
Titolo dell’opera: Danae
Autore: Andrea Meldolla, detto lo Schiavone
Datazione: 1559 ca.
Collocazione: Napoli, Museo di Capodimonte
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (115 x 145 cm)
Soggetto principale: Danae e la pioggia d’oro
Soggetto secondario:
Personaggi: Danae, pioggia d’oro (Zeus), Eros
Attributi: nudità (Danae); pioggia d’oro (Zeus)
Contesto: paesaggio campestre
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Ridolfi C., Le meraviglie dell’arte, 1648, Forni ristampa 2000, pp. 327-328; Venturi A., Storia dell’arte italiana. La pittura del ‘500, Hoepli 1933, volume IV, tomo IV, pp. 691-743; Molajoli B., Notizie su Capodimonte, L'Arte Tipografica, Napoli 1957; Richardson F., Andrea Schiavone, Clarendon press, Oxford 1980, pp. 61-64, 167-168; Museo e gallerie nazionali di Capodimonte, Electa, Napoli 1999, dir. Spinosa N., pp. 224-225; La pittura nel Veneto (il ‘500), Electa 1999, tomo II, pp. 455-550; La pittura in Italia (del ‘500), Electa 2003, tomo I, pp. 171-196
Annotazioni redazionali: La tela fa parte del nucleo dei trentasei dipinti e due cartoni ceduti nel 1802 dai marchesi di Torlonia ai Borbone, per il tramite di Domenico Venuti. Già allora l’opera era attribuita allo Schiavone. Esposta a Napoli, dapprima nel Palazzo Reale, poi nel Museo Borbonico, venne ben presto ritirata dalla “pubblica esposizione” e rinchiusa in un “Gabinetto delle Veneri”, più tardi dei “Quadri Osceni”, nel cui inventario del 1842 è ricordata, per altro come opera di Tintoretto. Ignorata per questa sua collocazione dalle guide dell’800, viene ricordata poi nell’Inventario Generale del Museo Nazionale, a partire dal 1870 fino al 1928, come opera di “scuola del Tintoretto” o di Tintoretto stesso. Dallo studio di Molajoli (1957), accettato dal Richardson (1980), fu restituita allo Schiavone come opera tarda dell’artista, databile circa al 1559. Dell’artista, certamente ispirato dalle opere di Tiziano (posizione del corpo di Danae), va notata la “stupefacente dimostrazione di colore tonale” (Richardson, 1980), tipico degli anni tardi della sua opera. Caratteristica e senza precedenti è l’ambientazione delle figure di Danae e di Amore in un paesaggio, senza altro accenno all’irruzione di Giove, se non quello della pioggia di minuscole e brillanti scintille d’argento che cade sul petto di Danae. La giovane donna ha lo sguardo rivolto verso l’alto, simbolo di una scelta di vita casta e virtuosa. La collocazione nel paesaggio dimostra la diretta discendenza dalla “Venere dormiente” di Giorgione. Danae appare in primo piano, in tutto il suo dolce splendore, in un atteggiamento di partecipazione al mistero che si sta compiendo. Il piccolo Eros, alle sue spalle, sembra quasi proteggere la donna, con attenzione e curiosità, consapevole del mistero divino. La luce splendente della pioggia sembra quasi colpire il ventre della donna, lì dove si attuerà il fato. La posizione diagonale di Danae rende la donna l’elemento centrale dell’avvenimento, ma la natura nello sfondo, l’albero che l’accoglie quasi in una nicchia, esprimono in tutto l’episodio una profonda compartecipazione di umano-divino, uomo-natura, spazio finito-spazio infinito, realtà-mistero che danno un aspetto profondamente poetico a tutta la struttura dell’opera. Anche i colori partecipano a queste sensazioni: c’è quasi un meraviglioso, tranquillo accordo nell’unione di corpo, drappeggio e paesaggio all’imbrunire.
Giulia Masone