07: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera:

Autore:

Datazione: metà I sec. a.C.

Collocazione: Napoli, Museo Nazionale

Committenza:

Tipologia: coppa a calice

Tecnica: argento con tracce di doratura (12,5X10 cm)

Soggetto principale: amori di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere, Amore

Attributi: spada (Marte)

Contesto: camera da letto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Maiuri A., La casa del Menandro e il suo tesoro di argenteria, Istituto poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, Roma 1933; Delcourt Curvers M., Héphaistos ou la lègende du magicien, Belles Lettres, Paris 195; Maiuri A., Pompei, Istituto poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, Roma 1964; Carducci C., Ori e argenti dell’Italia antica, Silvana, Milano 1962; Strong D.E., Greek and Roman Gold and Silver Plate, Methuen & Co Ltd, London 1966; Künzl E., Le argeneterie, in F. Zevi, a cura di, Pompei 79. Raccolta di studi per il decimonono centenario dell’eruzione vesuviana, Gaetano Macchiaioli, Napoli 1979, pp. 211-228; Brilliant R., Narrare per immagini. Racconti di storie nell’arte etrusca e romana, Giunti, Firenze 1987; Pirzio Biroli Stefanelli L., L’argento dei romani. Vasellame da tavola e d’apparato, «L’erma» di Bretschneider, Roma 1991; Paris G., La Rinascita di Afrodite, Moretti e Vitali, Bergamo 1997; Borriello M.R., Schyphus con scena a rilievo: gli amori di Venere e Marte, in O. Casazza – R. Gennaioli, a cura di, Mythologica et erotica: arte e cultura dall'antichità al XVIII secolo, catalogo mostra (Firenze, Palazzo Pitti, 2005-2006) Sillabe, Livorno 2005, p. 170

Annotazioni redazionali: Questa coppa, trovata a Pompei, nella casa di Menandro, mostra, nella sua decorazione, l’immagine degli amori di Venere e Marte, uno dei temi iconografici più diffusi nella pittura e nelle raffigurazioni artistiche di questa città, sia per il carattere idillico sacrale, sia per la notorietà del materiale tardo ellenistico da cui deriva.Lungo il lato esterno si svolge la narrazione della vicenda, rappresentata in due scene. Ognuna  si compone di tre elementi figurati: la coppia divina su di una klinèe il dio Amore pronubo che assiste all’avvenimento, o con l’anfora del bagno nuziale, o in funzione di scudiero di Marte. Si introduce, quindi, nell’iconografia relativa alle due divinità, la presenza di Amore, che, secondo una tradizione, è nato dalla loro unione, come si riscontra già in Simonide, che ne parla come di un duro, subdolo figlio, che Afrodite generò da Ares (Vulfc04). In un episodio si vede Venere, ancora con il manto e il diadema, come narrato da Omero che la indica “dalla bella corona” (Vulfc01, v. 288),che volge il volto verso Marte, mentre solleva con la destra un lembo del sottile chitone, lasciando così scoperte le gambe. Il giovane dio,rappresentato come avviene frequentemente nell’iconografia romana, senza barba, la cui figura è in parte danneggiata, è steso sul letto, con il busto alzato. Alle sue spalle si vede Amore, con le ali abbassate, che regge, da una parte, la fiaccola nuziale, dall’altra, la spada, tenendola un poco al di sotto dell’impugnatura, simbolo delle armi di cui il dio della guerra si è appena spogliato, ormai del tutto inutili, di fronte all’amore. La scena è ripresa, poi, in un momento successivo, sul lato opposto. In questa si raffigura Marte, come nella precedente, seminudo, steso sul letto, con un braccio poggiato su un cuscino. Egli osserva Venere, che, seduta di spalle sulle sue ginocchia, finisce di spogliarsi. La dea, infatti, già senza diadema, ha quasi terminato di togliersi il mantello. Poco distante Amore, con le ali aperte, siede sul fondo del letto, tenendo con ambedue le mani, sulle gambe, una grande anfora in forma di alabastron fusiforme. Dalla doppia ansa ad anello della coppa si diramano dei rami di vite, che incorniciano le figure e terminano, al centro di ogni scena, con una ghirlanda sospesa, quasi simbolo nuziale, sul capo delle due divinità, secondo la narrazione del mito presentata da Esiodo, che parla del legittimo amore di Marte e Venere (Vulfc02), ripresa anche da Aristotele, per segnalare quanto gli uomini guerrieri possano essere domati da Afrodite (Vulfc08). In questa raffigurazione, inoltre, l’atteggiamento dei due sposi assume una maggioreintimità, come riportato da Plutarco, che evidenzia la fusione del carattere bellicoso dell’uno con la grazia e l’amore di Afrodite (Vulfc17).

Giulia Masone