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V sec. d.C.

Nonno di Panopoli, Le Dionisiache:

V vv. 557-562

Dopo la sua unione con Nefele, dopo il suo primo matrimonio, Atamante riconosce nel suo letto la vergine Ino. Essa partorisce Learco dalla sorte crudele, poi Melicerte; il suo destino è di andare un giorno ad abitare il mare, nella sua qualità di nutrice di Bacco, che essa ha allattato nei suoi primi anni: ella donò infatti, lo stesso seno a due fanciulli, Palemone e Dioniso.

IX vv. 52-112

(…). Hermes alato non veniva a rapire Bacco e lo preleva una seconda volta*. E, tenendo contro il suo petto salvifico il piccolo “portato” come poco tempo prima, egli lo conduce nella dimora di Ino, madre da poco, partoriente.

Ella solleva nelle sue mani materne scaturito dalle sue viscere, Melicerte, bimbo ancora neonato che trattiene nelle braccia*; e i suoi seni lasciavano stillare la rugiada del loro latte che la opprimevano*. E il dio saluta la giovane donna con modi amabili emanando dalla sua bocca profetica queste parole divine*:

- “ Ricorda, donna, un nuovo figlio; accogli sul tuo seno il bambino di tua sorella Semele che nella stanza nuziale la stessa folgorazione del lampo non ha potuto annientare, come anche le scintille della folgore non hanno potuto distruggere la penosa madre. Che il neonato sia custodito in una dimora oscura, che egli sfugga, nel fondo di questo luogo, il giorno dagli sguardi di Fetonte, la notte da quelli di Selene*; affinché, tanto quanto sarà fanciullo, la gelosa Hera dal pesante risentimento non potrà vederlo nel suo nascondiglio, benché sia nominata < dea dagli occhi taurini* >. Ricorda il figlio di tua sorella; Zeus ti ricompenserà degnamente delle sofferenze che ti arrecherai per allevare Bacco*. Beata sei tu fra tutte le figlie di Cadmo*! Di già, infatti*, Semele ha ceduto sotto un tiro di fiamma; la terra coprirà Autonoe con suo figlio morto e per entrambi il Citerone non innalzerà che una sola tomba*. Agave ancora, errante nella montagna, passerà alla morte quando, dopo la morte di Penteo, ella calpesterà una polvere straniera*, omicida di suo figlio, esiliata dalla sua città*. Tu sola potrai vantare l’orgoglio di abitare l’immenso mare, di entrare nella casa di Poseidone* divinità marina come Teti, come Galatea, Ino porterà il nome d’Idriade*. Il Citerone non ti seppellirà mai in una tomba sotterranea, ma tu diverrai la prima delle Nereidi. Nell’attesa di una sorte migliore*, dona il nome di padre a Nereo e non più a Cadmo, poiché tu vivrai con tuo figlio, l’immortale Melicerte, sotto il nome di Leucotea, detentrice della chiave del mare placido* e sovrana, dopo Eolo, delle favorevoli navigazioni. Allora*, per molto tempo, il marinaio confidando in te navigherà sui flutti per il suo commercio e innalzerà un solo altare per un sacrificio comune a Enosittone e a Melicerte*; e il dio dai crini d’azzurro prenderà Palemone per auriga del suo carro marino*” -

A queste parole, Hermes si lanciò prestamente* verso il cielo, agitando nell’aria i suoi calzari alati, rapidi come il vento*.

Ino non disobbedì*; con riguardo affettuoso prende nelle sue braccia, con un abbraccio materno, Bacco privato della madre, poi corica sulle sue braccia la coppia dei due bambini per offrire la coppia dei suoi seni a Palemone e a Dioniso*. E rivela il nuovo neonato alla sua serva, la giovane Mystis, una Sidoniana dalla bella capigliatura, Mystis che, dalla sua infanzia, Cadmo aveva allevato per farne la domestica di sua figlia Ino*, Mystis prende allora Bacco dai seni che nutrivano il dio e, per sottrarlo dagli sguardi, lo nasconde in una caverna tenebrosa*.

E, testimonianza spontanea della nascita da Zeus, il bagliore della sua fronte risplende*, abbaglia; le tetre pareti della dimora si illuminano e l’oscurità scompare sotto il bagliore di Dioniso invisibile*.

Ino sveglia tutta la notte* segue Bromio che brilla: sovente Melicerte trepidante; si lancia per succhiare a sua volta, dalle sue labbra, l’estremità dell’altro seno, scivolando vicino a Dioniso che, mormorando, dice “évohé”.

E Mystis* alleva il dio, quando egli libera il seno della sua matrigna(…).

