I sec. d.C.
Ovidio, Fasti
III vv. 851-876
“(…) Ora puoi alzare gli occhi al sole e dire: “da ieri
esso ha toccato la lana dell’ariete di Frisso”. A causa
dei semi tostati forniti per frode dalla perfida matrigna,
il frumento non aveva prodotto le consuete spighe.
Venne chiesto un responso al tripode di Delfi, per
sapere dall’infallibile oracolo in che modo porre rimedio
alla sterilità della terra. Ma l’inviato, corrotto al pari
delle sementi, riferì che l’oracolo esigeva la morte di
Elle e del giovane Frisso. I cittadini, la drammaticità
del momento ed Ino costrinsero il re ad acconsentire,
suo malgrado, allo scellerato verdetto”. Frisso e la
sorella, con una fascia attorno alle tempie, sono
ambedue in piedi davanti all’altare e piangono sulla
sorte che li accomuna. La madre, trovandosi per caso
a librare nell’aria, li vede e infuriata si percuote con le
mani il petto scoperto. Poi, in compagnia delle nubi, si
precipita nella città nata dal drago e rapisce i suoi figli.
Per consentire loro la fuga, li affida ad un ariete tutto
coperto di splendido oro: esso porta ambedue nel
luogo stretto di mare. Si dice che la fanciulla non si
reggesse saldamente alle corna ed abbia così dato il
suo nome a quel tratto di mare. Rischiò di morire anche
il fratello nel tentativo di salvare la sorella caduta.(…)
Dopo aver toccato terra, l’ariete fu trasformato in
Costellazione, ma il suo vello d’oro finì nel palazzo
della Colchide.
Matralia: 11 Giugno, VI vv. 475-562
“Andate brave madri (sono vostre la feste Matrali),
offrite alla dea Tebana focacce dorate! C’è una piazza,
assai frequentata, collegata ai ponti e al grande Circo:
deve il suo nome alla statua del bue che vi è collocata.
Si dice che in questa giornata la mano regale di Servio
abbia qui consacrato il tempio consacrato alla Madre
Matuta. Chi è questa dea? Perché essa tiene le schiave
fuori ed esige focacce tostate? Se questa è anche casa
tua, Bacco dai capelli cinti di grappoli e d’edera, ispira
l’opera del poeta! Per la condiscendenza di Giove, Semele
era morta bruciata: tu, fanciullo, fosti accolto da Ino, che
ti fece da nutrice con grandissima cura. Giunone si adirò
per il fatto che lei allevasse il bambino strappato alla
sua rivale: ma si trattava del figlio della sorella.
Atamante cadde così in preda alle furie e alle
allucinazioni e tu, piccolo Learco, moristi per mano di
tuo padre. La madre, addolorata, accompagnò l’ombra
di Learco alla tomba e rese il dovuto omaggio al rogo
dell’infelice. Poi, così com’era, con i capelli scarmigliati
dal lutto, si precipitò da te, Melicerte, portandoti via
dalla culla. C’è un luogo, racchiuso in una piccola
porzione di terra, che fronteggia due mari e, caso unico,
è battuto dai flutti da due parti diverse. E’ qui che lei si
recò, stringendo follemente fra le braccia il bambino, e
con lui si gettò da un’alta rupe nella profondità del mare.
Panope e le sue cento sorelle li misero in salvo e li
spinsero dolcemente nel loro regno. Lei non si chiamava
ancora Leucotea e il bambino, non era ancora Palemone
allorché arrivarono alla foce del Tevere pieno di vortici.
C’era un bosco, non si sa se si chiami Bosco di Semele
oppure di Stimula; si dice che fosse abitato dalle Menadi
Ausonie. Ino chiese a quale popolazione appartenessero.
Seppe che si trattava di Arcadi e che il re di quel luogo
era Evandro. Ma la dea Saturnia, nascondendo la propria
natura, sobillò le baccanti del Lazio con queste insidiose
menzogne: < credulone, siete completamente pazze,
questa straniera non è venuta nel nostro sodalizio con
intenzioni amiche: ci ha ingannate e vuole impadronirsi
dei nostri sacri riti. Lei ha però con se un pegno con cui
potrà pagare il fio >. Non appena finì di parlare, le Tiadi
riempirono l’aria di ululati e, con i capelli sciolti sul collo,
le misero addosso le mani tentando di strapparle il bambino.
Lei invocò questi dei di cui ancora ignorava il nome:
< dei e abitanti di questa regione, venite in aiuto di una
povera madre! >. Le grida raggiunsero il vicino colle
Aventino. Sulla riva era sbarcato l’Eteo, portando con se
la mandria d’iberia. Egli sentì quella voce e corse veloce
nella direzione da cui essa veniva: le infami donne,
sorprese dall’arrivo di Ercole mentre si apprestavano a fare
violenza, si volsero il fuga. < Che sei venuta a cercare da
queste parti >, disse, < Zia di Bacco? > (l’aveva infatti
riconosciuta). < Perseguita forse anche te la dea che mi è
ostile? >. Lei racconta parte della vicenda, la parte relativa
al bambino la omette, vergognandosi di essersi lasciata
indurre dalle furie a un delitto. La fama, veloce com’è, vola
ad ali spiegate ed il tuo nome, Ino, è sulla bocca di tutti.
Trovasti un sicuro rifugio, si dice, nella dimora di Carmenta,
e lì interrompesti il tuo lungo digiuno. La stessa sacerdotessa
Tegea, raccontano, si affrettò a prepararti con le sue mani
delle focacce dopo averle rapidamente cotte nel focolare.
Ancora oggi, in occasione delle feste Matrali, lei ama le
focacce: quella rustica offerta le era piaciuta di più di
ogni raffinatezza. < E adesso >, disse, < o veggente,
rivelami, se ti è possibile, quale destino mi aspetti.
All’ospitalità che mi hai offerto aggiungi, ti prego, anche
questo >. Ci fu un breve silenzio, la veggente si rivolse
al cielo e alle divinità e il suo cuore fu subito tutto
ispirato dal dio. All’improvviso l’avresti potuta riconoscere
a stento, tanto più santo e maestoso di prima si era fatto
il suo aspetto: < annuncio eventi felici >, disse, < gioisci,
Ino, i tuoi travagli sono finiti. Sii sempre propizia a questo
popolo! Sarai una dea del mare, ed anche tuo figlio
apparterrà al mare. Assumete un nuovo nome in queste
acque che vi appartengono! Per i greci tu sarai Leucotea,
nella nostra lingua ti chiamerai Matuta. Tuo figlio avrà
piena giurisdizione sui porti: noi lo chiameremo Portuno,
nella sua lingua sarà Palemone. Andate, vi prego, siate
ambedue propizi a queste terre! >. Lei annuì, promettendo
di farlo. Terminati i travagli, cambiarono nome: lui ora è
un dio, lei una dea. Volete sapere perché essa vieti l’accesso
alle schiave? Le odia, e se lei lo consente, vi pregherò il
perché di questo odio. Una delle tue ancelle, figlia di Cadmo,
aveva frequenti rapporti con tuo marito. L’infedele Atamante
l’amava di nascosto e da lei seppe che tu fornivi ai contadini
semi tostati. Lei nega di averlo fatto, ma la tradizione lo
afferma. E’ questo il motivo per cui odia coloro che prestano
servizio da schiave. La madre devota non supplichi però
questa dea per i propri figli: lei non sembra esser stata una
madre felice. Cosa migliore è raccomandarle i figli degli altri:
lei giovò più a Bacco che ai propri figli”.