11: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera:

Autore:

Datazione: metà I sec. d.C.

Collocazione: Pompei, Casa di Marte e Venere, VII, 9, 47

Committenza:

Tipologia: pittura parietale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: amore di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere, puttini

Attributi: lancia, elmo, scudo (Marte)

Contesto: scena d’interno

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

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Annotazioni redazionali: Nelle raffigurazioni pittoriche ritrovate nelle case di Pompei, la storia degli amori di Marte e Venere è uno dei temi iconografici più diffusi, sia per il carattere idillico sacrale, sia per la notorietà del materiale tardo ellenistico da cui deriva. Tra gli esemplari più belli vi è quello ritrovato in questa casa che, proprio da tale raffigurazione, prende il nome. In questo affresco di IV stile le due divinità campeggiano al centro.Il sentimento di amore sereno che traspare dal loro atteggiamento rimanda all’iconografia tipica del loro amore legittimo, da cui nascerà Armonia, come narrato nella Teogonia da Esiodo (Vulfc02). Egli, infatti,diversamente da Omero, nel presentare l’origine degli dei, indica l’unione matrimoniale di Marte e Venere, seguendo una tradizione che sarà poi ripresa anche da altre fonti letterarie (Vulfc04 e Vulfc05).  I loro lineamenti denotano la tendenza, presente nell’arte romana, di trattare i volti raffigurati come ritrattiveristici, anche nelle pitture mitologiche. La dea appare seminuda, con gli ornamenti d’oro consueti: la doppia bandoliera incrociata sul busto, il periscelide alle caviglie, le armille ai polsi, i grossi orecchini con pendenti di perle e il diadema, che già è indicato in Omero, come una caratteristica della dea, dalla “bella corona” (Vulfc01, v. 288). I suoi capelli sono raccolti in unatreccia, che le incornicia il capo, come narrato da Apollonio Rodio (Vulfc09), che presenta la dea, mentre si pettina, per intrecciare la sua lunga chioma. Ella si adagia con il corpo su Marte, senza barba, come per lo più appare nelle raffigurazioni romane, quasi interamente vestito, che la sostiene guardandola, vinto dalla potenza dell’amore. Il giovane dio ha abbandonato gli attributi che connotano la sua attività guerresca, infatti la dea trattiene con la mano sinistra la lancia, mentre Marte, con la mano destra sorregge il velo di Venere, a testimoniare come il dio della guerra sia completamente disarmato di fronte all’amore, in un’allegoria della concordia, che ebbe molta fortuna in epoca romana. In questa raffigurazione sono state sintetizzate le fonti letterarie che vedono Marte provvisto di un’asta vigorosa, come riferito da Anacreonte (Vulfc03), dominato, però, da Venere, come si dice nella Politica di Aristotele (Vulfc08), che vede gli uomini guerrieri dominati dalle donne. Questa interpretazione è stata poi fusa e approfondita, nella letteratura latina, nel poema di Lucrezio (Vulfc10), che indica Venere come colei che riesce a frenare le crudeli azioni guerresche di Marte, che spesso rovescia il capo sul suo grembo, “vinto dall’eterna ferita dell’amore”, e in quello di Ovidio (Vulfc14, vv. 563-564), che parla di Marte che, da “guerriero tremendo, si era fatto amante”, giungendo a condizionare in parte l’iconografia tradizionale. Delle armi del dio si sono impadroniti allegramente i due puttini, dando inizio ad un’iconografia che avrà molta fortuna nei secoli successivi (Cfr. scheda opera 21e 22), uno dei quali, seduto ai piedi della coppia, cerca di indossare l’elmo troppo grande per lui, mentre l’altro ha afferrato la spada, riposta nel fodero, e osserva Marte e Venere. Vicino alla dea, appoggiato al muro, sta il grande scudo, finemente lavorato e intarsiato, divenuto ormai un oggetto del tutto inutile.

Giulia Masone