
Titolo dell’opera: Giovee Danae
Autore: Gianbattista Tiepolo
Datazione: 1736
Collocazione: Stoccolma, Museo dell’Università
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (41 x 53 cm)
Soggetto principale: Giove si unisce a Danae attraverso la pioggia d’oro
Soggetto secondario: la nutrice raccoglie monete
Personaggi: Danae, Eros, Giove, nutrice
Attributi: pioggia d’oro (Danae); aquila, corona, nube (Giove); piatto (nutrice)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.artonline.it/opera.asp?IDOpera=434
Bibliografia: Morassi A., A Complete Catalogue of the Paintings of G. B. Tiepolo, Phaidon, Londra 1962, p. 59; Pallucchini A., L’opera completa di Giambattista Tiepolo, Classici dell’Arte Rizzoli, Milano 1968, cat. N.111, p. 101; Pedrocco F., Tiepolo Art Dossier Giunti, Milano settembre 1996 pp. 14 - 15;
Annotazioni redazionali: Negli ultimi anni del 1730 Tiepolo lavora molto per committenti non veneziani e nel 1736, poco dopo averla terminata, vende al conte De Tessin - ministro svedese a Venezia - Giove e Danae e un bozzetto per la Decollazione del Battista. Il modo di trattare il soggetto è sicuramente teatrale e scherzoso – impressione immediatamente percepibile dal dettaglio del cagnolino che gioca con l’aquila o dall’amorino che scosta il drappo che copre Danae per mostrarla a Giove – persino la realizzazione della nutrice calca sulla componente dell’avidità trasmessa dal volto teso e attento alla caduta delle monete. Come Rubens (Cfr. scheda opera 38) e Rembrandt (Cfr. scheda opera 40), Tiepolo sceglie d’inserire sia la nutrice che l’amorino nella stanza di Danae, che qui risulta costruita più come una scena teatrale: un portico a fare da palcoscenico e una serie di archi classici fanno da sfondo. Insolita la scelta di rappresentare fisicamente Giove che sopraggiunge sulla scena, forse spiegabile proprio per il tono volutamente parodistico e teatrale del racconto (il particolare è presente anche in altre opere, come in quelle di Wtevael - Cfr. scheda opera 36 – e precedentemente negli affreschi pompeiani). Come sappiamo, a differenza delle rappresentazioni medievali in cui Danae diventa simbolo di castità e verginità (Cfr. scheda opera 19), nei secoli XVI e XVII, la nudità concernente il mito, diventa occasione non censurabile di studio del corpo e delle forme e, come in questo caso, di narrazioni maliziose e allusive.
Francesca Pagliaro