21: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Venere e Marte

Autore: Botticelli

Datazione: 1483 ca.

Collocazione: Londra, National Gallery

Committenza: famiglia Vespucci

Tipologia: dipinto

Tecnica: tempera su tavola (69x173 cm.)

Soggetto principale: amori di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Venere, Marte, panischi

Attributi: elmo, armatura, lancia (Marte); conchiglia (Venere)

Contesto: paesaggio campestre

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e1/Sandro_Botticelli_079.jpg

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Annotazioni redazionali: Il dipinto, acquistato nel 1868 da Alexander Barker, fu da lui concesso in prestito, nel 1869, al South Kensington Museum, già con l’attribuzione a Botticelli. Nel 1874, nell’asta tenutasi presso Christie’s, venne acquistato dalla National Gallery di Londra, ove si trova tuttora. Prima di questa data non ci sono indicazioni e non risulta menzionata dal Vasari. È un’opera ispirata ad un tema classico, sia sul piano letterario sia figurativo, probabilmente attuata per le nozze, nel 1483, di un componente della famiglia Vespucci, da tempo in stretti rapporti e amica dei Filipepi. Ciò è stato evidenziato da Gombrich (1945), che ha visto, nell’inconsueto motivo delle vespe, che sciamano dentro e fuori del tronco spezzato, una sicura allusione al nome della famiglia committente, secondo un uso frequente di araldica disarticolata, per cui gli elementi dello stemma venivano smembrati e inseriti nell’opera in forma divisa, ma che comunque ne faceva allusione. Probabilmente in origine questo dipinto decorava la spalliera del letto degli sposi. Si deve infatti considerare che i fiorentini investivano molto per decorare e arredare le stanze private, in occasione di eventi importanti, come per esempio un matrimonio, essendo la camera la vera sede del potere dinastico e l’origine del lignaggio familiare. Per lo più queste raffigurazioni venivano dipinte sui cassoni nuziali, ma la dimensione di quest’opera fa pensare piuttosto alla testata di un letto. Il quadro, quindi, realizzerebbe una compiuta iconografia augurale, indirizzata alla coppia nella fausta ricorrenza delle nozze, in cui si propone un’elegante e colta allegoria domestica, arricchita di significati neoplatonici, come una visualizzazione della dottrina ficiana (Vulfr01) del mutuo temperamento. Per quanto riguarda la lettura dell’opera, infatti, i critici sono pienamente concordi nel riconoscervi Venere e Marte, anche in considerazione dei tratti salienti di una descrizione lasciata dal Vasari, riguardo ad una tavola di Pietro di Cosimo, con il medesimo soggetto, o per altre raffigurazioni dell’amore delle due divinità, contornate da amorini, piuttosto frequenti nella pittura dell’epoca, ad indicare l’Amore pacificatore di ogni contrasto. La composizione è molto equilibrata nelle due figure distese in posizione speculare, in un boschetto riparato, ambientato in un paesaggio idillico, ispirandosi ad alcuni versi delle Stanze di Poliziano (Vulfr02) e, soprattutto, del poema di Reposiano (Vulfc29). Sulla sinistra, infatti, Venere, vestita come la figura centrale della Primavera, giace sull’erba, vigile e cosciente, con il braccio destro appoggiato su un cuscino di color rosso. La sua bellezza è esaltata da alcuni artifici della moda, come la veste e la sopravveste, entrambe bianche con bordature dorate, che danno luogo a pieghe, simili a quelle “vesti amabili, meraviglia a vederle”, cantate da Omero (Vulfc01, v. 366). Di fronte a lei, sull’altro lato del dipinto, Marte, nudo e addormentato, non è svegliato neppure dal fragore della conchiglia, consueto attributo di Venere, che un satiretto suona nelle sue orecchie: così il dio della guerra è del tutto vinto dalla dea dell’amore. Una piccola brigata di satiri bambini, o panischi, circonda la coppia, giocando