
Titolo dell'opera: Giove e Danae
Autore: Peter Paul Rubens
Datazione: 1636-38
Collocazione: Boston, Pauline Green Collection
Committenza: Cardinale Infante Ferdinando, fratello di Filippo IV
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (28 x 31 cm)
Soggetto principale: Giove assume forma umana dopo essersi congiunto con Danae sotto forma di pioggia d’oro alla presenza di un Amorino
Soggetto secondario:
Personaggi: Danae, Giove (aquila, pioggia d’oro), Amorino
Attributi: nudità (Danae), aquila, pioggia d’oro (Giove)
Contesto: camera da letto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Rooses M., Rubens sa vie et ses ouvres, Flammarion, Paris, 1903; Stepanow G., Rubens, Silvana, Milano, 1957; Alpers S., The decoration of Torre de la Parada, IX, Arcade Press, Brussels, 1971; Jaffé M., Rubens, Rizzoli Editore, Milano, 1989, p.360; Davidson Reid J., The Oxford Guide to classical mythology in the arts, 1300-1900’s, Oxford university Press, New York- Oxford, 1993, vol.1.
Annotazioni redazionali: quest’opera di Rubens si inserisce in una commissione molto più ampia di Filippo IV per la Torre de la Parada, padiglione di caccia vicino Madrid, presumibilmente realizzata da Juan Gomez de Mora che progettò anche la Zarzuela, un altro padiglione di caccia nel Pardo. Il primo riferimento ufficiale alla commissione è in una lettera del Cardinal Infante Ferdinando, committente della decorazione pittorica, a Filippo IV, del 20 novembre 1636, in cui si dice che Rubens ha già ricevuto l’ordine e diviso il lavoro tra i suoi migliori collaboratori, ma che realizzerà lui stesso i bozzetti ad olio. Le opere lasciano Anversa l’11 marzo 1638 e giungono a Madrid il primo maggio dello stesso anno. Nel 1710, durante la Guerra di Successione spagnola, le truppe del granduca Carlo saccheggiarono gravemente la Torre e nel 1734 un incendio nel castello reale del Buen Retiro presso Madrid causò la perdita ulteriore delle tele, ma sono sopravvissuti i bozzetti di mano di Rubens. Tra questi anche Giove e Danae, di cui la versione realizzata per la Torre da Cornelis de Vos è andata perduta. E’ però sopravvissuto il bozzetto ad olio di Rubens. Tali bozzetti sono tutti dipinti su un fondo bianco-avorio, preliminarmente trattato con un nero di seppia smorzato per mezzo di pennellate. Le figure sono rese in lievi toni scuri di marrone, le vesti sono spesso in grigio con tocchi di rosso brillante e dettagli rosa nel drappeggio. Non ci sono pervenuti disegni preparatori e i bozzetti sono dipinti direttamente ad olio, come si presume dalla non visibilità di linee preparatorie. Qui abbiamo una Danae vista di scorcio, quasi inginocchiata e non distesa come nelle rappresentazioni tradizionali. E’ nuda e volge lo sguardo verso Giove che è colto nell’attimo in cui depone una moneta, a significare la pioggia d’oro, nella veste tenuta a conca dalla donna. Sulla destra, anche l’aquila, suo attributo. Un Amorino solleva le cortine del letto su cui giace Danae. Tale iconografia è inconsueta poiché generalmente non è presente il dio in forma umana, se non negli affreschi pompeiani (Cfr. scheda opera 12, scheda opera 13), dove però è raffigurato in disparte parte per evidenziare ulteriormente la sua presenza, parte per la comprensione dello spettatore. In questo caso, viceversa, ha una parte attiva e si può quindi ipotizzare che sia rappresentato il momento successivo del mito in cui, avvenuta l’unione tra la donna e la divinità, quest’ultima riprende forma umana. Anche Danae è ormai consapevole dell’accaduto. Una possibile fonte potrebbe essere la volgarizzazione delle Metamorfosi di Niccolò degli Agostini del 1522 (Danfr02). La Alpers evidenzia i rapporti tra i bozzetti di Rubens e le incisioni delle varie edizioni dell’Ovidio illustrato di cui l’artista aveva sicuramente un’ottima conoscenza. Le invenzioni di Rubens sembrano vicine soprattutto a tre testi: l’edizione di Lione del 1557 con xilografie di Bernard Salomon, quella di Leipzig del 1582 e le incisioni di Antonio Tempesta. Ma per quanto riguarda Danae nel testo ovidiano non c’è una trattazione sistematica del mito, ma solamente citazioni. Per questa raffigurazione quindi non è possibile stabilire collegamenti con le incisioni ovidiane, dato che non ci fu mai una forte tradizione incisoria legata a tale mito. Rubens inserì nella Torre molti miti non ovidiani e per la maggior parte miti d’amore. Scelse inoltre i miti meno popolari creando un vero e proprio Ovidio illustrato. L’intera decorazione della Torre deve essere intesa come una serie che, avendo nelle incisioni delle Metamorfosi non moralizzate la propria fonte, sceglie la narrazione al posto dell’allegoria. Con il testo latino Rubens condivide, secondo la Alpers, un comune atteggiamento nei confronti dell’esperienza umana e l’alto valore dato all’amore. “Le stesse metamorfosi, una sorta di rinascita dell’uomo in natura, sono spesso i mezzi attraverso cui la potenziale tragedia dell’attore umano si trasforma in un naturale trionfo. Rubens vede l’amore, come Ovidio, in termini di pathos, come parte della condizione umana.” (Alpers, 1971). A ciò corrisponde una demitizzazione dell’azione eroica.
Silvia Trisciuzzi