13: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera:

Autore:

Datazione: 160-180 d.C.

Collocazione: Roma, Palazzo Altemps

Committenza:

Tipologia: scultura

Tecnica: sarcofago scolpito a bassorilievo

Soggetto principale: Vulcano svela l’adulterio di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Nettuno, Apollo, Diana, Cibele, Attis, Luna, Mercurio, Vulcano, Sole, Marte, Venere, puttino, Ercole, Bacco, Sonno, Tellus

Attributi: cetra, alloro (Apollo); leoni (Cibele); caduceo, petaso (Mercurio); elmo (Marte); clava (Ercole)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni: disegno di Winkelmann (1767)

Immagini:

Bibliografia: Robert C., Die antiken Sarkophagreliefs, Deutsches Archäologisches Institut, Berlin 1904, III; Delcourt Curvers M., Héphaistos ou la lègende du magicien, Belles Lettres, Paris 1957; Camassa G., L’occhio e il metallo. Un mitologema greco a Roma?, Il Melangolo, Genova 1983; Saldino V., Sarcofago con Marte e Venere, in L’opera ritrovata. Omaggio a Rodolfo Siviero, a cura di B. Paolozzi Strozzi – F. Scalia – L. Lucchesi, catalogo mostra (Firenze, Palazzo Vecchio, 1984), Cantini, Firenze 1984, pp. 61-62; Brilliant R., Narrare per immagini. Racconti di storie nell’arte etrusca e romana, Giunti, Firenze 1987; Walter H.- Jürgen Horn H., a cura di, Die Rezeption der 'Metamorphosen des Ovid in der neuzeit: der antike mythos in text und bild, Gebr. Mann Verlag, Berlin 1995; Caravale A., Fronte di sarcofago con Marte e Venere, in C. Cieri Via, a cura di, Immagini degli dei. Mitologia e collezionismo fra '500 e '600,  catalogo mostra (Lecce, Fondazione Memmo, 1996-1997) Leonardo Arte, Milano 19961996, p. 275; De Angelis d’Ossat M., I rilievi Massimo-del Drago del Museo Nazionale in palazzo Altemps, in Camillo Massimo collezionista di antichità. Fonti e materiali, a cura di M. Pomponi, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 1996; Paris G., La Rinascita di Afrodite, Moretti e Vitali, Bergamo 1997; Gigante L. M., Roman commemorative portraits: women with the attributes of Venus, in Memory and oblivion, a cura di W. Reinink, Kluvwer Academic Publishers, Dordrecht  1999, part. 1, p. 447-453; Turcan R., Messages d’outre-tombe. L’iconographie des sarcophages romains, De Boccard, Paris 1999

