
Titolo dell'opera: la follia d’Atamante
Autore: Pittore di Dario
Datazione: 340-330 a.C.
Collocazione: Genova, collezione privata
Committenza: ignota
Tipologia: frammenti di cratere a calice apulo
Tecnica: cratere a calice apulo a figure nere
Soggetto principale: in basso nel registro inferiore Atamante sta al centro (indicato dall’iscrizione incisa sopra la sua testa, di cui rimangono le prime tre lettere); a sinistra di Atamante figura un pedagogo o messaggero; in alto a sinistra, nel registro superiore compare un cervo, alla cui destra figura Anfitrite (indicata anch’essa dall’iscrizione sulla sua testa); al centro sempre nel registro superiore compare una Nereide o animale marino, alla cui destra figura Nettuno.
Soggetto secondario:
Personaggi: Atamante, pedagogo o messaggero, Learco (?), Anfitrite, Nereide, Poseidone
Attributi: corona (Atamante); barba bianca, clamide (pedagogo/ messaggero); cervo (Learco) (?); corona, scettro (Anfitrite); Nereide (Ino-Leucotea) (?); tridente (Poseidone)
Contesto: la scena si svolge su due registri: quello superiore rappresenta il regno marino simbolizzato dalle divinità che lo sovraintendono, in quello inferiore che vede protagonista la figura di Atamante, non ci sono elementi sufficenti per l’identificazione di un contesto specifico.
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Schwanzar C., ad vocem Athamas, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Artemis Verlag, Zurigo Monaco 1984, vol. II, 1, pp. 950-953; Chamay J.-Cambitoglou A.,in "Antike Kunst", 23, 1980, pp. 35-43
Annotazioni redazionali: di questo Cratere a calice italiota si conservano solamente quattro frammenti che, nel loro insieme, danno inevitabilmente vita ad una iconografia mutilata. Tuttavia,al fine di dare un senso ai personaggi, per altro incompleti, dipinti su entrambi i registri e che, ad una prima verifica appaiono inconciliabili, si rende necessario un esame più attento. Essi, infatti, sembrano far parte di uno stesso tema: nel registro inferiore il frammento principale, è occupato da due personaggi dei quali si conserva solamente la parte superiore del corpo. A destra l’uomo barbuto con corona è impegnato in un’azione violenta come testimonia non soltanto, la sua clamide fluttuante sopra la spalla destra come fosse agitata dal vento, ma anche il suo volto, dal quale traspare una forte emozione. A sinistra un altro uomo stende la mano destra verso il primo, come se gli stesse parlando. Dalla postura delle sue labbra abbassate e, dal sopracciglio arricciato, si arguisce un sentimento di dispiacere e/o di disapprovazione. Nel registro superiore dello stesso frammento si distingue una divinità femminile seduta di tre quarti a sinistra, coronata da un diadema decorato, che serra un lungo scettro di cui l’estremità superiore è andata perduta. Sulla testa di quest’ultima, connotata da vistosi gioielli: orecchini, un doppio collier e un bracciale all’avambraccio destro, grava un’iscrizione che la designa come Anfitrite. A sinistra, ad un livello inferiore, figura un quadrupede in fuga del quale la testa non si è conservata, ma che grazie al suo manto corto e puntinato si è potuto identificare come un cervo. A sinistra di Anfitrite, nella stessa direzione del suo sguardo, figura un altro animale del quale solo la coda serpentina e la parte superiore della testa si conserva: le orecchie cavalline, la cresta, la pinna biforcuta, fanno di lui un animale marino contro il quale si distingue un piede umano calzante un sandalo che fuoriesce dal sotto di un chitone. Il piede presumibilmente, appartiene ad una Nereide che monta l’animale marino nel senso contrario di marcia. Sugli altri frammenti del registro superiore, figura una divinità maschile che fa da pendant ad Anfitrite: anch’esso serra un lungo bastone nella mano destra; questo però, non è uno scettro ma, dalla traccia superstite di una delle sue punte flesse, un tridente. Il tridente è l’attributo per eccellenza di Poseidone, lo sposo di Anfitrite. Così da una parte e dall’altra della Nereide cavalcante l’animale marino, i due sovrani del mare si scambiano degli sguardi complici. A destra di Poseidone la