con le armi del dio dormiente: sotto il suo braccio, uno, con piccole corna, si è infilato nell’armatura lasciata in terra abbandonata, mentre nello spazio centrale, altri satiretti ravvivano l’ambiente, in contrasto con la immobilità psicologica dei personaggi principali, e giocano con le armi, come nella descrizione di Luciano, e in quella di Reposiano. Due di essi, infatti, afferrano allegramente la lancia, consueto attributo di Marte, che posta orizzontalmente sembra collegare, ma con un significato ben diverso da quello per cui era stata fabbricata, i due amanti. Un panisco si è posto sul capo l’elmo troppo grande per lui, a rendere ancora più gioioso tutto l’ambiente. Questo atteggiamento giocoso dei piccoli dei, che esprime iconograficamente quanto narrato nel poemetto di Reposiano, si ritrova anche in un dipinto di Pompei, eseguito precedentemente a questo (Cfr. scheda opera 11). L’atteggiamento rilassato del corpo del dio addormentato rimanda ai versi di Lucrezio (Vulfc10), in cui la dea è cantata come colei che “sola può gratificare i mortali con una tranquilla pace”,placando la violenza di Marte, “vinto dall’eterna ferita d’amore” e a quelli di  Ovidio (Vulfc14, vv. 563-564), in cui si dice che, da “guerriero tremendo, si era fatto amante”. L’episodio, diversamente da quanto avviene per altri dipinti dello stesso soggetto, si svolge all’aperto, nel riparo di due quinte boscose di alloro e di mirto, sacro alla dea, al centro delle quali si apre uno scorcio di campagna serena, con uno sfondo montano. In lontananza, sulla destra, si intravede una città turrita sormontata da una cupola che, secondo Luchinat Acidini (2001), potrebbe rappresentare Firenze vista dalla piana occidentale, nella zona di Peretola, dove i Vespucci avevano una proprietà. Non consueto è l’utilizzo delle figure dei panischi, che sostituiscono gli abituali puttini, forse inseriti in questa composizione, proprio per l’ambientazione rurale di essa. In tal modo la bellezza idilliaca di tutto il soggetto, immerso nella natura, ne accentua la componente ludica, relegando in secondo piano il simbolismo negativo, che per lo più collegava al satiro il vizio e l’amore bestiale. In tutto questo dipinto sembra assente la figura di Vulcano, ma i rimandi a lui sono molto evidenti: anche se, infatti, l’elemento prevalente è, senza dubbio, quello dell’amore e non della gelosia, l’armatura lasciata abbandonata, e divenuta elemento di gioco, non può non rimandare al dio fabbro, che l’ha preparata, senza saper che Marte sarebbe diventato suo rivale nell’amore di Venere. Sul piano simbolico, questa raffigurazione, dipinta molto probabilmente per un letto nuziale, ha un profondo significato, che visualizza il concetto neoplatonico dell’armonia dei contrasti e dunque  Venere, quale principio di amore e concordia, si oppone a Marte, simbolo di odio e di discordia, vincendolo, in ragione dell’armonia dei contrari. Inoltre, in considerazione dell’ambiente frequentato dall’artista, nel dipinto si potrebbe leggere anche un significato allegorico, secondo il quale Venere, cioè il pensiero umanistico, ha un potere benefico sulla discordia, rappresentata da Marte. In un contesto di nozze, dunque, il quadro sarebbe rivolto in particolar modo alla sposa, di cui vengono indirettamente complimentate le doti muliebri, nella metafora virtuosa dell’humanitas. La scena si trasforma impercettibilmente, quindi, in un’esortazione morale, che doveva arrivare in un secondo momento, ma che comunque era un sollecito richiamo alla forza dell’Amore pacificatore. Pertanto si può arguire che tale opera, pur essendo collegata alle idee neo-platoniche, dimostra anche un certo interesse all’esortazione morale di una vita corretta e virtuosa, come andavano propugnando le prediche del Savonarola, del quale Botticelli era un assiduo ascoltatore.

Giulia Masone