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1373-74

GIOVANNI BOCCACCIO, Esposizioni sopra la Comedia di Dante

Traduzione da: Giovanni Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di Vittore Branca, Oscar Mondadori, Milano 1994

 

XII, I Esposizione litterale

[...] Di che seguì che Venere, la quale odiava tutta la schiatta del Sole, per ciò che da lui era stato manifestato a Vulcano, suo marito, e agli altri idii l’adulterio nel quale ella stava con Marte, fece che Pasifè, moglie di Minòs e figliuola del Sole, s’innamorò di questo toro così bello; [...]

 

XII, II Allegoria

[...]

Dico adunque primieramente essere da riguardare in che forma fosse questo animale generato, acciò che per questo noi possiam conoscere come negli uomini la bestialità si crei. Fu adunque, sì come nella favola si racconta, generato costui d’uomo e di bestia, cioè di Pasifè e d’un toro. Dobbiamo adunque qui intendere per Pasifè l’anima nostra, figliuola del Sole, cioè di Dio Padre, il quale è vero sole. Costei è infestata da Venere, cioè dall’appetito concupiscibile e dallo irascibile, in quanto Venere, secondo dicono gli astrologi, è di complessione umida e calda, e però per la sua umidità è inchinevole alle cose carnali e lascive, e per la sua caldezza ha ad eccitare il fervore dell’ira. Questi due appetiti, quantunque l’anima nostra infestino e molestino, mentre essa segue il giudicio della ragione, non la posson muovere a cosa alcuna men che onesta: ma come essa, non curando il consiglio della ragione, s’inchina a compiacere ad alcuno di questi appetiti, o ad amenduni, ella cade nel vizio della incontinenza e già pare avere ricevuto il veneno di Venere in sé, per ciò che transvà ne’ vizi naturali; da’ quali, non correggendosi, le più delle volte si suole lasciare sospignere nell’amor del toro, cioè negli appetiti bestiali, li quali son fuori de’ termini degli appetiti naturali: per ciò che naturalmente, come mostrato è di sopra, disideriamo di peccare carnalmente e di magiare e d’avere e ancora d’adirarci talvolta.