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GIOVANNI BOCCACCIO, Genealogie deorum gentilium,

Traduzione da: Giovanni Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Zaccaria, Classici Mondadori, Milano 1998, vol. VII-VIII

 

III, cap. XXII

Venere maggiore, sesta figlia di Celo

[...] Vollero dunque che di questa Venere anzitutto fosse figli il duplice Amore, come afferma Ovidio quando dice: “Alma madre, ho detto, di ambedue gli Amori sii propizia al poeta” ecc. Sul padre ci sono opinioni diverse. Alcuni dicono che nacque da Giove, altri dal padre Lesbo. Così è anche per le Grazie che dicono figlie di questo. Dicono inoltre che ella ha una cintura che chiamano ceston, cinta della quale affermano che intervenga alle nozze legittime; mentre agli altri accoppiamenti di maschio e femmina partecipi senza cintura. Dicono inoltre che essa abbia sommamente in odio i figli del Sole perché da loro era stato denunciato a Vulcano il suo adulterio con Marte. Aggiungono poi che sotto la sua protezione sono le colombe. E poiché le attribuiscono un cocchio, lo immaginano tirato da cigni. Considerano sacra a lei la pianta del mirto e, tra i fiori, la rosa. Dice inoltre Teodozio che essa accolse, ospiti nella casa di Marte, le Furie e divenne ad esse familiare. [...]

Se appropriatamente si considerino su ciò le cose ivi descritte, ben vedremo che esse riguardano il matrimonio. Dice infatti Omero che ivi è la passione d’amore perché vi si intenda il desiderio della sposa e dello sposo prima delle nozze; poi l’amicizia, che nasce dalla comunione e dalla concordanza dei costumi e si protende a lungo nel tempo. Ma se i costumi discordino, vediamo talora nascere le inimicizie, i diverbi, il disprezzo e simili. È chiaro poi quanto la fecondia sia opportuna; per essa infatti si manifestano gli affetti del cuore, si blandiscono le orecchie degli amanti, si placano i litigi, che spesso nascono tra i coniugi, ed essi sono incoraggiati a tollerare le emergenze. Nella cintura sono pure le lusinghe, capaci di attrarre gli animi e di avvincerli, di comprimere l’ira e anche di rinverdire un amore esaurito; le loro forze sono certamente così grandi che da esse sono presi non solo gli ignoranti, ma anche –come dice lo stesso Omero- esse molto spesso hanno tolto l’intelletto ai saggi. Questa cintura –dice Lattanzio, come noi prima abbiamo detto- Venere non indossa se non alle nozze legittime; e perciò ogni altra unione viene chiamata incesto poiché non vi viene portato il ceston. Il fatto che Venere ospitò nella casa di Marte le Furie e diventò ad esse familiare, credo diceva il venerabile Andalò –ce ne sono due che sono dagli astrologi attribuiti a Marte come abitazione: cioè l’ariete e lo Scorpione; e non sappiamo in quale di queste sedi di Venere abbia accolto le Furie. Ma se le ha accolte Ariete, credo che in esso sia indicato l’inizio di primavera, poiché essa comincia quando il sole entra in Ariete: stagione nella quale tuti gli esseri animati inclinano alla concupiscenza e –come dice Virgilio- “concorrono nel fuoco delle furie”. E non solo i bruti; ma anche le donne, la ci complessione è per lo più fredda e umida, sotto l’azione della primavera, sono eccitate più fortemente al calore amoroso. E questa eccitazione, se il pudore non vi ponesse freno, sembrerebbe volgersi in furore. Lascio stare i furori dei giovani, che se non fossero frenati o, meglio, costretti dall’autorità delle leggi, certamente eccederebbero in furori rovinosi. E così ben si dice che le Furie furono accolte da Venere nella casa di Marte e che ad esse Venere divenne familiare, in quanto l’amore si fa smodato e sfrenato. Se invece volgiamo che abbia accolto le Furie nello Scorpione –poiché si tratta di animale velenoso e ingannatore- intendo che le amarezze e le ansie degli amanti sono talvolta miste a una qualche dolcezza; ma da quelle amarezze molto spesso i miseri e ardenti amanti sono talmente oppressi, che si vogliono furenti e a precipizio contro se stessi con la spada o con il laccio. Oppure intendo che, delusi nell’amore per offese ricevute o mutati, per giuramenti mancati, per inganni sofferti, per menzogne, essi o sono tormentati dalla disperazione, o si gettano furiosi nelle risse o negli omicidi. E così da Venere nello Scorpione furono accolte le Furie. Il fatto che Venere abbia in odio i figli del Sole, penso sia stato desunto dalle conseguenze del suo amore illecito [con Marte]. Infatti –come più sotto si leggerà nel capitolo sul Sole, figlio di Iperione- il sole produce uomini e donne bellissimi, la cui bellezza senza dubbio trascina le menti di coloro che li guardano a concupirli; e quelli che sono stati attratti con varie arti spesso trascinano poi quelli che li hanno attratti; e questo si pensa esser opera di Venere. [...]

