
Titolo dell’opera: Venere e Marte nella rete di Vulcano
Autore: Giovanni Antonio Bazzi, detto Sodoma
Datazione: 1504-06
Collocazione: New York, Metropolitan Museum of Art
Committenza: Sigismondo Chigi
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (30,5 x 68,7 cm)
Soggetto principale: Marte e Venere intrappolati dalla rete
Soggetto secondario: Sole informa Vulcano dell’adulterio
Personaggi: Marte, Venere, Mercurio (Marte e Venere intrappolati dalla rete); Vulcano, Apollo-Sole (Sole informa Vulcano dell’adulterio)
Attributi: armatura, scudo (Marte); incudine, martello, rete (Vulcano); petaso (Mercurio)
Contesto: camera da letto (Marte e Venere intrappolati dalla rete); scena all’aperto (Sole informa Vulcano dell’adulterio)
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.artnet.com/Artists/LotDetailPage.aspx?lot_id=AEC6213BB78D6297
Bibliografia: Marcianò M. T. – Agostinelli Tozzi S., Il Sodoma, Tipografia ditta d’Amico, Messina 1951; Davies M., European Paintings in the Collection of the Worcester art Museum, Worcester Art Museum - The University of Massachusetts Press, Worcester - Amhert 1974; Hayum A. M., Giovanni Antonio Bazzi. Il Sodoma, Garland Publishing, New York-London 1976; Carli E., Il Sodoma, in G. Allario Caresane, a cura di, L’arte nel vercellese, Cassa di risparmio di Vercelli, Vercelli 1979, vol. VII, p. 41; Zambrano P., A New Scene by Sodoma from the Ceiling of Palazzo Chigi at Casato di Sotto, in “The Burlington Magazine”, CXXXVI, 1994, pp. 609-612; Bartalini R., Le occasioni del Sodoma. Dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Donzelli, Roma 1996
Annotazioni redazionali: Negli anni 1504-06 Sodoma ha già ottenuto una cerchia di committenza molto accreditata e di elevato livello sociale, come quella della famiglia Chigi, che gli permette di attuare opere importanti. Alcune notazioni dei Chisial Familiae Commentarii di Fabio Chigi indicano, tra i dipinti eseguiti in questo periodo, una serie di piccole tele, con soggetti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio. Esse erano inserite entro un soffitto a lacunari, costituito da un’intelaiatura lignea, nella quale si incastravano dei quadretti, posti in una camera nel Palazzo di Sigismondo Chigi a Siena. Tra questi viene citato un dipinto raffigurante “Venere e Marte nella rete di Vulcano” ora al Metropolitan Museum of Art di New York, già nella collezione Greitzer. Il critico Henniker Heaton, come anche la Acidini, pone la data dell’opera tra il 1505 e il 1508, tesi sostenuta anche da Hobart Cust, che, in particolare, colloca questi lavori in relazione al matrimonio di Sigismondo Chigi con Sulpicia, figlia di Pandolfo Petrucci, avvenuto nel 1507. Secondo Hayum (1976, pp. 22-23), invece, queste tele dovrebbe essere datate nel 1511. L’immagine raffigura i due momenti conclusivi della storia del mito di Marte e Venere, così come raccontato fin dai tempi di Omero (Vulfc01), e conosciuto nel Rinascimento attraverso l’opera di Ovidio (Vulfc15). Sulla sinistra, infatti, appare il Sole, riconoscibile per la corona di raggi nei capelli. Egli, che ha già scoperto, nel suo passaggio diurno nel cielo, l’adulterio dei due, si affretta a riferirlo a Vulcano. È, infatti, in piedi di fronte a lui, con un vestito a pieghe dai colori cangianti, i capelli lunghi sulle spalle e la mano destra alzata, con il dito indice teso, nell’atteggiamento di chi sta parlando. La sua figura elegante si differenzia molto da quella rozza di Vulcano, rappresentato nudo, vestito molto succintamente, con il solo mantello sulle spalle. Questi, chinato sull’incudine, intento nella lavorazione di un metallo, ha l’atteggiamento di chi si sta girando di scatto, colpito da ciò che è venuto a sapere in quel momento, e guarda intensamente il volto del Sole,secondo un’iconografia che ripropone quanto narrato da Ovidio. Questi, arricchendo la narrazione di Omero, che indica solo la denuncia fatta dal Sole, sottolinea anche che questi va nella fucina, dove si trova Vulcano. Il dio fabbro si indigna talmente tanto, che gli cadono le braccia. La sua rabbia è ulteriormente accresciuta, poi, nel sapere che l’adulterio avviene proprio nel suo letto, ormai disonorato, e ciò rende ancora più straziante il suo dolore, come ben delineato da Omero e da Quinto di Smirne (Vulfc30). Vicino a lui si intuisce la presenza di un aiutante, di cui si vede solo il profilo. La scena è posta in un ambiente aperto, illuminato dalla luce del giorno, come si vede anche dagli archi della parete di un interno, in cui si svolge la scena rappresentata sulla destra. In questa si vedono Marte e Venere, imprigionati, nel loro amplesso, dalle reti preparate da Vulcano, come narrato in tutte quelle fonti che li identificano come amanti e che evidenziano anche sia l’abilità di Vulcano nel fabbricarle, così sottile da somigliare ad una “tela di ragno, e tanto morbide e delicate che nessuno poteva sentirle”,come detto da Regio (Vulfr04), sia la sua astuzia nell’ideare la trappola che deve scattare nel momento in cui si trovano nel letto.Ambedue sono nudi, come riferito da Ovidio e Luciano (Vulfc25),coperti sulle gambe da una coltre e sono impossibilitati a sciogliersi dall’abbraccio, a causa della rete. La dea esprime timidezza e pudore, e china il capo, con gesto dolce e tenero, verso l’amante che, accanto a lei, cerca di rincuorarla. In basso, ai piedi del letto, si trovano tutte le armi che Marte si è tolto, nel momento del suo incontro con Venere, secondo l’iconografia tradizionale. Si vedono, in particolare, lo scudo e la corazza, per lui preparate proprio dal dio fabbro, quando non era ancora consapevole dell’adulterio della moglie. Dietro il letto ci sono due divinità, che guardano la scena, richiamate dallo stesso Vulcano, che vuole completare la sua vendetta ridicolizzando i due amanti, davanti a tutti. Si può identificare, in particolare, Mercurio, per il petaso, mentre l’altro, pur non presentando particolari riferimenti iconografici, potrebbe essere Apollo, sia per il tono con cui sembra commentare con Mercurio il fatto al quale si trova ad essere partecipe, sia per l’aspetto piuttosto giovane con il quale è rappresentato. Essi hanno un tono ironico, soprattutto quest’ultimo che non esita a fare apprezzamenti, secondo quanto riferito da Omero, Ovidio, e, in modo particolarmente divertente e arguto, da Luciano. La raffigurazione di sole divinità maschili riprende la tradizione omerica, che narra della presenza solo di questi, in quanto le dee, per pudore, erano rimaste nelle loro case, diversamente da Ovidio che non ne indica il nome, né il sesso, ma ne parla in generale.
Giulia Masone