III sec. a.C.
APOLLONIO RODIO, Le Argonautiche, III, 35-49
Traduzione da: Apollonio Rodio, Le Argonautiche, libro III, a cura di A. Ardizzoni, Adriatica, Bari 1958
“Mio padre mi fece ignara, o Era, dei dardi di Eros, e non conosco alcuna cosa che susciti in me desiderio amoroso. Se a te il progetto piace, io certo ti seguirò: ma dovresti parlare tu, quando l’avrai di fronte”. Detto ciò, si alzarono e s’avviarono verso il grande palazzo di Cipride, che le aveva costruito lo zoppo marito quando l’aveva avuta in moglie da Zeus. Entrata nella corte si fermarono sotto il portico della camera dove la dea soleva apprestare il letto di Efesto. Ma egli si era recato di buon mattino nella fucina risonante d’incudini, nel vasto recesso dell’isola errante, dove forgiava tante opere d’arte con la vampa del fuoco; e lei, sola in casa, stava seduta sul seggio adorno, proprio di fronte alla porta. Con le chiome sciolte sulle bianche spalle, si pettinava col pettine d’oro, e stava per intrecciarle in lunghe trecce, quando, accortasi di quelle che stavano lì davanti, smise: le invitò ad entrare, si alzò dal suo seggio e le fece sedere sulle poltrone.