 

IX, cap. III

Marte, figlio di Giunone, che ebbe quindici figli

[...] Vogliono inoltre che Marte, dio così crudele e sanguinario, fosse un amatore; e in particolare che, fra le altre, fossa da lui amata Venere, moglie di Vulvano, e con lei giacesse. Di lui questa favola narra Omero nell’VIII dell’Odyssea. Dice infatti che Marte amò sommamente Venere e, mentre una volta si univa ad essa, fu visto dal Sole e accusato a Vulcano, marito di Venere. Questi nascostamente collocò catene invisibili attorno al suo letto e finse di andare a Lemno. Così credendo, Marte si recò da Venere; e, quando nudi entrarono nel letto, e si videro presi dalla trappola di Vulcano, questi ritornò come aveva stabilito, e si mise a gridare per l’ofesa ricevuta. Sopraggiunsero gli dei e, fra gli altri, Nettuno, Mercurio e Apollo (ma le dee per vergogna non si presentarono); e quando li videro presi e nudi, tutti risero e solo Nettuno intercedette per i “prigionieri” e pregò così a lungo, fino a piegare Vulcano alle sue preghiere e a farli liberare. Inoltre a questo così feroce dio assegnato in tutela il lupo e, fra gli uccelli, il picchio. Così anche, fra le erbe, la gramina. [...]

Restano da dire poche cose sull’armatura di Marte, che sembra iniziare da Furore e dall’Ira, che adornano il suo elmo. Premuto da essi, Marte non può essere senza impeto, come sopra si è scritto. Ma Stazio dice che lo adornano, cioè gli rendono ornato l’elmo, ossia le armi, per farci capire che, essendo la armi destinate a portare e compiere la battaglia, allora sembrano splendide, quando operano con impeto. Infatti in un soldato pigro e debole si dice che le armi piangano. Dice poi Stazio che lo Spavento prepara i cavalli a Marte e che è suo armigero, perché, per la paura di quelli che sopraggiungono e che attorno strepitano, prendiamo cavalli e armi. La Fama poi precede i cavalli di Marte, cioè della guerra che arriva, riferendo sempre le cose accadute e non accadute, che i timidi, che se le aspettano, facilmente credono ed esagerano. Che Marte poi abbia amato Venere, alcuni lo dicono per coprire la storia, affermando che Venere disprezzò Vulcano per la sua deformità e che si unì con un suo armigero; e che un uomo saggio e amico avendo notato, svelò a Vulcano la colpa della moglie. Vulcano allora, a lungo lamentandosi, e acceso d’ira, si precipitò sulla moglie; ma il suo furore fu placato dallo stesso modesto e mite armigero. Altri invece dicono i poeti aver inteso con questo mostrare che molti uomini bellicosi e duci insigni si macchiarono di questa disonestà. Altri, comprendendo più acutamente, credono che in Venere si possa intendere l’appetito concupiscibile, congiunto in matrimonio, cioè con vincolo indissolubile, con Vulvano, dio del fuoco, cioè colo calore naturale; ma Venere (ossia tale appetito), mentre si sviluppa, come il fuoco, in più grande incendio, si dice che ami Marte come il più caldo, e da lui è amata come simile a sé; e allora si conginugono con lascivia nello stesso desiderio; e questo congiungimento viene visto e redarguito dal Sole, cioè dall’uomo saggio; e il calore smodato (Mare) è denunciato al giusto calore (Vulcano). Ma mentre il fervore della disordinata concupiscenza si estende in senso contrario, accade che l’insipiente più sia legato da pensieri e diletti lascivi, dai quali l’effeminato non possa sciogliersi; e, quando l’osceno congiungimento è palese, venga deriso dai sapienti. Nettuno invece, che solo si interpone a vantaggio dei prigionieri (d’amore), fu fatto contrario al calore libidinoso. Da esso, come dall’acqua il fuoco, è estinto l’amore vergognoso e, purché lo voglia colui che ne è preso, la sua ragione, prima incatenata, viene liberata. [...]

 

IV, cap. IV

Cupido, primo figlio di Marte, che generò Voluttà

Cupido –come dice Tullio nel De natura deorum- fu figlio di Venere e di Marte. Gli stolti antichi e moderni lo vogliono dio di grande potenza. [...]

Si riportano inoltre molte altre versioni; ma tralasciandole, occorre indagare il significato di quelle esposte. Io credo ben possibile che Cupido sia stato figlio di Marte e di Venere e che sia stato famoso per la bellezza e il costume lascivo. Ma di ciò nulla intesero quelli che inventarono la favola; e perciò bisogna indagare, fra le opinioni degli antichi, chi fosse quello che poté nascere da essi (cioè Marte e Venere).

