sec. XVI
Giraldi Lilius Gregorius, De deis gentium, (edizione del 1548)
pg. 97 vv. 41-42
“(…);Frisso, figlio di Atamante fugge
con l’ariete dal vello d’oro (…).
pg. 97 vv. 49-50
“Atamante, figlio di Eolo, con Ino macchinava
di nuocere al figlio Frisso (…).
pg. 162 v. 15
“I latini chiamano Portuno anche Nettuno intendendo talvolta Palemone(…)”.
pg. 162 vv. 19-36
“Anche Cicerone dice nel libro: De Natura Deorum che Nettuno è detto così da NANDO, nuotare e Portuno da PORTO, portare e quindi lo definisce agente di Nettuno e Arnobio nel III libro: Adversus Nationes dice:
- Portuno offre a chi gli si affida sicurissime navigazioni per mare, ma perché l’insano mare offre tante rovine di tanti naufragi? – Anche Apuleio nel IV libro L’asino D’oro, dice: - E’ Portuno ispido con la barba cerulea e Salacia con il grembo pieno di pesci e il piccolo Palemone, auriga di un delfino; le schiere di tritoni appaiono qua e là per il mare e questo suona dolcemente la conchiglia sonante e quello con una coperta di seta si oppone all’ardore del sole molesto, un altro porge uno specchio sotto gli occhi della dea.- In questo passo Portuno è di fatto diverso da Palemone e viene aggiunta Salacia che si dice essere moglie di Nettuno come dicono anche Varrone, Agostino, Servioe Marziano. Ma circa Palemone che dai nostri è detto Portuno dirò poco altro; da lui hanno preso il nome i Portunalia come attesta Varrone ed essendo stata istituita questa festa gli fu consacrato un tempio nel porto Tiberino. Festo dice che chiudere deriva da CLAVIS, così come in greco, e credevano che la protezione della chiave fosse di Portuno, raffigurato con la chiave in mano, poiché così era onorato”.
pg. 166 vv. 13-15
“Portuno, tuttavia, avvolte descritto come un tritone biforme ha una parte di uomo e l’altra di cetaceo, a causa della doppia forza di liquidi sanguigni uno dei quali è dannoso, l’altro no”.
pg. 167 vv. 46-52 / 1-14
“Portuno è dio marino come dice Servio, come custode di porti. Plauto in Rudent dice: “Ho Palemone santo compagno di Nettuno”. Atamante dopo il furore indotto da Giunone, ucciso Learco, detto anche Clearco, uccise con sua moglie Ino anche l’altro figlio Melicerte e precipitarono in mare e furono tramutati in divinità dagli dei. Melicerte in Portuno che i greci chiamano Palemone, Ino in Mater Matuta che i greci chiamano Leucotea. Come racconta Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi e Lattanzio grammatico in Theb. (vv.1-14)
e i proverbi latini e greci, sui dolori di Ino. Negli Inni Orfici compaiono un’altra Leucotea (nota per) dall’aroma profumata e un altro Palemone (noto per) dai granelli d’incenso: dagli Inni apprendiamo che sono madre e figlio, educatori di Dioniso. Nell’undicesimo quartiere di Roma nel Circo Massimo che fu dedicato a Nettuno c’erano due are (templi) di Portuno e uno era presso il ponte Emilio (Sublicio) e l’altro fra Apollo celispide (che guarda il cielo), e Ercole olivaro. Chiamato Palemone nel V libro da Virgilio, Filostrato descrive l’immagine di Leucotea nel II libro delle Immagini. Orfeo dice che Leucotea portava aiuto alle navi e soccorreva i naviganti come dice anche Properzio nel II libro:
“Ino etiam prima terras aetate vagata est,
Hanc miser implorat navita Leucotheam.
Sanem Portunum pro Neptuno à latinis
Interdum desumi supram à nabis iam
Ostensum est ”.
pg. 263 vv. 33-34
“Paus. Tamen in Laconicis, Ino Dionysi nutrice tradit. Quod et Ovid. Quin etiam antrum oftendi ait, in quo fuerit nutritus, ut alibi est copiosius relatum”.
pg. 264 vv. 29-30
« Sed in antro nutritum quidem Dionysium, ait Paus. In Laconicis ab Ino etiam campum ».