IX vv. 132-138

Ma, nel fondo della dimora sigillata da molteplici catenacci, gli occhi infallibili di Hera che tutto scorge lo scopre benché sia custodito nel più segreto degli ambienti nascosto da Mystis.

E la dea giura sull’onda infernale dello Stige nel castigo tardivo* di sommergere la casa d’Ino sotto tutte le calamità della mala sorte. Ella vuole annientare il figlio di Zeus*, ma Hermes lo ha di già prelevato e lo porta verso le creste boscose di Cybèle*.

IX vv. 244-251

(…) la moglie di Zeus*, infuriata, colpisce Ino di follia per cacciarla dalla sua patria: ella appare all’improvviso sulla dimora di Atamante, piena di collera contro Dioniso di nuovo a balia.

Allora Ino*, la malcapitata moglie, fugge dal suo palazzo e si mette a percorrere in tutti i sensi, a piedi nudi*, le cime rocciose, correndo alla ricerca di una traccia di Dioniso scomparso!

Nella sua fuga, la giovane donna va di montagna in montagna, fin quando ella conquista le rocce della delfica Pizia*.

IX vv. 275-321

Ma, nelle sue scorribande attraverso i mille antri della foresta ove ella dimora, non sfugge all’occhio infallibile di Apollo. Impietosito, il dio si approssima in fretta nella macchia, prende l’aspetto di un mortale per avvicinare la giovane donna e, con delicatezza, < sfiora > la superficie del corpo di Ino…(…)…, corona < la sua testa di una ghirlanda > di alloro profetico*, e fa cadere su di essa un dolce sonno*. Poi unge d’ambrosia tutto il corpo di Ino addormentata nel suo delirio*, bagna le sue membra deliranti con un unguento riposante. A lungo ella resta là, nella foresta del Parnaso, tre anni; e vicino alla roccia profetica*, ella istituisce dei cori in onore di Bacco ancora bambino* secondo l’oracolo di Apollo.*

Portando delle torce per illuminare la loro veglia, le baccanti corinzie accorrono alle cerimonie profumate d’incenso; e, dalle loro mani sacre, ramificano le piante che annientano la follia e guariscono la giovane donna*.

Frattanto*, su ordine di Atamante, i suoi servitori condussero ovunque alla ricerca vagabonda; errando anche nella montagna*, i suoi servi, in truppa, battendo in tutti i sensi il paese alla ricerca della loro padrona, senza pervenire a scoprire le tracce vagabonde* dell’inafferrabile errante. Le donne* si diedero alle lamentazioni, le loro unghie crudeli lacerarono le loro guance che si arrossano e le loro dita si accanirono sui loro seni di rosa. Quel concerto di lamentazioni riecheggiò attraverso la città, grida di lutto che riempirono la dimora d’Atamante*! E la consapevole Mystis piena di pena, abbattuta com’era d’un doppio dolore*: la malcapitata Ino continua a fuggire in preda al suo tormento e Dioniso è stato rapito*! Tuttavia il re Atamante cessa di piangere la pietosa moglie; abbandonando nell’oblio il dispiacere d’Ino scomparsa*, come aveva abbandonato il letto di Nefele, sua prima moglie, che gli aveva dato due figli, egli entra nel dolce giaciglio di Temisto dalla profonda cintura e sposa in terze nozze questa figlia di Hypseus*, ripudiando l’amore di Ino. E*, facendo gli occhi dolci della nutrice, egli lancia in aria Melicerte, così in alto, per fargli fare la piroetta, e consola così nelle sue braccia il piccolo che dice “ papà ”; e, come reclama in lacrime la mammella gonfia di latte, egli stesso offre il suo seno d’uomo e dissipa il rimpianto di sua madre.

Dal giaciglio d’Atamante, Temisto fa nascere dei figli dalla forte corazza, veri bastioni da combattimento*, Schoineus e Leucon*, giovane stirpe coraggiosa, nella prima maternità. Dopo questi due, la madre ha una doppia progenie, frutto di un solo ed unico parto*; ella diede alla luce Porpyréon e Ptoios e li allattò dal suo seno generoso*, giovani rampolli capaci di allontanare la sventura, tutti e due cari e della stessa età; ma un giorno la loro madre li fa morire, come se fossero i figliastri di una matrigna*: Temisto li aveva scambiati per la doppia progenie d’Ino dai bei fanciulli*.

