morel et Cie, Paris 1874; Breban P., Livret-guide du visiteur à l’Exposition historique du Trocadero, Collection des Guides du visiteur, Paris 1878; Ivanova E., a cura di, Il secolo d’oro della maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo statale dell’Ermitage, catalogo mostra (Faenza, Museo Internazionale delle ceramiche di Faenza, 2003), Electa, Milano 2003

Annotazioni redazionali: La coppa, conservata ad Urbino, è stata realizzata a Gubbio, come risulta dalla scritta posta sul retro. Sul nome dell’esecutore, però, ci sono interpretazione contrastanti da parte dei critici, in quanto Darcel (1874, p. 153) sosteneva che fosse opera di Xanto Avelli, mentre Michajlova (Ivanova, 2003, p. 96) l’attribuisce al Maestro del “Servizio Rovere”, sulla base dell’analogia con un piatto che fa parte di questa serie. La scena rappresenta l’episodio di Marte e Venere che, scoperti da Vulcano in flagrante adulterio, sono da lui imprigionati in una rete d’oro, così come narrato dalle fonti letterarie fin dai tempi di Omero (Vulfc01). Sulla destra, infatti, su un letto coperto da un baldacchino, le cui cortine sono state aperte, permettendo di vedere quanto succede al suo interno, giacciono Marte e Venere, legati in un abbraccio appassionato,secondo la tradizione di Ovidio (Vulfc15; v. anche Luciano, Vulfc25).La dea è nuda, così come riferiscono Ovidio e Luciano, con i capelli sciolti fermati da un diadema, ed una collana che, nell’amplesso, le cade sulle spalle. Il suo corpo, ed in particolare le gambe, sono intrecciate con quelle dell’amante, che ricambia con impeto il suo abbraccio, in una scena che sembra raffigurare le parole di Bonsignori “a cavallo abbracciati” (Vulfm19). Marte è raffigurato con l’elmo in testa. Ambedue, accortisi della rete che li imprigiona, si rivolgono l’un l’altro uno sguardo stupito, senza però riuscire a muoversi. La rete così sottile, tanto da essere invisibile, è infatti scattata, come voluto da Vulcano e narrato da Ovidio, ripreso poi da Luciano e da Nonno di Panopoli (Vulfc32), diversamente da Omero e altri autori che parlano, invece, di catene. Davanti al letto, il piccolo Amore, nato dalla loro relazione, come già evidenziato da Anacreonte (Vulfc03), ha ormai ottenuto il suo scopo e, non accortosi di quello che succede, riposa appoggiandosi ad un cassone, seduto sulla faretra e con l’arco poggiato a terra. Nella parte sinistra della coppa, si vede Vulcano, che, avendo ormai realizzato la sua vendetta, lavora nell’officina, apparentemente indifferente, ma il martello, caduto a terra, mostra il suo stato di tensione e di rabbia, che gli impedisce di lavorare il metallo, appoggiato sull’incudine. Dietro, alle sue spalle, nel camino, fiammeggia il fuoco. Accanto a lui c’è Nettuno, riconoscibile per il  tridente, che, con il braccio piegato in atteggiamento colloquiale, indica con l’indice i due amanti nel letto, chiedendo a Vulcano di liberarli e di toglierli dalla vista degli altri dei che, richiamati dallo stesso dio fabbro, che vuole rendere palese il misfatto, stanno guardando, dall’alto, con ironia quanto sta accadendo. Si assiste, in questa raffigurazione, ad un’evidente contaminazione iconografica dell’episodio, in quanto in tutte le fonti letterarie, l’incontro nella fucina si riferisce al momento in cui Vulcano parla con il Sole, che è andato a riferirgli l’adulterio della moglie. L’intervento di Nettuno è presentato, invece, dalle stesse fonti, mentre parla accanto al letto disonorato, in cui i due giacciono (Omero, Vulfc01, vv. 270-275 e Quinto di Smrne, Vulfc30). L’impostazione di Vulcano nella fucina risponde a quanto narra Ovidio, che indica il suo stupore di fronte alla notizia, tanto che “cascarono le braccia nonché il lavoro che teneva nella sua mano d’artefice”,con l’aggiunta della precisazione di Bonsignori, che arricchisce lo sdegno del dio fabbro, dicendo che gli cadde il martello, che in questa raffigurazione, infatti, si trova a terra. Sulle nuvole si riconoscono Diana, con la mezzaluna nei capelli, Mercurio con il caduceo e il petaso, Giove con il fulmine nelle mani ed infine Saturno, con la falce. L’atteggiamento degli dei esprime considerazioni diverse. Mentre, infatti, Mercurio guarda divertito la scena, come evidenziato dalle fonti, in particolare da Omero e Luciano, indicando con la mano la situazione grottesca in cui si trovano i due amanti, Diana mostra un atteggiamento più dignitoso e serio, e gli dei più anziani rifiutano di guardare in basso, osservando, con aria un po’ severa, l’atteggiamento divertito e spregiudicato di Mercurio. Sono divinità sia maschili sia femminili, secondo la tradizione ovidiana, ripresa poi da Igino, che non ne indica né il nome, né il sesso, ma ne parla in generale, diversamente da Omero che, come poi farà anche Boccaccio (Vulfm16, IX), dice che le dee sono rimaste a casa per pudore. Sullo sfondo, dietro di loro, la luce che illumina la parte superiore, e che colpisce anche i corpi dei due amanti, indica l’altro personaggio che ha avuto un coinvolgimento importante in questo episodio, cioè il Sole. Egli avendo, nel suo percorso giornaliero, visto l’adulterio “per primo”, secondo le parole di Ovidio, in quanto “entra per ogni più piccola apertura”, come aggiunto poi da Bonsignori,è andato subito a riferirlo a Vulcano, per renderglielo noto e provocarne la vendetta. L’episodio relativo agli amori di Marte e Venere, secondo la storia narrata da Omero, si ritrova in altre coppe conservate ad Urbino, realizzate sempre nel XVI secolo.

Giulia Masone