I sec. a.C.
Ovidio, Metamorfosi
III vv. 313-315
“Di nascosto la zia materna Ino lo alleva nei primi tempi,
quelli della culla, poi lo affida alle ninfe di Nisa che lo
rimpiattano nelle loro grotte, nutrendolo di latte”.
IV vv. 416-422
“Allora davvero Bacco divenne famosissimo per tutta
la regione di Tebe, e Ino, la zia, andava raccontando
a tutti della grande potenza del nuovo dio. Di tante
sorelle, essa era l’unica a non averre avuto dispiaceri
tranne quelli che le avevano causato le sorelle.
Giunone vide che costei era tutta fiera del marito
Atamante, dei figli e anche del divino pupillo. Non lo
sopportò e disse tra sé (…)”.
IV vv. 428-431
“(…) Che cosa possa la pazzia, lo ha dimostrato più che a
sufficienza con l’uccisione con l’uccisione di Penteo.
Perché non infondere a Ino il pungolo della pazzia e non
farle seguire l’esempio della sorella ? ”.
IV vv. 447-456
“Ebbe l’ardire di andare laggiù, Giunone figlia di Saturno,
lasciando la sede del cielo: tanto era presa dall’odio e
dall’ira. Appena entrò, appena la soglia scricchiolò sotto
il peso del suo sacro corpo, Cerbero levò i suoi tre musi
e mandò tre latrati in una volta. Giunone chiamò le Furie,
figlie della notte, divinità terribili e implacabili. Esse
sedevano davanti alla porta di un carcere chiuso con
spranghe di duro metallo, pettinandosi i neri serpenti che
scendevano di tra i capelli. Come la riconobbero attraverso
la foschia, si alzarono”
IV vv. 465-480
“La figlia di Saturno lanciò a tutti una torva occhiata, specialmente
a Issione, e poi tornando con lo sguardo da Issione a Sisifo
disse: < Perché costui patisce una pena eterna mentre suo
fratello Atamante se ne sta tutto superbo in un ricco palazzo
pur avendomi, insieme a sua moglie, sempre disprezzata? >
E spiegò il motivo della sua ira e della sua venuta, e che cosa
voleva: E ciò che voleva era che sparisse la dinastia di Cadmo
e che le furie spingessero Atamante ad un delitto. Istigò le tre
sorelle con un discorso intessuto di comandi, promesse, preghiere.
Quando ebbe finito, Tisifone, scarmigliata com’era, scosse i grigi
capelli, si tirò indietro i serpenti che le ricadevano sulla faccia, e
rispose: - Non c’è bisogno di tante parole. Tutto quello che vuoi,
consideralo fatto. Lascia questo spiacevole regno e torna all’aria
del cielo. Che è tanto più bello ! – Giunone se ne andò contenta,
e quando fu sul punto di rientrare nel cielo, Iride figlia di Taumante
la purificò con uno scroscio di pioggia.
IV vv. 481-542
“(…) la tremenda Tisifone prese una torcia inzuppata nel sangue, indossò un
manto grondante di sangue, tutto rosso, si attorcigliò alla vita un serpente, e partì. La seguivano nel suo cammino il Pianto, la Paura e il Terrore, e la Follia dall’occhio allucinato. Giunse, e si fermò sulla soglia. Raccontano che la porta di Atamante, figlio di Eolo tremò e i battenti d’acero sbiancarono e il sole fuggì da quel posto. Rimase atterrita Ino, a quel prodigio, rimase atterrito Atamante, e volevano fuggire di casa. La malefica Furia sbarrò loro il passo piantandosi sull’entrata, e allargando le braccia imbrigliate da intrecci di vipere agitò la chioma: i serpenti, scossi, crepitarono, e in parte si snodarono sulle spalle, e in parte scivolando sul petto mandarono sibili, vomitarono putrida saliva, fecero balenare le lingue. Poi essa si strappò due serpenti di tra i capelli e con la mano pestifera li scagliò con violenza. E quelli si misero a strisciare sul seno di Ino e di Atamante e insufflarono fetido fiato; senza infliggere ferite al corpo: solo la mente sentì il terribile assalto. La Furia aveva portato con sé anche un filtro mostruoso: bava di Cerbero e veleno di Echidna, vaneggianti deliri e oblio di mente ottenebrata e malvagità e lacrime e rabbia e sete di strage, tutte cose tritate insieme e, mescolate a sangue fresco, fatte bollire in un calderone di bronzo mestando con ramo di verde cicuta. Mentre i due stavano lì spaventati, versò questo filtro nel loro petto e li sconvolse nel profondo del cuore. Quindi, roteando più volte la torcia, sempre in cerchio con le Fiamme inseguì vorticosamente le fiamme, e poi trionfante, eseguiti gli ordini, tornò al regno spettrale del grande Plutone e si slacciò il serpente preso come cintura. Improvvisamente, Atamante figlio di Eolo esclama furioso in mezzo alla reggia: << Iuh, compagni, tendete le reti in questa macchia! Ho visto or ora una leonessa passare con due cuccioli di qui ! >>E uscito di senno si lancia all’inseguimento della moglie, come una bestia feroce, le strappa dal seno il figlio Learco che ride e tende le piccole braccia, rotea due o tre volte il fanciullo per aria, come si fa con la fionda, e gli fracassa il viso contro una dura pietra, spietato. Allora la madre sconvolta – o per dolore, o per il diffondersi del veleno – si mette a ululare e coi capelli sciolti, fuori di sé, fugge portandosi via sulle braccia denudate il piccolo Melicerta e gridando << Evoè, Bacco!>> Sentendo il nome di Bacco, Giunone ride e dice: << bello scherzo ti fa il tuo pupillo! >> Pende sul mare una rupe. La base è scavata dai cavalloni e le onde vi s’insinuano, al riparo dalle piogge; la parte superiore si drizza salda e sporge sul mare aperto. Ino vi sale di corsa (la pazzia le dà forza), e senza esitare, senza alcuna paura, si getta dall’alto in mare assieme al suo fardello. L’onda, all’urto, schiumeggia. Ma Venere, addolorata per l’immeritata disgrazia della nipote, così prega con dolcezza suo Zio Nettuno: << O dio delle acque, a cui è toccato il regno secondo per importanza a quello del cielo, Nettuno, ti chiedo è vero un grande favore, ma abbi compassione dei miei cari che in questo momento, vedi, sono sbattuti sullo immenso Ionio, e aggiungili al numero degli dei marini. Anch’io conto qualcosa nel mare, se è vero che un giorno fui una concrezione di spuma nelle sue divine profondità, tanto che ho preso dalla spuma il mio nome greco >> Nettuno esaudisce la preghiera: toglie loro ciò che hanno di mortale, li riveste di una veneranda maestà, e insieme all’aspetto rinnova anche i nomi chiamando Leucòtea la madre e Palèmone il figlio”.