X vv. 1-138

Fù così* che la madre omicida uccide i suoi figli, sotto l’effetto della follia; e il padre dei bambini subito punisce chi attesta la sua colpa*, perché quando egli guarda al suo focolare*, Temisto*, distruttrice della sua razza: Atamante, colpito dalla conturbante frusta di Pan, va in mezzo ai suoi armenti e si immagina di frustare i suoi servitori, allora egli da la caccia a degli innocenti greggi di pecore dal grosso vello.- E rapisce una bestia che prende per sua moglie, una pecora con due piccoli, pendenti dalle sue mammelle gonfie di latte nuovo*; egli se ne impossessa e impedisce le sue zampe pelose con un doppio laccio*. Poi si stacca la cintura che gli cingeva i reni* per colpire il corpo legato di questa falsa Ino, senza avvedersi di quella illusione. Dalle sue orecchie* non cessa di rumoreggiare la frusta di Pan*. Sovente, in preda all’agitazione*, si lancia dal suo seggio, quando le sue orecchie spaventate sentono fischiare dei serpenti*. Senza riposo egli tende il suo arco; ma, sulla corda che s’incurva, il dardo parte verso un bersaglio vano, non colpisce che l’aria, senza fare ferite*. Egli credette di vedere l’immagine viperina della dea del Tartaro* e tremolo di terrore dinanzi a questo spettro dall’aspetto ingannevole*: egli sputa una schiuma bianca, sintomo della sua follia*, e ruota i suoi occhi rabbiosi e minacciosi. E getta degli sguardi inquieti, nell’ebbrezza del suo smarrimento, gli occhi ignettati di sangue*; dalle tempie, le fragili meningi della sua testa, sono prese da vertigini*. E’ la fine della terza facoltà della sua mente*. La lucida ragione, nel suo cervello malato è vacillante. E i suoi occhi ruotano e vaneggiano come delle baccanti sotto il dardo che tormenta l’uomo*; la lunga capigliatura risparmiata dalla spada cade in disordine dalla sua testa e si agita sulla sua schiena*. La sua bocca balbetta e le labbra si aprono per spargere nell’aria l’assurdo clamore di parole incoerenti*. E gli aneliti delle Eumenidi suscitano in lui il bisogno di alimentarsi che anima gli uomini, e la lingua si appesantisce sotto la sua voce delirante*. Come si avvede della ronda, girando la testa*, la forma estranea, illusoria, di Megera invisibile, Atamante, assillato da follia, è agitato da una foga di demenza*. E, dalla terribile mano della dea scaturisce il suo turbamento, egli vuole strappare la sua verga di vipere*; poi sfodera la spada contro la testa dell’Erinni per mozzare le bocche viperine di Tisifone*. E tiene dei vani discorsi al muro vicino, quando scorge l’ombra ingannevole, la falsa immagine di Artemide: l’inconsistente spettro che si offre al suo sguardo, apparizione illusoria, gli trasmette il bisogno di cacciare.

Alla fine, trascorsi tre anni, dopo aver versato tante lacrime*, Ino fa ritorno*. La giovane donna vede suo marito colpito da follia, e Temisto madre di una stirpe forte: ella apprende un doppio dolore. E suo marito non riconosce la sua compagna, nel vedere Ino ritornare dopo tanto tempo.

Ma, preso dall’insania di cacciare il cervo, con tutta la velocità nelle sue ginocchia*, si lancia verso la montagna con l’impetuosità della tempesta: individua suo figlio che scambia per una preda cornuta. L’arco tende, e si precipita immediatamente su Learco che vede sotto l’aspetto ingannevole di un cervo dalle alte corna, il corpo simile alla bestia. Il ragazzo fugge; il terrore gli mette le ali e rende le sue ginocchia rapidissime*. Ma, dalle sue mani frenetiche tirando un dardo alato, il padre inchioda sul posto suo figlio con una saetta infanticida; e col suo coltellaccio*, gli tronca la testa, senza riconoscerlo: nella sua allucinazione, è quella di un cervo! Come quel muso non ha più i sensi per lui, gli accarezza sghignazzante la mandibola insanguinata* e la tratta come fosse d’una bestia. E, sotto l’impulso della follia, senza seppellire suo figlio Learco che palpita ancora*, si lancia alla ricerca di sua madre, roteando degli sguardi torvi*; nessuno dei servi si avvicina. Nel suo smarrimento, percorre a passi incalzanti* il suo palazzo e chiama suo figlio che vuole uccidere*! Poi, quando scorge nella dimora il piccolo Melicerte che vuole prendere*, piazza un calderone sul focolare dall’anelito di fuoco e mette suo figlio nel mezzo; mentre che si incendiavano i tizzoni, l’acqua nel catino micidiale bolle e fuma.

