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1313-1375

Giovanni Boccaccio, Genealogiae Deorum Gentilium,

II 67, 1 - 2

“1.(…).Ino come dice Ovidio, fu figlia di Cadmo e di Ermione (o Armonia). Sposò Atamante figlio di Eolo e gli partorì Learco e Melicerte. Quando vide Learco ucciso dal padre, impazzito, temendo per se e per l’altro figlioletto, si gettò a precipizio nel mare da un alta rupe. 2. Perciò dicono che, per compassione di Nettuno, ella fu fatta dea marina col nome di Leucotoe e Melicerte con quello di Palemone. Io credo che quelli fossero i luoghi ai quali il mare portò i corpi degli uccisi e che alle persone trasportate dal mare furono posti nomi di divinità, a confronto di quelli che sopravvissero o, piuttosto, nel modo che sotto si legge nel capitolo su Learco e Melicerte”.

X 4 - 5.

“(…) Allora apparirono i diversi aspetti dei compagni di Nettuno: grandi mostri marini e il vecchio coro di Glauco, e Palemone, figlio di Ino (…)”.

XI 40, 9 - 15

“9.(…). Leucotoe ebbe compassione di lui, che arrancava a nuoto, e gli offrì il suo velo; con l’aiuto del quale, il terzo giorno giunse al lido ed entrò nelle foci del fiume dei feaci. Ivi gettato il velo nel mare, si pose nudo tra le fronde dei boschi (…) 15. Il velo poi offerto da Leucotoe ad Ulisse naufrago, credo che sia l’immutabile speranza di salvarsi che egli serbava nel forte petto. Questa fece sì che non disperando, non corresse pericolo. Egli lasciò indietro questa speranza, quando ebbe ottenuto il suo intento”.

XIII 67, 1- 4

1. Il re Atamante fu figlio di Eolo, come ben risulta da Ovidio.

Servio riferisce di lui questa storia. Dice che Atamante dalla moglie Nefele ebbe i figli Frisso ed Elle; ma poichè la moglie, per la follia suscitata dal padre libero, se ne andò nelle selve, Atamante diede ai figli in suo luogo, per matrigna Ino, figlia di Cadmo. Ella, come sono solite le matrigne, ardì la rovina dei figliastri, accordandosi con le donne che guastassero il grano che doveva essere seminato; e, ciò fatto, ne seguì una grave carestia.

2. Alla fine Atamante mandò a consultare l’oracolo; ma Ino corruppe con inganno colui che era stato mandato a interrogarlo e fece sì che ne riportasse il responso che, per far cessare la carestia, dovevano essere immolati i figli di Nefele, che già da lei erano stati accusati di aver bruciato il grano. Ma Atamante, temendo l’invidia della plebe, affidò, bensì pubblicamente, all’arbitrio della matrigna i figli Frisso ed Elle; ma nascostamente offrì ad essi un rimedio salutare e fece in modo che Frisso portasse via il montone d’oro. Frisso, avvertito da un cenno di Giunone, salendo sul montone con la sorella Elle, evitò la morte e se ne andò.

3. Poi Ovidio aggiunge che Giunone eccitò dall’inferno le Furie contro Atamante. Esse entrarono nell’aula in cui si trovava e gli gettarono addosso serpenti e lo portarono a un punto tale di follia che, mentre vedeva Ino che gli veniva incontro coi due figli, la credette una leonessa e i figli suoi cuccioli; e così, gettando un potente grido, irruppe su di essi e, con tutte le forze, schiacciò ad un sasso uno dei figli, Learco strappato alle braccia della madre. Ino, vedendo atterrita il gesto di Atamante, fuggì con l’altro figlio Melicerte e si gettò a precipizio nel mare dalla rupe che è detta Leucotoe. Non resta traccia di ciò che infine sia accaduto di Atamante. 4. Ma per ciò che riguarda Atamante, dice Barlaan che l’odio di Ino verso i figliastri fece si che, per opera di un certo Ariete, allevatore di Frisso, lo stesso, con la sorella Elle, potè fuggire con tutti gli ornamenti regali e il tesoro. Di ciò dolendosi Ino, non solo molestava Atamante con litigi per aver spogliato il regno delle ricchezze e dello splendore regale, ma aveva acceso contro di lui, come rovina del regno, tutti i prìncipi di esso. Spinto dallo sdegno e acceso dall’odio contro Ino, Atamante un giorno irruppe, come furioso, non solo su di lei, ma anche sui figli, che da lei aveva avuto; e ne seguì ciò che sopra si è detto.

XIII 70, 1-3

1. Learco e Melicerte furono figli di Atamante e di Ino, figlia di Cadmo, come sopra si è detto. Questi, come abbiamo prima indicato, morirono fanciulli; Learco morì schiacciato dal padre ad un sasso; Melicerte annegò, perchè con lui la madre Ino si era gettata in mare: dicono tuttavia che Venere, avendo compassione di loro, pregò Nettuno che li mettesse al numero degli dei del mare, e così accadde. Perciò Ino fu detta Leucotoe, dalla rupe dalla quale si gettò in mare; in latino si dice Amatuta. Melicerte poi fu detto Palemone, che in latino suona Portunno; e con templi e sacrifici furono venerati a lungo come dei. 2. Servio invece dice che Melicerte dalla Beozia andò per mare a Corinto e che fu accolto dal re Etiope e che i giochi sacri Istmici, che erano celebrati in onore di Nettuno, furono detti Melicerti. E da ciò deriva che da Nettuno (Ino e Melicerte) furono ascritti a dei del mare. Teodonzio vi aggiunge la causa, dicendo che, essendo Ino bellissima e giovane e Melicerte un fanciullo splendido, fuggendo giunsero a Sisifo, che fu da alcuni anche chiamato Etiope; e che lo stesso Etiope, incline alla libidine, abusò di loro e in premio di ciò li fece dei del mare; e così appare che Venere intercedesse per loro. Altrove dice Teodonzio che Etiope premise quei fuggitivi al governo del porto e che ad essi diede tutto il ricavato da quello per le spese quotidiane; e che da ciò non furono mutati i loro nomi. 3.