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I sec. d.C.

STAZIO, Tebaide

Traduzione da: Publio Papino Stazio, Tebaide, in Opere, a cura di A. Traglia e G. Aricò, UTET, Torino 1987

 

II, 269-73

Il dio Lemno, secondo un’antica tradizione, crucciandosi a lungo per gli intrighi di Marte, poiché le catene vendicatrici, con cui aveva punito i due amanti colti in flagrante, non erano state loro di freno né erano servite a castigarli, aveva costruito questo monile per farne dono ad Armonia nel giorno delle nozze

 

III vv. 260-279

Al comando, Gradiro esulta di gioia: ardente si lancia sul carro ancora infocato, piegando le redini verso sinistra. Già era giunto al limite, dove il cielo s’interrompe bruscamente, quand’ecco Venere si ferma davanti ai cavalli, senza alcuna paura; balzando indietro e subito abbassano, in atto devoto, le erette criniere. Allora, col petto appoggiato all’estremità del giogo, piegando il viso umido di pianto, comincia così, mentre i cavalli, col capo chino ai piedi della signora, mordono l’acciaio schiumoso: “Pure contro Tebe, fu suo nobile suocero, prepari la guerra, pronto a distruggere col ferro i tuoi nipoti? Non ti trattiene, nel tuo furore, la stirpe di Armonia, né le nozze celebrate in cielo, né queste lacrime? È questa la ricompensa per la mia colpa? Questo mi ha meritato il sacrificio dell’onore del pudore, questo la rete di Lemno? Vai pure, se ti fa piacere: ma non è così che mi dà ascolto Vulcano, questo marito offeso e irritato, e che pur mi obbedisce! Se io pretendessi che sudasse in eterno alle sue fornaci, che passasse le notti al lavoro, una dopo l’altra, sarebbe felice; perfino per te faticherebbe a fabbricare nuovi ornamenti e armi.