15: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera:

Autore:

Datazione: disegno I metà del ‘500, da sarcofago del II sec. d.C.

Collocazione: codex Coburgensis

Committenza:

Tipologia: disegno da sarcofago

Tecnica:

Soggetto principale: Vulcano mostra l’adulterio di Marte e Venereagli dei

Soggetto secondario: matrimonio di Venere e Vulcano

Personaggi: Marte, Venere, Vulcano, puttini, Giove, Sole, Apollo, Sonno, Mercurio (Vulcano mostra l’adulterio di Marte e Venereagli dei); Venere, Vulcano, Giunone (matrimonio di Venere e Vulcano)

Attributi: elmo, spada (Marte), catene (Vulcano); scettro, aquila (Giove); reggi del sole (Sole); ramo di alloro, grifone (Apollo); clamide (Mercurio)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni: disegno di Winckelmann

Immagini:

Bibliografia: Robert C., Die antiken Sarkophagreliefs, Deutsches Archäologisches Institut, Berlin 1904, III; Delcourt Curvers M., Héphaistos ou la lègende du magicien, Belles Lettres, Paris 1957; Camassa G., L’occhio e il metallo. Un mitologema greco a Roma?, Il Melangolo, Genova 1983; Brilliant R., Narrare per immagini. Racconti di storie nell’arte etrusca e romana, Giunti, Firenze 1987; Walter H.- Jürgen Horn H., a cura di, Die Rezeption der 'Metamorphosen des Ovid in der neuzeit: der antike mythos in text und bild, Gebr. Mann Verlag, Berlin 1995; Paris G., La Rinascita di Afrodite, Moretti e Vitali, Bergamo 1997; Gigante L. M., Roman commemorative portraits: women with the attributes of Venus, in Memory and oblivion, a cura di W. Reinink, Kluvwer Academic Publishers, Dordrecht  1999, part. 1, p. 447-453; Turcan R., Messages d’outre-tombe. L’iconographie des sarcophages romains, De Boccard, Paris 1999

