
Titolo dell’opera: Marte e Venere
Autore: Gian Giacomo Caraglio
Datazione: 1527
Collocazione: Roma, Istituto Nazionale per la Grafica
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica: bulino (21 x 13,5 cm)
Soggetto principale: amori di Marte e Venere
Soggetto secondario:
Personaggi: Marte, Venere, Amore
Attributi: elmo, lancia, corazza (Marte); specchio (Venere); freccia (Amore)
Contesto: camera da letto
Precedenti: Perin del Vaga, Marte e Venere, dalla serie di incisioni i Modi di Marcantonio Raimondi (1524)
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Le Blanc C., Manuel de l’amateur d’estampes, Vieweg, Paris 1854; Parma Armani E., Pittore Clementino in Perin del Vaga, L’Anello Mancante, Studi sul Manierismo, Sagep, Genova 1986; Dunand L. – Lemarchand P., Les compositions de Titien intitulées Les amours des dieux Gravées par Gian-Jacopo Caraglio selon les dessin préoaratoires de Rosso Fiorentino et Pierino del Vaga, Michal Slatkine, Genève, 1989, vol. II; Massari S., Giulio Bonasone, catalogo mostra (Roma, 1983), Quasar, Roma 1983, vol. I; Cirillo Archer M., The Illustrated Bartsh. Italian madters of the sixteenth century, Abaris books, New York 1995, vol. 28, Commentary, formerly vol. 15, part. 1; Talvacchia G., Taking position. On the erotic in Renaissance Culture, Princeton University, Princeton 1999; Zuffi S., a cura di, Arte e Erotismo in Il Cinquecento, Electa, Milano 2001; Aldovini L., Giulio Bonasone, in O. Casazza – R. Gennaioli, a cura di, Mythologica et erotica: arte e cultura dall'antichità al XVIII secolo, catalogo mostra (Firenze, Palazzo Pitti, 2005-2006) Sillabe, Livorno 2005, p. 172; Bodart D., Il Nudo Femminile: Eros, Mito, Allegoria in Rinascimento e Manierismo,Giunti, Prato Novembre 2005; Bull M., The Mirror of the Gods, Classical Mythology in Renaissance Art, Penguin Books, USA 2005
Annotazioni redazionali: La composizione fa parte della serie degli Amori degli dei, incisa da Gian Giacomo Caraglio per lo stampatore Baviero de’ Carocci sulla base dei disegni di Rosso Fiorentino e Perin del Vaga. La serie illustra, secondo quanto affermato da Vasari, i momenti in cui “gli Dei si trasformano per conseguire i fini de’ loro amori”, una serie di episodi, cioè, desunti dalle Metamorfosi di Ovidio, con un legame che talvolta si rivela, però, piuttosto tenue. Nonostante alcune imprecisioni nelle descrizioni fatte dal Vasari, che fanno sospettare che egli non conoscesse bene tutti gli episodi descritti, secondo alcuni critici non ci sono motivi per dubitare della veridicità di quanto da lui detto in relazione agli autori (Talvacchia, 1999, p. 134). Altri (Dunand-Lemarchan, 1989, pp. 495 e sgg.), invece, sostengono che l’inventore degli Amori degli dei sarebbe in realtà Tiziano, che, forse per timore della censura, avrebbe fornito gli abbozzi iniziali, realizzati poi da Rosso Fiorentino e Perin del Vaga, per preparare i disegni destinati ad essere incisi. In questa scena si raffigurano Marte e Venere, colti nel loro amplesso, come detto nelle fonti letterarie greche fin da Omero (Vulfc01) - si vedano anche Eschilo (Vulfc05), Luciano (Vulfc25) e Quinto di Smirne (Vulfc30) - e, nelle latine, da Ovidio(Vulfc15). Essi sono delineati, secondo l’iconografia tradizionale, con gli attributi loro consueti. Il dio della guerra è, infatti, rappresentato nudo, con l’elmo in testa e con le altre armi lasciate inutilizzate accanto al letto, a ribadire il concetto, espresso da Lucrezio (Vulfc10) e da Ovidio, nelle fonti latine, e da Marsilio Ficino (Vulfr01), nelRinascimento, secondo cui il dio della guerra è vinto dalla dea dell’amore. Con le armi gioca, in basso, tra le loro gambe, Amore, già identificato da Simonide (Vulfc04) come figlio di questo amore, steso a terra, con le ali alzate e la freccia in mano, simbolo del sentimento che lega i due. Venere, nuda, in posa lasciva, è seduta sulle gambe di Marte. Nel loro atteggiamento non c’è nulla di quel sentimento di vergogna e di verecondia, espresso nelle fonti letterarie di Ovidio, di Luciano e di Quinto di Smirne, ma appaiono sicuri nella loro intimità, senza timore di essere scoperti. Venere volge verso l’amante il capo, dai capelli ben pettinati e legati da un nastro. Lo stringe con il braccio destro, mentre con la mano sinistra regge uno specchio, che sembra ancora trattenere l’immagine frontale del viso della dea, che si è appena voltata e che è ritratta nell’istante in cui poggia le labbra su quelle del dio. L’immagine dello specchio, non corrispondente al momento reale, ma anteposta, permette di dare un’idea di dinamismo alla scena rappresentata, quasi come se cogliesse un attimo appena trascorso. I due amanti sono poggiati sul letto che Vulcano aveva preparato per le nozze con la dea e che ora, mentre il marito è al lavoro, Venere disonora con il suo adulterio, rendendone ancora più violenta l’ira, come narrato da Omero e ripreso da Ovidio e Quinto di Smirne. Il letto è pieno di connotazioni vistose, come le coltri ricche, i cuscini raffinati e il baldacchino a pieghe annodate agli angoli. Questi tessuti, che riempiono lo sfondo della scena, accentuano e mettono maggiormente in risalto la nudità dei due personaggi. Sul letto, sulla destra dell’incisione, è adagiato un cane, che guarda con espressione accigliata verso Marte e Venere e sembra mordicchiare il lenzuolo. Questo diviene la personificazione, in tale contesto fortemente ironica, della fedeltà coniugale, che, di consueto,la sua immagine rappresenta sul piano iconografico. In basso a destra compare il numero “92”. e nella lastra, posta come margine inferiore, al centro, vi è la scritta “Parla Marte con Venere”, seguito da un testo in versi, disposto su due colonne. L’incisione, per quanto riguarda la scena raffigurata, rappresenta il momento dell’adulterio, in cui non sembra apparire Vulcano. L’episodio successivo, relativo alla scoperta di questo e alla conseguente punizione, è, però, citato nei versi suddetti, visibili sotto l’immagine, che alludono chiaramente al proseguimento del racconto mitologico, e dicono che Vulcano, messo al corrente dell’adulterio da Apollo, fabbricò una rete metallica con cui catturare gli amanti e porli allo scherno degli altri dei.
Giulia Masone