01: Leucotoe

Titolo dell'opera: Apollo e Leucotoe

Autore: Anonimo incisore veneziano della prima metà del XVI sec.

Datazione: 1522

Collocazione:

Committenza:

Tipologia: stampa

Tecnica: incisione su legno (xilografia)

Soggetto principale: *

Soggetto secondario:

Personaggi: Leucotoe, Apollo, la madre di Leucotoe (Eurinome), il padre di Leucotoe (Orcamo), le fantesche

Attributi: vanga (Apollo), specie di copricapo (la madre di Leucotoe), corona (il padre di Leucotoe)

Contesto: nella metà sinistra interno della stanza di Leucotoe, a destra esterno, campagna

Precedenti:

Derivazioni: Giovanni Antonio Rusconi, Apollo e Leucotoe, e Clizia (in Ludovico Dolce, Le Trasformationi, Venezia 1553, p. 89)

Immagini: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia 1522, f. 36v

Bibliografia: B. Guthmüller, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma 1997, p. 266, pp. 270-271

Annotazioni redazionali: Si tratta della prima illustrazione conosciuta del mito di Leucòtoe, in quanto nell’Ovidio Methamorphoseos vulgar di Bonsignori questa favola non venne raffigurata. L’incisore segue fedelmente il testo di Agostini, così suddivide l’episodio in due momenti, con due ambientazioni differenti, avvalendosi sapientemente dell’espediente del muro. Sulla sinistra la scena è ambientata nella stanza di Leucòtoe, la bellissima fanciulla di cui si è innamorato Apollo, e che riconosciamo intenta a filare con le sue fantesche, come le chiama Agostini. Tuttavia Leucòtoe sembra distratta da una figura femminile, che, afferratole il viso, cerca di baciarla: si tratta di Apollo che ha assunto le mentite spoglie della madre della fanciulla, per entrare indisturbato nella camera. Agostini prosegue poi il racconto affermando che a questo punto la madre di Leucòtoe, cioè Apollo, allontanò con una scusa le fantesche, per poter rimaner sola con la figlia, e che Apollo subito si rivelò poi in tutto il suo splendore e fece in modo che Leucòtoe cedesse alle sue voglie. Agostini ci dice anche, seguendo da vicino Bonsignori, piuttosto che Ovidio, che Clizia, causa della morte di Leucòtoe, in quanto rivelò subito dopo al padre di questa la sua unione con Apollo, era la sorella di Leucòtoe, ed era gelosa di questa, perché un tempo era stata lei stessa amata da Apollo. Tuttavia nella nostra illustrazione sembra mancare qualsiasi riferimento alla figura di Clizia e alle sue successive vicende, a cui invece accennerà in seguito Rusconi, nella sua illustrazione del mito presente nelle Trasformazioni di Dolce (p. 89), prendendo a modello proprio una sezione di questa incisione. Infatti nella sezione destra della nostra incisione, ambientata all’esterno, in un paesaggio campestre, riconosciamo proprio la conclusione del mito di Leucòtoe, fatta seppellire viva dal padre, dopo aver saputo che la fanciulla aveva perso la sua verginità. Sono visibili proprio a ridosso del muro di separazione due figure, una maschile, che dovrebbe essere appunto il padre di Leucòtoe, caratterizzato dalla corona, in quanto Ovidio (Metamorfosi, libro IV, vv. 212-213) lo dice re degli Achemènidi, l’altra femminile, che dovrebbe essere invece la madre di Leucòtoe, nelle sue vere sembianze. Infatti il personaggio, centrale, che, con una vanga, cerca di dissotterrare il corpo di Leucòtoe, dovrebbe essere Apollo, che ha riacquistato il suo aspetto divino. Va sottolineato come l’illustratore abbia derivato questo particolare, di Apollo che dissotterra materialmente Leucòtoe, proprio dal racconto di Agostini, in quanto non si ritrova affatto in Ovidio. Tuttavia proprio questo particolare, riprodotto tanto fedelmente dall’incisore, Agostini sembra averlo ripreso dall’Ovidio Methamorphoseos vulgar di Bonsignori. Ciò ha fatto ipotizzare a Bodo Guthmuller che, non solo Agostini non aveva tradotto "dal litteral verso", quanto piuttosto messo in versi l’edizione in prosa di Bonsignori (Venezia 1497), ma che inoltre lo stesso Bonsignori non aveva tradotto in volgare italiano dall’originale ovidiano, ed invece aveva trasposto la cosiddetta Expositio sulle Metamorfosi del professore bolognese Giovanni del Virgilio (1322-1323). Infatti Agostini, per quanto riguarda questo episodio di Leucòtoe, ripete un errore già presente in Bonsignori, che aveva male interpretato le parole "missis radiis", riferite ad Apollo, di Giovanni del Virgilio. Questo infatti, rifacendosi ad Ovidio, intendeva dire che Apollo aveva mandato i suoi raggi sul tumulo sotto il quale era sotterrata Leucòtoe, per perforarlo, mentre Bonsignori aveva inteso che Apollo aveva deposto i suoi raggi, e così fece anche Agostini. Apollo nell’incisione ha perciò "deposto" i suoi raggi, cioè è disceso dal cielo, dove di solito conduce il carro del Sole, e con una vanga sta tentando di salvare Leucòtoe. Sappiamo tuttavia che Leucòtoe era ormai morta e che dal dio venne infine trasformata in una pianta di incenso.

 

Elisa Saviani