composizione è limitata da una colonna supportante un vaso a coste munito di due anse rotonde verticali. Ora, considerando la scena nel suo insieme, ai tre personaggi del registro superiore dovrebbero corrispondere, simmetricamente, altre tre figure o gruppi di figure nel registro inferiore. Si è già detto che il soggetto del registro inferiore si è individuato grazie all’iscrizione che compare sulla sua testa e che rivela la figura di Atamante, tuttavia, nessun vaso attico o italiota presenta il personaggio in un contesto simile a questo. Dal punto di vista iconografico, infatti, la figura di Atamante è nota per la partecipazione al mito di Frisso e per un altro episodio legato al suo mito, quello in cui gli viene affidata la custodia del piccolo Dioniso, frutto di un’amore adultero di Zeus. Se in nessun vaso fino ad ora conosciuto si illustra, dunque, il tema della follia omicida di Atamante di contro, nelle versioni mitologiche relative a questo eroe, il tema è presente. Secondo le fonti, infatti, reso folle da Era, Atamante uccide Learco, il figlio che aveva avuto dalla seconda sposa Ino, scambiandolo per una preda di caccia. Nelle numerose versioni del mito Learco muore talvolta, trafitto dalla spada del padre, tal’altra da una freccia o, ancora, Atamante gli fracassa la testa contro una roccia, oppure, viene bruciato vivo in un calderone d’acqua bollente. Quanto ad Ino, essa si getta in mare con Melicerte, il più giovane dei suoi figli. Tuttavia, un apporto fondamentale per la risoluzione delle problematiche legate al contesto iconografico e sollevate fino ad ora, è stato lo studio di Jacques Chamay e Alexandre Cambitoglou. Attraverso di esso infatti, gli studiosi giungono al vaglio di più ipotesi verosimili: Plinio (Nat. Hist. 34, 140), racconta che a Rodi, figurava la statua in bronzo (opera dell’artista Aristonide), di Atamante che, con il volto rosso, simulava l’onta del crimine appena commesso, recando il cadavere del figlio moribondo nelle sue braccia o a fianco a lui. A un epoca molto più tarda, Callistrate (J. Keil, Skulpturengruppen in Ephesos, 1952, p. 44), descriveva un opera d’arte che rappresentava Atamante che, in velocità, levava la spada al di sopra della sua testa mentre, la sposa Ino, serrava suo figlio contro il proprio petto. Ai piedi del promontorio dove Ino cercava rifugio il mare, popolato di divinità marine, era pronto a ricevere gli sventurati e a trasformarli in divinità marine: Ino in Leucotea, Melicerte in Palemone. Per tornare all’immagine del nostro frammento, è indubbio che l’agitazione d’Atamante qui descritta, suggerisce la scena della sua follia. L’uomo anziano sulla destra di Atamante, infatti, sembrerebbe supplicare il proprio padrone di risparmiare i suoi protetti Learco e Melicerte. Quanto ad Ino, la madre dei ragazzi, doveva anch’essa figurare; infatti, un ipotesi del genere non solo spiegherebbe la presenza nel registro superiore del mare simbolizzato dalle divinità marine, ma anche la presenza di Ino sotto forma di Nereide che, secondo gli studiosi francesi, sarebbe stata raffigurata come Leucotea (la metamorfosi di Ino in divinità marina, Leucotea, avviene grazie all’intercessione di Poseidone). Chamay e Cambitoglou, ricostruendo la scena del registro inferiore, sulla scorta della descrizione dell’opera di Callistrate, vagliano ancora un’ipotesi: Atamante minaccierebbe Melicerte che, rifugiatosi fra le braccia della madre, doveva comparire nella zona mancante del frammento, a sinistra di Atamante, mentre tiene Learco o Melicerte che Ino tenta di strappargli. In ultima analisi, gli studiosi immaginano la presenza sia di Learco che di Melicerte così rappresentati: Atamante minaccerebbe Learco che si trova vicino a lui o nelle sue braccia, ad una certa distanza, figurerebbe Ino nell’atto di serrare Melicerte contro il suo petto mentre si apprestava a gettarsi con lui in mare. Tutte queste ipotesi, suscettibili di notevoli progressi nell’ambito iconologico-iconografico, sono tuttavia destinate a rimanere tali giacché, il numero esiguo dei frammenti rimasti, non consente una verifica più puntuale circa l’identificazione della scena.
Claudia Terribili