24: Giove e Danae

Titolo dell'opera: Danae

Autore: Jan Gossaert, detto Mabuse (1478-1532)

Datazione: 1527

Collocazione: Monaco, Alte Pinakothek

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tavola (114 x 95 cm)

Soggetto principale: unione di Giove con Danae

Soggetto secondario:

Personaggi:

Attributi: pioggia d’oro (Giove)

Contesto: loggia semicircolare con colonne.

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://ftp.sunsite.dk/projects/cgfa/mabuse/p-mabuse7.htm

Bibliografia: Panofsky E., Der gefesselte Eros, in “Oud-Holland”, 50, 1933, pp. 193-217; Herzog S., Tradition and innovation in Gossart's Neptune and Amphitrite and Danae, in “Bulletin / Museum Boymans-van Beuningen, Rotterdam”, 19, 1968, n. 1/3, pp. 25-41; Millner Kahr M., Danae: Virtuous, Voluptuous, Venal Woman, in “The Art Bulletin”, Marzo 1978, vol. 60, n. 1, pp. 43-55; Settis S., Danae verso il 1495, in “I Tatti Studies. Essays in the Renaissance”, 1985, I, pp. 207-237; Lissarague F., Danaé, Métamorphoses d’un myth, in Mythes grecs au figure: de l'antiquite au baroque, a cura di Georgoudi S., Vernant J.P., Gallimard, Parigi 1996, pp. 105-134; Sluijter E.J., Emulating sensual beauty: representations of Danaë from Gossaert to Rembrandt, in “Simiolus”, 27, 1999, pp. 4-45; Corboz A., La Danae di Mabuse (1527) come testimonianza dell'idea di Sancta Antiquitas, in “Artibus et historiae”, 21, 2000, n. 42, pp. 9-29 

Annotazioni redazionali: l’opera di Jan Gossaert detto Mabuse (da Mauberge la città in cui nacque), rappresenta il primo dipinto rinascimentale dedicato al mito di Danae e la pioggia d’oro che non faccia parte di un ciclo più esteso (tra i precedenti infatti abbiamo la tavola di Lotto, la cui lettura come Danae è oggi superata – Cfr. scheda opera 22 – e il ciclo di affreschi di Baldassarre Peruzzi nella sala del fregio della Villa Farnesina a Roma – Cfr. scheda opera 23); a questo seguiranno molti altri dipinti singoli, da Correggio a Tiziano, a Schiavone, a Tintoretto e così via. Inoltre, rispetto agli esempi precedenti (Cfr. scheda opera 21 e scheda opera 23), qui la Danae non è completamente vestita, ma mostra un seno e le gambe scoperte. La scena si svolge all’interno di una loggia rinascimentale aperta (decisamente distante dalla camera in cui era stata reclusa di cui parlano le fonti classiche) e, a differenza di tutte le altre raffigurazioni del mito coeve, la giovane non è sdraiata su un letto ma seduta in terra su un cuscino rosso. Infine, al di là delle sette colonne che costituiscono la loggia si distinguono almeno quattro edifici differenti nello stile. La tavola è stata quasi sempre disprezzata o ignorata dalla critica: nel 1923 Achille Segard parla di “assenza di espressione morale” e nel catalogo della mostra dedicata a Mabuse tenutasi a Rotterdam nel 1965 l’opera non è menzionata. È Panofsky (1933) ad introdurre l’interpretazione della Danae di Mabuse come allegoria della castità e Pudicitia in rapporto con la Vergine Maria, esito di una tradizione medievale moraleggiante, culminante con il trattato del frate domenicano Franciscus de Retz che, nel suo Defensorium inviolatae virginitatis Beatae Mariae (1388), poneva tra le prove dell’Immacolata Concezione proprio il concepimento di Danae attraverso la pioggia d’oro (“Si Danae auri pluia pregnans a Jove claret, cur Spiritu Sancto gravida Virgo non genererete?”) – Cfr. scheda opera 19. In linea con la lettura di Panofsky la Madlyn Kahr (1978), Salvatore Settis (1986) e François Lissarague (1996). Il primo a preoccuparsi dell’identificazione delle costruzioni sullo sfondo al fine di completare la lettura dell’opera è André Corboz (2000), che sostiene che si possano tutti collegare a degli eidifici nominati nella Bibbia. La torre rotonda posta al di sopra della testa di Danae raffigurerebbe il Tempio di Salomone secondo la tradizione fiamminga, l’edicola italianeggiante sulla sinistra il Vestibolo delle Colonne, la loggia tardogotica sulla destra il Vestibolo del trono e infine la torre di mattoni sarebbe la Torre di Davide. In base alla presunta identificazione di questi edifici, Corboz interpreta la scena come un’Annunciazione e identifica Danae con la Vergine; la sua tesi sarebbe avvalorata da altri elementi come il numero delle colonne della loggia (sette come il Tempio della Sapienza), l’ordine ionico dei capitelli (che secondo Vitruvio rappresenta Diana, la dea vergine protettrice della verginità), il blu della veste e il rosso del cuscino (corrispondenti ai colori del mantello e dell’abito della Vergine).

Chiara Mataloni