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GIOVANNI BOCCACCIO, Filocolo, IV, 46

Traduzione da: Giovanni Boccaccio, Filocolo, a cura di A.E. Quaglia, Oscar Mondadori, Milano 1998

 

[...] Adunque, a noi converrà alquanto, oltre al nostro volere, d’amore parlare: di che ci duole, sentendoci a lui suggetta, ma per trarti d’errore il licito tacere in vere parole rivolgeremo. Noi vogliamo che tu sappi che questo amore niun’altra cosa è che una inrazionabile volontà, nata da una passione venuta nel cuore per libidinoso piacere che agli occhi è apparito, nutricato per ozio da memoria e da pensieri nelle folli menti: e molte fiate in tanta quantità multiplica, che egli leva la’ntenzione di colui in cui dimora dalle necessarie cose, e disponlo alle non utili. Ma però che tu essemplificando ti’ngegni di dimostrarne da costui ogni bene e ogni virtù procedere, a riprovare i tuoi essempli procederemo. Non è att d’umiltà l’altrui cose ingiustamente a sé recare, ma è arroganza e sconvenevole presunzione: e certo queste cose usò Marte, cui tu sai per amore divenuto umile, e levare a Vulcano Venere sua legittima sposa. E sanza dubbio quella umiltà che nel viso appare agli amanti, non procede da benigno cuore, ma da appare prende principio.[...]