Annotazioni redazionali: Il sarcofago, della prima metà del II sec d.C., conservato ora a Palazzo Altemps, ha fatto parte della collezione del cardinale Camillo Massimo, poi della famiglia del Drago-Albani, nelle sale del cui palazzo è rimasto a lungo murato, come notificato nel 1911. Esportato poi, illegalmente, all’estero e recuperato a Chiasso nel 1958, è stato trasferito nella sede attuale, dopo un periodo di permanenza a Firenze. La lastra è stata danneggiata e spezzata sulla destra, come si può facilmente desumere dalla constatazione che, se Marte e Venere dovevano occupare il centro della scena, mancano almeno 40 cm. su questo lato. Il sarcofago è stato poi  fortemente restaurato in epoca non documentata, ma certamente dopo il 1767, anno di pubblicazione del disegno del Winckelmann, che risulta essere diverso dal sarcofago attuale, in molte sue parti. Il rilievo è noto sin dalla metà del Settecento, grazie all’attenzione da parte di Winckelmann, che ne ha realizzato il disegno, attirato soprattutto dalla relativa rarità del soggetto. Ciò ha fatto sì che sia stato presente nella letteratura archeologica ottocentesca, con una conseguente ricca e dotta discussione sull’iconografia e sulla sua articolata e complessa decorazione, da parte dei più noti studiosi di mitologia figurata. Al centro è raffigurata la coppia di Marte e Venere, il primo, proteso verso la dea, nudo, con la gamba destra appoggiata sullo scudo, che giace a terra, del tutto inutilizzato, sotto il quale ora gioca un puttino, in un’iconografia già presente nell’affresco di Pompei (Cfr. scheda opera 11) e che avrà molto successo nei secoli successivi, accanto alle altre armi da lui dismesse, nel momento dell’incontro con l’amante. Indossa solo l’elmo con il cimiero, come frequentemente rappresentato nell’iconografia relativa a questo episodio. Accanto a lui, Venere, seduta su un letto, è rappresentata nuda, con il velo che le ruota intorno al capo, ed ha in mano un gioiello, o uno specchio,che iconograficamente indica la lussuria, mentre con la sinistra stringe un lembo del mantello, che un puttino sta cercando di sollevare. La raffigurazione dei due amanti nudi, in parte imbarazzati e intimiditi, segue la tradizione che si andava diffondendo ad opera di Luciano, che rileva con ironia questo loro sentimento di vergogna (Vulfc25). La scena, poi, si apre sui due lati, con la presenza di molte divinità, attraverso le quali si può osservare quanto i romani siano stati interessati ad identificare il culto di Marte e Venere con quello della storia di Roma, in quanto essi erano considerati i capostipiti di questa popolazione, soprattutto se si identifica il busto del dio, posto a destra di Venere, dietro il suo letto, come quello di Quirino, secondo quanto proposto da Winckelmann. Secondo questa interpretazione, la sua vicinanza alle figure di Ercole, ben identificabile per la clava, e di Bacco, sarebbe da vedere come una connessione e relazione fra tre figure eroiche, accomunate dal fatto di essere nate da un mortale e da una divinità, e poi essere ascese alla gloria dell’Olimpo. Secondo altre interpretazioni più recenti, invece, il volto barbato di questa figura rappresenterebbe il Sonno. In tal modo si farebbe riferimento, anche per questa coppia di divinità, all’iconografia tradizionalmente usata per la storia di Marte e Rea Silvia, in cui il dio, con la sua pozione soporifera avrebbe contribuito a far scoprire a Vulcano i due amanti addormentati.  Davanti a questi, in basso, è raffigurata Tellus, stesa al suolo, appoggiata ad un animale bovino accovacciato, forse un toro, e con la cornucopia dell’abbondanza nella mano destra. La parte finale della lastra è mancante e probabilmente rappresentava un gruppo, corrispettivo a quello di Cibele, che si trova sull’altro lato. Su questo, infatti, a partire da sinistra, si vede un animale marino fantastico, dalle zampe equine, che doveva rappresentare l’attributo distintivo di Nettuno, quasi completamente perduto, di cui si vedono solo i piedi e la traccia scalpellata sul fondo della lastra.Nettuno è indicato dalle fonti letterarie di derivazione omerica (Vulfc01, vv. 344-348), riprese poi daOvidionell’Ars amatoria (Vulfc14, vv. 587-589), come colui che chiede a Vulcano di liberare i due amanti dalla situazione imbarazzante in cui si sono venuti a trovare. Accanto a lui, in secondo piano, vi è una figura femminile, volta di profilo verso il centro della scena, probabilmente Diana, in considerazione della sua posizione vicina ad Apollo, come frequentemente riscontrabile nell’iconografia consueta. Apollo è qui rappresentato con la cetra, con la clamide, che scende sulle spalle, e l’alloro scolpito alle sue spalle. Segue poi la dea Cibele, con la corona turrita sul capo, il velo sui capelli, seduta su un trono, ai lati del quale sono seduti due leoni, raffigurata, quindi, secondo l’iconografia tradizionale. Vicino a lei, c’è la figura molto danneggiata, e quindi difficilmente interpretabile, di un fanciullo, forse Attis, legato al culto di Cibele. In alto, sopra la dea, è raffigurata una giovane, con il mantello sollevato ad arco sopra la testa, probabilmente la Luna, con la volta celeste, seguita da Mercurio, con il caduceo e il petaso, che, però, diversamente dall’iconografia tradizionale, che lo vede intervenire con molta ironia, rifacendosi alla fonte omerica relativa a questo episodio (Vulfc01, vv. 325-327), non guarda i due amanti, ma volge lo sguardo verso Cibele. Così fa anche Vulcano, accanto a lui, vestito con la corta tunica degli artigiani, che si volta indietro per richiamare l’attenzione degli altri dei sull’adulterio che si sta compiendo, come indicato dalle braccia e dalle mani tese verso Marte. La raffigurazione di Vulcano è analoga a quella del sarcofago Coburgensis, in cui il dio si volge verso Giove, per renderlo testimone dell’adulterio e, nel medesimo tempo, con le braccia tese, indica i due amanti (Cfr. scheda opera 15). La presenza delle divinità, che osservano la coppia, differisce dalle fonti letterarie, in quanto, in Omero, Ovidio e Luciano, si parla dei due adulteri imprigionati nel letto, sotto lo sguardo divertito degli dei. In questo caso, invece, l’artista, come del resto anche quello degli altri due sarcofagi (Cfr. scheda opera 14e 15), ha preferito inserire i due amanti seduti sulla klinè, ma ha mantenuto in loro un certo atteggiamento di imbarazzo e di vergogna. Oltre a ciò, va evidenziato che, nella raffigurazione, si è privilegiata la tradizione ovidiana, in quanto, mentre Omero parla della sola presenza di dei, perché le dee sono rimaste a casa per pudore, Ovidio parla in generale di “dei”, senza specificarne il nome o il sesso. Dietro Marte, in posizione intermedia fra lui e Vulcano, è raffigurata un’altra giovane figura maschile, di difficile interpretazione, in quanto mancante di attributi specifici. Forse, in considerazione dell’episodio che si sta trattando, rappresenta il Sole, colui che si è accorto per primo dell’adulterio. Questa interpretazione, che però non è assolutamente documentabile, in quanto non c’è sul marmo alcun segno della presenza della corona di raggi che lo caratterizza, potrebbe essere considerato probabile, anche per la posizione simmetrica con la Luna. In tal modo, anche per quanto riguarda questo personaggio, si farebbe riferimento alla tradizione omerica, ripresa da Ovidio. La scena descritta sulla lastra di questo sarcofago rappresenta, dunque, secondo la lettura più recente, la trattazione del mito dell’amore di Marte e Venere, ma offre un’iconografia che, pur se rispondente in molti punti alla tradizione consueta, risulta alquanto anomala, in quanto l’episodio di Vulcano, che, sorpresi i due amanti, chiama a testimoni le diverse divinità, è collegata e intrecciata, probabilmente, con un altro mito, come evidenziato dalla presenza del dio Sonno e dalle altre divinità, peculiari della tradizione romana.

Giulia Masone