28: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Marte e Venere

Autore: Jacopo Robusti, detto Palma il Vecchio

Datazione: 1500-1510 ca.

Collocazione: Brooklyn, Museum of Art

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela trasferito da tavola (19,2 x 15,9 cm)

Soggetto principale: amori di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere

Attributi: corazza, elmo (Marte)

Contesto: paesaggio boschivo

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.scholarsresource.com/images/thumbnails/192/d/dva4678.jpg

Bibliografia: Tietze H., La mostra di Giorgione e la sua cerchia, in “Arte Veneta”, I, 1947, p. 141-142; Venturi L., Pitture italiane in America, Hoepli, Milano 1931; Spahn A., Palma Vecchio, Hiersemann, Leipzig 1932; Gombosi G., Palma Vecchio, Deutsche Verlags-Anstalt, Berlin 1937; Zampetti P., Postille alla mostra di Giorgione, in “Arte Veneta”, IX, 1955, pp. 54-70; Mariacher G., Palma il vecchio, Bramante, Milano 1968; Pignatti T., Giorgione, Alfieri, Venezia 1969; Rylands P., Palma Vecchio, Cambridge University, Cambridge 1992

Annotazioni redazionali: Il dipinto, di piccole dimensioni, che raffigura l’amore di Marte e Venere, si suppone che sia stato ridotto rispetto alle sue misure originarie, soprattutto perché le due figure vi appaiono appena contenute. Si conoscono i successivi passaggi di proprietà, solamente in relazione all’epoca moderna, in quanto l’opera si trovava dapprima presso la collezione Hume (1749-1838) di Londra, identificata come Venere e Adone di Giorgione, da qui passò, in via ereditaria, in proprietà di lord Brownlow, poi fu acquistata da Agnew, sempre a Londra, successivamente da F.L. Babott di Brooklyn, infine ereditata dalla figlia di questi,signora J. MacDonald, che la donò nel 1937 al museo di Brooklyn, dove si trova tuttora. La sua attribuzione non è stata sempre ben definita nel corso del ‘900. Fu infatti esposta con il nome di Palma alla mostre di S. Francisco (1938), con quello di Giorgione a Baltimora (1942), poi ancora come Palma a Venezia (1955). L’attribuzione a quest’ultimo risale a Colin Agnew, come risulta dalla vendita del 1901, e poi a Lionello Venturi, che considerò il dipinto come una delle opere più giovanili dell’artista. Gli studiosi (Gombosi, 1937, p. 19; Zampetti, 1955, p. 202) concordano per lo più con lui, mentre altri (Spahn, 1932, p. 172; Tietze, 1947, p. 140) avvicinano il dipinto all’attività del Previtali, intorno al 1504, in un accostamento proposto precedentemente dallo stesso Venturi. Alcuni elementi, successivamente caratteristici di Palma, fanno invece propendere la critica attuale per un’attribuzione intorno al 1510. Il dipinto fu ripulito e esaminato ai raggi X da Scheldon Kech nel 1941. Due  fori di tarlo attestano che è stato trasferito da tavola di legno. La superficie risulta logorata, impedendo la lettura dei dettagli, e la figura di Marte è stata interamente ridipinta. Nonostante la probabile riduzione della tavoletta, che ha mantenuto solo i due protagonisti del mito, la lettura iconografica è immediata, in quanto presenta sulla sinistra, contro uno sfondo boscoso, Venere, in piedi, coperta da un leggero manto, che la lascia quasi del tutto nuda, mentre, cercando di coprire il corpo con un drappo, in un ultimo gesto di pudicizia, osserva con attenzione Marte. Quest’ultimo, appena giunto vicino a lei, armato, come presentato da Pausania (Vulfc27, 18, 5), ancora vestito con la corazza e tenendo in mano l’“asta vibrante”, di cui parla Anacreonte (Vulfc03),già ha cominciato a togliersi parte della sua armatura, come si evince dall’elmo poggiato a terra, vinto dall’amore per la dea, secondo la tradizione letteraria di Lucrezio (Vulfc10), in cui Venere ne placa “le crudeli azioni guerresche” e di Ovidio (Vulfc14, vv. 563-564) che ne parla come di un guerriero tremendo, che si era fatto amante. Ambedue sono in piedi e si guardano negli occhi, con una rappresentazione iconografica presente già fin dal V sec. a.C. (Cfr. scheda opera 04). Marte avvolge fra le braccia, sopra la corazza, simbolo di guerra, un velo bianco, sicuramente di Venere, indice di un primo abbraccio fra i due. L’artista ha colto, in questo dipinto, il momento immediatamente precedente a quello dell’adulterio, quando i due amanti si incontrano in un folto boschetto (Vulfc29), come deriva dagli scritti di Reposiano, che sono alla base di questa impostazione iconografica. Egli, infatti, colloca i due amanti in un bosco a loro caro, che sarebbe stato un luogo sicuro, per un amore segreto, se “solo i raggi di Febonon vi fossero penetrati. Ma l’apertura delle fronde, dietro il capo di Venere, già indica che in realtà, anche se i due amanti pensano di essere lontano da sguardi indiscreti, ciò non sarà possibile, perché da qui penetra la luce del Sole, che vede tutte le cose e può osservare anche questa situazione incresciosa e riferirla poi a Vulcano, con tutte le conseguenze che ne deriveranno.

Giulia Masone