Annotazioni redazionali: I resti del sarcofago, probabilmente del II secolo d.C., ritrovato a Roma nel XVI secolo, andarono ben presto perduti, e tuttora non se ne hanno più notizie. Già Winckelmann, nel XVIII secolo ne parla come di un’opera non più esistente, di cui rimanevano le carte con disegni nel codex Coburgensis, realizzate all’epoca del ritrovamento. Infatti Winckelmann dimostra di non aver mai visto il rilievo, ma di averlo conosciuto, e poi a sua volta riprodotto, solo da un disegno, senza indicare, però, da dove lo abbia preso. Potrebbe non aver visto direttamente quello del codex Coburgensis, in quanto ha completato alcune figure, tanto che si potrebbe supporre che conoscesse l’arte dell’integrazione o che in realtà abbia avuto qualche altro disegno, forse pervenutogli attraverso gli schizzi di Dal Pozzo, che completava le opere su carta, ma non ci sonodocumentazioni atte ad avvalorare questa ipotesi. Ugualmente senza documentazione è l’interpretazione di Raoul Rochette, che afferma che il rilievo si trovasse a villa Borghese, o quelle di Overbeck e Bernoulli, che indicavano come suo precedente il sarcofago di villa Albani. I disegni più antichi relativi a questa lastra sono quindi quelli del codex Coburgensis, che però non riportano l’immagine di Mercurio sul lato destro, come invece si vede nel disegno schizzato a matita nel codex Pighianus. Secondo Robert si potrebbe anche pensare che la figura conclusiva sulla destra non sia stata disegnata nel Coburgensis, perché la grandezza del foglio non era sufficiente e che sia stata messa sotto il disegno o su un altro foglio, andato poi perduto. In ogni caso, per l’interpretazione di questa lastra, Robertconsidera opportuno analizzare il disegno del codex Coburgensis, che ha riprodotto il marmo originale, ed eventualmente, per la figura sul lato destro, quello Pighianus, senza tenere in gran conto l’interpretazione di Winckelmann, che risulta in parte arbitraria. La disposizione dei personaggi ricorda quella di altre lastre di sarcofagi, con una scena sul lato sinistro, che narra l’antefatto, ed una principale che occupa tutto il resto della raffigurazione. La scena mostra la celebrazione del matrimonio di Vulcano con Venere, nella forma consueta della dextrarum iunctio. La tradizione del  matrimonio fra Venere e Vulcano deriva dalla fonte omerica (Vulfc01), diversa da quellaesiodea (Vulfc02), che, invece, tramanda il matrimonio fra la dea e Ares, dal legittimo amore dei quali viene generata Armonia. In mezzo ai due sposi sta Giunone pronuba, che pone entrambe le braccia sulle spalle della coppia. Indossa un chitone lungo, e sopra di questo una piccola tunica, che arriva fino ai fianchi. Sul capo ha un diadema, che lega in parte i capelli, che le arrivano fino alle spalle. Vulcano, barbuto, indossa il pileo, con il quale lavora nella fucina, e l’esomide, caratteristico della sua attività di artigiano, lavoro evidenziato nellefonti letterarie fin da Omero (Vulfc01, v. 273).  La scena centrale raffigura, invece, la crisi di questo matrimonio, a causa dell’adulterio di Marte e Venere e della scoperta di ciò, fatta da Vulcano, come narrato fin dai tempi di Omero, e riproposta da autori a lui successivi, sia greci, come, ad esempio, Anacreonte (Vulfc03), Eschilo (Vulfc05) e Platone (Vulfc07), sia latini, come Virgilio (Vulfc12) e soprattutto Ovidio (Vulfc15). Davanti ad una tenda, posta sul fondo, che potrebbe rappresentare il tentativo dei due di nascondersi agli occhi degli altri, siedono su una klinè i due amanti, vicini, ma voltati da due parti diverse, quasi costernati e vergognosi per quanto sta succedendo, già avvolti dalle catene di Vulcano che si vedono sulle loro gambe. Marte siede, appoggiato indietro, per tenersi più lontano, con il capo reclinato, mentre con il braccio sinistro tocca lo scudo che è posato in terra, vicino a lui. La mano destra, mancante, probabilmente era alzata, non per sostenere la testa, ma, più verosimilmente, con un gesto di sorpresa, stizza e spavento, di fronte alla nuova situazione che si è profilata. Indossa un chitone, che gli scende dalle spalle, un elmo con cimiero ed ha, sul fianco, la spada. Allunga il piede destro su uno sgabello ampio e basso, e tutto il suo atteggiamento mantiene una posizione pensosa. Venere si volta verso destra, in direzione della figura alata, che sta andando via di fretta, e rimane titubante sul margine del letto. L’atteggiamento vergognoso delle due divinità, molto imbarazzate difronte aVulcano e agli altri dei, riesce a connotare figurativamente quanto si andava diffondendo nella tradizione dell’epoca attraverso le fonti letterarie di Luciano (Vulfc25). Questi parla infatti di un rossore dei due amanti, ma, a differenza di quanto è raffigurato in questo sarcofago, i due, nella sua narrazione, provano tale sentimento, quando sono incatenati nel letto e derisi dagli altri dei. Anche la presenza di questi deriva direttamente da fonte omerica, ripresa, in epoca latina da Ovidio (Vulfc14 e Vulfc15) La mano sinistra della dea, come la destra ora mancante, era alzata e probabilmente tratteneva il mantello. Il suo busto è nudo, mentre le gambe sono coperte dalla veste. In testa porta un diadema che trattiene il velo, come è raffigurata anche nella scena delle nozze con Vulcano. A sinistra della coppia sono posti due piccoli puttini alati. Uno, agilmente girato a sinistra, con i piedi sullo stesso ripiano su cui si poggia Marte, tiene in mano un oggetto che sembra un bastone, ma che probabilmente è una piega della tenda posta dietro di lui, l’altro si volge, parlando, e poggia il piede, con molta naturalezza, sul ripiano. Con ambedue le mani tiene una fiaccola. Dopo di lui è rappresentato Vulcano, riconoscibile con gli stessi abiti della scena piccola, che con la sinistra solleva la tenda per rendere manifesto a tutti l’adulterio della moglie, e con l’altra indica la coppia colpevole. Ciò facendo, si gira indietro e volge la testa verso Giove, seduto in trono. La posizione di Vulcano è analoga a quella che si trova nel sarcofago conservato a Palazzo Altemps, in cui il dio si volge verso Cibele, per renderla testimone dell’adulterio e, nel medesimo tempo, con le braccia tese, indica i due amanti (Cfr. scheda opera 13). Questi è rappresentato con lo scettro, il diadema sul capo, vestito di un lungo mantello, con cui copre la schiena, il braccio sinistro e le gambe. Anch’egli allunga la mano ad indicare i due adulteri. Accanto al trono sta un’aquila, poggiata in terra, con le ali spiegate, uccello a lui sacro. Tra Vulcano e Giove si trova, posto in secondo piano, il Sole, colui che ha rivelato l’adulterio. Egli, infatti, secondo quanto narrato da Omero (Vulfc01, vv. 270-275), e ripreso poi da Ovidio (Vulfc15, vv. 167-169), è stato colui che ha visto per primo quanto stava avvenendo fra i due adulteri, ed ha subito avvisato Vulcano, che si trovava nella fucina, provocandone le vendetta. Appare con la corona di raggi fra i capelli, abbigliato nel costume di guidatore di carro, con un chitone fermato da un’alta cintura e un mantello fissato sulla spalla destra. Nell’altra mano tiene la frusta. Egli rivolge gli occhi verso Apollo, che sta dietro Giove, che a sua volta lo guarda. Quest’ultimo è nudo, con una clamide che scende dalle spalle e tiene in mano un grosso ramo di alloro. Vicino ai suoi piedi è posato un grifone, animale a lui sacro. Sulla destra della lastra, dopo Marte e Venere, c’è un figura maschile alata, alla quale la dea si rivolge, con le ali di pipistrello, e i lunghi capelli annodati sulla nuca, che sembra allontanarsi frettolosamente e indossa la clamide sulle spalle. Essa probabilmente rappresenta il Sonno che si allontana, tanto da essere quasi richiamato da Venere, che vorrebbe proseguire con la sua presenza, e lascia lo spazio alla luce del Sole, delatrice dell’adulterio. I tre disegni pervenuti sono molto discordi nel presentare questa figura, soprattutto nella parte relativa alle braccia e a ciò che esse potrebbero recare. In realtà la linea verticale che appare al di sopra delle braccia mancanti del Sonno, non può, secondo Robert,essere tenuta dalle sue mani, in quanto cade all’altezza dell’avambraccio sinistro.  A destra del Sonno sta seduto, voltato verso gli altri personaggi, Mercurio, sempre presente nella tradizione che si rifà alle fonti omeriche, identificato con un atteggiamento di solito irridente, come narrato anche in Luciano (Vulfc25). Qui appare con il caduceo nella mano sinistra abbassata e, come sembra, l’indice destro sulla bocca. Sulla sua schiena scende la clamide, in testa ha, nel disegno di Winckelmann, il petaso, che non c’è nell’altro. Se la lastra a destra fosse completa, forse si potrebbe trovare, come ultimo dio, Nettuno: in tal modo l’artista della lastra avrebbe inserito tutti gli dei che sono presenti in Omero (Vulfc01, v. 287), ma non ci sono documentazioni a questo riguardo.

Giulia Masone