08: Clizia

Titolo dell'opera: Apollo e Clizia

Autore: François Boucher

Datazione: 1750 circa

Collocazione: Perduto. Venduto nel 1829 a profitto della Cassa dei Veterani, per ordine di Rochefoucauld.

Committenza:

Tipologia: modello relativo ad un arazzo (nono ed ultimo della serie Gli amori degli dei)

Tecnica:

Soggetto principale: Clizia e Apollo 

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Clizia, ninfe fluviali, putti

Attributi: lira (Apollo), carro (Apollo, come dio del Sole); girasoli (Clizia); anfore (ninfe fluviali)

Contesto: paesaggio fluviale

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: A. Pigler, Barockthemen, Budapest 1956, II, p. 58; A. Ananoff, François Boucher, Geneve 1976, II, p. 55; J. Davidson Reid-C. Rohmann, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 307

Annotazioni redazionali: Con questo soggetto Boucher aveva realizzato sia un dipinto sia un cartone per il nono ed ultimo arazzo della serie de Gli amori degli dei, eseguito in sette esemplari dalla manifattura di Beauvais dal 1750. Ora, poiché sia il dipinto che il modello sono andati perduti, ma uno degli arazzi allora realizzati si trova oggi nella Coll. del Conte di Gramont, è possibile, proprio grazie a quest’ultimo, conoscere come la composizione fosse stata ideata da Boucher. Per quanto riguarda l’iconografia del mito di Clizia, dall’arazzo questa risulta certamente innovativa, anche se per il particolare del putto che si stringe la gamba di Clizia, seduto su di una nuvola, si potrebbe pensare ad un influsso dell’opera di Bertin, in cui questo aveva la funzione di sottolineare, tenendo una face rovesciata, la drammatica fine dell’amore della ninfa. Infatti, anche in questo caso, il putto, pur non avendo la torcia, mostra un’espressione rattristata, e, nonostante Boucher si concentri sul momento particolare del colloquio fra Apollo e Clizia, l’evidenza dei girasoli a sinistra, suggerisce la conclusione infelice di questo amore, con la trasformazione della protagonista femminile in quel fiore. La presenza delle ninfe fluviali, una delle quali sembra suonare il flauto, e di cui non vi è traccia nelle fonti, così come la presenza dei putti in cielo, che distendono un drappo al di sopra dei protagonisti, serve, dal punto di vista compositivo, a definire la cornice dell’episodio principale, mentre la ninfa prossima al primo piano, con lo sguardo rivolto al cielo, contribuisce a fissare l’attenzione dello spettatore sui protagonisti della vicenda. La storia di Clizia e del suo amore per Apollo sembra sia stata narrata per la prima volta da Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 234-237; 254-270), dando vita poi a tutta una tradizione successiva che si richiama in un modo o nell’altro all’autore latino, tuttavia, il momento qui raffigurato da Boucher non trova riscontro nell’originale ovidiano. Probabilmente Boucher derivò la conoscenza della vicenda di Clizia dal testo di Ovidio, ma, dal momento che il dipinto e il rispettivo arazzo dovevano far parte di una serie di Amori degli dei, dovettesentire la necessità di creare una raffigurazione che mostrasse i due amanti vicini, attuando così una libera deviazione dalla fonte, come dalle precedenti illustrazioni conosciute del mito. Non si può stabilire poi con certezza se si tratti di un momento antecedente la vicenda di Leucòtoe, ossia quando Ovidio racconta di come Clizia sognasse di unirsi ad Apollo, oppure di un momento successivo alla morte della bella fanciulla a causa di Clizia stessa, gelosa delle attenzioni a lei riservate dal dio del Sole. Subito dopo la morte di Leucòtoe, infatti, come spiega Ovidio, Apollo aveva giurato di non voler avere più nulla a che fare con la ninfa che ne era stata la causa, ed è proprio a questo punto del racconto che il pittore potrebbe aver deciso di inserire la scena dell’incontro fra i due, e quindi della richiesta di perdono da parte di Clizia, che qui sembra illustrare al dio le ragioni che l’hanno condotta ad un’azione del genere.      

 

                                                                         Elisa Saviani