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II sec. d.C.

FILOSTRATO, Vita di Apollonio di Tiana, VII, cap. XXVI

Traduzione da: Flavio Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, a cura di D. Del Corno, Adelphi, Milano 1978

 

Quando penso alle città e alle loro mura, mi pare che sianbo prigioni comuni: sono prigionieri quelli che stanno in piazza e quelli che si trovano in assemblea, sono prigionieri quanti assistono agli spettacoli e quanti fanno processioni. E anche gli Sciti, che vivono sui carri, non meno di noi sono prigionieri: li rinchiudono fiumi come l’Istro e il Tormedonte e il Tanais, che non è facile attraversare a meno che non siano gelati. Costoro hanno collocato le loro dimore sui carri e vanno in giro, ma standosene appiattati in esse. E se non sembri un discorso puerile,m si racconta che anche l’Oceano fu avvolto intorno alla terra per legarla. Forza, poeti, questo è affar vostro: cantate a questa gente disperata come Crono un tempo fu avvinto in catene per volontà di Zeus; e come Ares, il più bellicoso fra gli dei, fu imprigionato una prima volta in cielo da Efesto, e poi sulla terra dai figli di Aloeo. Pensiamo a questi esempi, e ai molti uomini sapienti e benedetti che furono gettati in carcere da empie folle o coperti di fango dai tiranni: accettiamo allora queste sorti, per non essere da meno di quelli che seppero accettarla”. Queste parole a tal punto fecero mutare idea ai prigionieri, che la maggior parte di loro riprese a nutrirsi e smise di piangere, nella convinzione che nulla avrebbero sofferto finché si trovassero insieme a lui.