È dunque questo, che chiamiamo Cupido, una certa passione dell’anima, portata dalle persone e dagli oggetti esterni e introdotta, attraverso i sensi del corpo, e riconosciuta buona per virtù intrinseche, poiché i corpi sovracelesti le assicurano attitudine ad esse. Vogliono infatti gli astrologi –come affermava il mio venerabile maestro Andalò- che, quando accade che, alla nascita di qualcuno, Marte si trovi in casa di Venere, cioè nel Toro, o nella Bilancia e ci sia chi designa dalla nascita il futuro, preannunci che il nascituro sarà lussurioso, fornicatore e abuserà di tutti gli atti venerei e sarà uomo scellerato in questi atti. E perciò un tal filosofo di nome Ali nel Commentum quadripartitum disse che ogni volta che Venere partecipa, insieme a Marte, alla nascita di qualcuno, ha potere di concedere, a chi nasca, la disposizione ali inganni, alle fornicazioni e alla lussuria. E questa disposizione agisce in modo che, appena questo individuo vede una donna che si raccomanda per le sue bellezze esterne, subito il soggetto piaciuto è portato alle potenze sensitive interiori; e, prima, perviene alla fantasia; da essa poi è trasferito alla riflessione e da questa alla memoria; e poi da queste sensazioni viene trasportato a quella specie di potenza che è la più utile tra quelle dell’apprendere, cioè all’intelletto possibile. Questo è poi ricettacolo delle idee –come nel De anima attesta Aristotele. Quivi dunque la potenza conosciuta e intesa, se, per la volontà di chi riceve (la quale è libera di estrometterla o di conservarla), accade che sia ritenuta come approvata, allora questa passione della cosa approvata anche già è detta amore o brama fissata nella memoria, pone la sua sede nell’appetito sensitivo e quivi, per effetto di diverse cause, talora diviene così grande e potente che costringe Giove ad abbandonare l’Olimpo e a prender forma di toro. Talora invece, non approvata o consolidata, si dissolve d annulla; e così da Marte e Venere non si genera la passione, ma –come è stato detto sopra- si producono uomini adatti ad accogliere questa pasisone secondo la disposizione corporale; e, se tali uomini non ci fossero, è generato da Marte e Venere, come da causa più remota. Seneca tragico poi nella tragedia Ottavia con licenza un po’ più ampia, se pur con meno parole, descrive le origini di Cupido dicendo: “L’amore è una gran forza della mente e un carezzevole calore dell’anima, che si genera nella giovinezza, si nutre nella lussuria e nell’ozio fra i grati beni della Fortuna”. Ma a scusa della loro debolezza, gli uomini, premuti dalla passione, finsero che questa peste fosse un dio potentissimo.

 

IX, cap. XXXVII

Ermione (Armonia), undicesima figlia di Marte e moglie di Cadmo

I poeti dicono che Ermione (o Armonia) fu figlia di Marte e Venere e che fu sposata da Cadmo re di Tebe, dopo aver lasciato la moglie Spinge. Dicono che Vulcano le fece un monile di singolare bellezza, ma di tristo augurio a chi lo portava; e ciò per odio concepito contro di lei, per esser nata dall’adulterio di sua moglie. Da questa inoltre Cadmo ebbe quattro figlie; e in ultimo, cangiati in serpenti gli sposi, rimasero tali fino alla morte.

Questo può essere il significato nascosto della favola. Anzitutto Erminione (o Armonia) fu figlia di Venere, in quanto a Cadmo, perché con la sua bellezza o con i suoi motteggi fu capace di immettere in lui le fiamme d’amore, ciò perché, per desiderio di lei, ripudiò la prima moglie Spinge. Si può invece dirla figlia di Marte perché –come dice Eusebio, citando per testimonio Palefato- Spinge, per gelosia di Ermione (o Armonia), si allontanò da Cadmo, suo marito, e subito suscitò guerra contro di lui E così Cadmo prese in moglie la figlia di Marte, cioè la causa della guerra.

 

XII, cap. LXX

Vulcano, trentasettesimo figlio di Giove, che generò Erittonio, Caco, Ceculo e Tullio Servilio (Servio Tullio).

[...] Tutti dicono che ebbe moglie, ma non si indica da tutti in modo eguale che ella fosse stata. Cingio infatti –come Macrobio riferisce nei Saturnalia- dice che fu Maia la moglie di  Vulcano; Pisone invece vuole fosse Maiesta. Omero prima, poi Virgilio, e gli altri poeti latini, scrivono che fu Venere. Ma mentre è certo che ci furono diversi Vulcani, è possibile che tutti questi autori dicano la verità, poiché non dicono di qual Vulcano siano state mogli Maia o Maiesta. Ma che Venere sia stata moglie del Vulcano di Lemno, si può ritenere ben certo. Dicono inoltre che egli fu fabbro di Giove e attestano che presso le isole di Lipari e di Vulcano i Ciclopi servirono a Giove per fabbricare i fulmini e le armi degli dei ed ebbero le loro officine. E vogliono che da lui fosse stato fatto tutto ciò che fu composto con arte, come le armi di Achille e di Enea, il monile di Ermione, la corona di Adriana e simili opere. Dicono inoltre che, quando il Sole gli mostrò l’adulterio di sua moglie con Marte, Vulcano legò entrambi, unendoli con catene invisibili. Lo chiamano anche Mulcibero e lo fanno padre di molti figli. [...]