Il piccolo chiama suo padre con grandi grida*, ma nessuno dei servi poteva soccorrerlo. Allora sua madre gli viene in soccorso, sottrae dal calderone il bambino semibruciato dal fuoco*, poi Ino precipita in una corsa vagabonda veloce come il vento; e, come attraversa la polverosa Pianura Bianca, riceve in dono il nome di Dea Bianca*(Leucothéa). Nel suo terribile furore, Atamante si lancia fuori dal palazzo e le sue gambe vanno veloci come il vento, tanto che individua Ino, in vano, giacché essa è più veloce a dirigersi verso la montagna. Ma, intanto che il terrificante marito si avvicina ad essa*, a forza d’incalzare l’andatura dei suoi passi barcollanti, la poveretta, si ferma sul bordo del mare che bagna i suoi piedi, si lamenta con voce lagnante di suo figlio gemente* accusando Zeus e il suo messaggero, il figlio di Maia:

- “Bella ricompensa, Dio della folgore bianca, che mi doni per aver nutrito Bacco! Contempla questo ragazzo, il discendente di Laio, a quasi ucciso! Se bello ti sembra*, umiliata dalla tua folgore implacabile la madre e questo giovane figlio che io ho nutrito dallo stesso seno come Dioniso, tuo divino rampollo, suo fratello di latte. – Figlio mio, e’ necessario l’intervento di una potente dea*. Dietro a chi potrai fuggire? Quella montagna ti accoglierà, quando sarai fuggito fino al bordo del mare*? Il Citerone ti nasconderà in una grotta oscura? Quel mortale ti compatirà, quando tuo padre non avrà pietà di te*? E’ il ferro o il mare che ti attende*. Proprio perché si deve morire, che questo succeda in mare piuttosto che per la spada*! Io so perché questo maleficio è piombato su tua madre, io lo so: Nefele lancia su di me le Erinni, affinchè io muoia nelle onde del mare dove morì la vergine Helle. Ma io ho appreso che portato in aria, verso la terra dei Colchidi, dall’ariete rapitore di cui egli era stato l’aereo cavaliere, Frisso è sopravvissuto, in esilio*. Ah! Se potesse anch’egli viaggiare attraverso il cielo su un ariete dal vello d’oro, mio figlio Melicerte, e trovare la via di salvezza lasciando la sua patria! Ah! Se Poseidone, quel Phoibos un tempo, avesse pietà di tua madre Ino*, potrebbe salvarti come raccolse Glauco*!

----Io temo*, dopo aver visto morire Learco privato di sepoltura, di vederti morire a sua volta senza che si possa rinvenire né piangere il tuo cadavere*, agonizzante sotto le coltellate sanguinanti di tuo padre*. Muoviti, fuggi il furore d’Atamante! Che tu non veda più tuo padre, omicida dei suoi figli, assassinare tua madre! ----- Accoglimi a sua volta, mare; io abbandono la terra! Accogliete oh Nereidi, nelle vostre braccia ospitali, Melicerte, come un tempo Perseo! Come tu facesti un tempo per Danae e il suo forziere, accogli Ino fin d’ora, altra navigatrice. -----

La mia empietà è valsa, a mia volta, questo giusto castigo: si, Zeus nel tornare rende la mia razza sterile*, come io avevo reso sterile il solco fecondo della terra*. Io ho agito da madre snaturata quando meditai di falciare la stirpe bastarda d’Atamante*, ho incontrato la collera di Era, la madrina di Dioniso, il mio lattante pocanzi*”.

A queste parole, all’improvviso, ella si lancia nel mare* e scompare rapidamente con suo figlio: E il Dio dal crine d’azzurro apre le braccia per accogliere Leucotea al focolare delle divinità dall’umida dimora*. Da allora, soccorre i marinai durante le navigazioni; Ino, nel mare, è diventata una Nereide che regna sulla calma delle flotte silenziose*.

Allora Zeus sovrano la mostra alla madre di Laio, perché ella diede la sua apoteosi a Bromios. E Semele, piena di gioia, lancia a sua sorella, nel suo soggiorno marino, queste parole raggianti*:

“Ino, tu domini il mare, ma Semele ha avuto per premio la volta dell’Olimpo! Cedimi il passo! Perché è grazie a Zeus, fondatore della mia stirpe*, che ho avuto uno sposo immortale, ed egli ha partorito al mio posto il frutto del mio parto: tu, tu non sei stata altro che la donna di un marito mortale, quell’Atamante che ha distrutto la tua stirpe. Tuo figlio non ha avuto per luogo che il mare; ma il mio bambino andrà ad abitare l’etere, nella dimora sublime di Zeus. No, davvero, io non posso mettere a confronto il celeste Dioniso e Melicerte, abitatore degli abissi marini”.

Ecco quello che proclama Semele nel cielo, schernendo il destino marino di sua sorella Ino.