02: Clizia

 

Titolo dell'opera: Clizia

Autore: Pieter Paul Rubens

Datazione: 1636-1638

Collocazione: Non precisata. Messo all’asta nel 1930 con la Coll. Michel van Gelder di Uccle (Bruxelles); passato a August Neuerburg di Amburgo; fu acquistato Wilhelm Suhr dopo il 1952. Venduto da Sotheby’s (New York) nel 1984.

Committenza: Cardinal infante Ferdinando d’Asburgo, fratello di Filippo IV, re di Spagna

Tipologia: schizzo

Tecnica: olio su pannello di legno, 14,8x14 cm (nel 1910 lo schizzo misurava 31x31 cm, ma Burchard nel 1930 dimostrò che una striscia di legno era stata aggiunta intorno all’originale)

Soggetto principale: Clizia

Soggetto secondario:

Personaggi: Clizia

Attributi: nudità (Clizia), capelli sparsi (Clizia)

Contesto: paesaggio campestre

Precedenti:

Derivazioni:  

Immagini: http://www.bampfa.berkeley.edu/exhibits/rubens/exhibition/myth5detail.html

Bibliografia: S. Alpers, The Decoration of the Torre de la Parada, Bruxelles 1971, p. 193;J. S. Held, The oil sketches of Peter Paul Rubens. A critical catalogue, Princeton, 1980, I, pp. 265-266; M. Jaffè, Rubens, Milano 1989, p. 355; J. Davidson Reid-C. Rohmann, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 307.

Annotazioni redazionali: Tra il novembre e il dicembre del 1636 il Cardinal infante Ferdinando d’Asburgo, fratello di Filippo IV, commissionò a Rubens una serie di sessantatre soggetti mitologici, che avrebbero dovuto decorare la Torre della Parada, un casino di caccia sulla cima di una delle colline della grande distesa di terreno che circondava il Palazzo del Pardo. Questo schizzo è uno dei cinquantanove fra studi e veri e propri dipinti mitologici realizzati dal pittore per tale commissione, che uno dei suoi numerosi collaboratori avrebbe poi messo in opera. Per quanto riguarda la composizione, si nota in primo piano, seduta ai piedi di un tronco d’albero, davanti ad un paesaggio di campagna non meglio definito, una figura femminile, seminuda, con i capelli sparsi, e le mani incrociate sul ventre, in contemplazione, ossia con lo sguardo estasiato rivolto verso il cielo. Per la presenza di tali elementi: la nudità, i capelli sparsi, e l’atteggiamento contemplativo, è stato ipotizzato che l’artista abbia voluto qui raffigurare un momento preciso del mito di Clizia, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 234-237; 254-270). Mito che descrive di come la ninfa, innamoratasi del Sole, rivelasse per gelosia al padre di Leucòtoe l’unione segreta della figlia con Apollo, e ne provocasse quindi la morte, credendo in tal modo di poter riavere il suo amore: Clizia, invece, viene allontanata per sempre dal dio, e alla fine, consumata dalla sua stessa passione, si trasforma in un girasole. Questo mito, e ancor di più l’epilogo della vicenda di Clizia, coinvolta in quella di Leucòtoe, trasformata dopo la morte per mano del padre in incenso, in effetti, non aveva conosciuto, sino a quest’opera, una particolare fortuna dal punto di vista figurativo. Anche nell’ambito delle edizioni volgari illustrate dell’opera ovidiana, realizzate fra Quattro e Cinquecento, era stata data maggiore rilevanza proprio alla sventurata Leucòtoe, e Clizia poteva comparire talvolta sullo sfondo delle raffigurazioni del mito di Leucòtoe. L’unica illustrazione che sembra soffermarsi sul destino di Clizia è quella che compare nelle Trasformazioni del Dolce(1553, II ed.): infatti, mentre in primo piano a sinistra si riconosce Apollo che tenta di dissotterrare l’amata Leocòtoe, seppellita viva dal padre, leggermente più indietro, sulla destra, è raffigurata una figura femminile, nuda e distesa al suolo, intenta a fissare il Sole che sorge dietro una montagna, ossia Clizia che si consuma lentamente d’amore per Apollo, dio del Sole. Anche in questo caso, comunque, non viene raffigurata la metamorfosi finale della ninfa in girasole: non vi è traccia del fiore, e la fanciulla ha ancora un aspetto umano, e l’artista sembra essersi concentrato sul momento precedente la trasformazione, in cui Clizia, scacciata dal dio per aver causato la morte dell’amata Leucòtoe, trascorre i suoi giorni a contemplarlo, mentre attraversa il cielo con il carro del Sole. Rubens, in effetti, potrebbe aver tenuto conto di quest’unico precedente, giacché anch’egli si dedicò alla raffigurazione della fase precedente la metamorfosi di Clizia, tuttavia la posizione della ninfa, qui adottata, è leggermente differente: Clizia non è distesa a terra, completamente nuda, ma è seduta con la schiena poggiata contro un tronco d’albero, e solleva la testa verso il cielo, dove probabilmente sta passando il carro del Sole. Rubens, perciò, non introduce Apollo in persona, ma allude alla sua presenza attraverso la luce che colpisce la ninfa dall’alto. Tale atteggiamento contemplativo, e nello stesso tempo addolorato per il rifiuto da parte del dio, come la noncuranza per la propria persona ed il proprio sostentamento, nel racconto provocano, infine, la morte di Clizia, o meglio il suo annullarsi come essere umano, per divenire un fiore, e più precisamente un elitropio, che, come la ninfa in vita, segue, cambiando inclinazione, l’andamento del sole nel cielo.

 

 

                                                                 Elisa Saviani