406 a.C.
EURIPIDE, Le Baccanti, vv. 210-265; 434-518; 642-987; 1045-1153
Traduzione da: http://spazioinwind.libero.it/latinovivo/Testintegrali/Baccanti.htm
vv. 210-265
CADMO
Tu non vedi la luce, Tiresia; le mie parole interpreteranno per te le cose. Ma c'è Penteo, figlio di Echione: si sta dirigendo in fretta verso la reggia: a lui ho trasmesso il potere su questo paese. È tutto stravolto: che novità ci porta?
PENTEO
Ero lontano, mi trovavo fuori, e solo ora sento dei mali piombati sulla città. Le nostre donne hanno abbandonato il focolare, si scatenano in falsi tripudi, si sfrenano nei boschi ombrosi, onorano con danze un dio molto recente, Diòniso, o comunque si chiami. Ci sono coppe colme nei loro riti, si acquattano, dandosi il cambio, in luoghi appartati, per sottostare ai maschi, col pretesto che sono Mènadi, sacerdotesse del dio: in realtà a Bacco antepongono Afrodite.
Quelle che ho preso sono ora ospiti, in catene, delle prigioni di stato: alle altre, a Ino, a mia madre Agave, a Autonoe, madre di Atteone, darò la caccia su per il monte; le stringerò nelle mie reti di ferro: vedrete se non la finiscono con questo indegno baccanale, e presto.
Dicono che è arrivato uno straniero dalla Lidia, uno stregone, uno che fa gli incantesimi: ha riccioli biondi, la zazzera profumata, gli occhi lucenti per le grazie di Afrodite, frequenta giorno e notte le giovani, offrendo le sue gaudenti iniziazioni. Se lo sorprendo sotto questo tetto, smetterà, state tranquilli, di percuotere il suolo col tirso, di dimenare la chioma: gli stacco la testa dal collo, io. E quel ciarlatano sostiene che Diòniso è un dio, che fu cucito nella coscia di Zeus, mentre, si sa, lo distrusse il fuoco di un fulmine insieme alla madre, perché aveva mentito su Zeus e il suo amore. Cose tremende, roba da capestro, oltraggi su oltraggi, chiunque sia lo straniero.
Ma c'è un altro fatto straordinario. Eccoli lì, il profeta Tiresia nella pelle screziata di un cerbiatto, e il padre di mia madre - è tutto da ridere - che folleggia con un bastone in mano. Mi rivolta, padre, la vostra senilità vuota di cervello. Cosa aspetti a buttar via l'edera, a rompere il contatto della tua mano col tirso, tu, padre di mia madre? E tu, Tiresia, sei stato tu a convincerlo: vuoi introdurre un nuovo dio tra gli uomini - quello là - per trarre auspici, ricavare soldi dai sacrifici interpretati. Ringrazia che ti proteggono i capelli bianchi, altrimenti saresti già in galera, colle Baccanti, per avere introdotto riti ignobili. Quando, in un banchetto, il vino scintilla per le donne, io dico che in festini così non c'è più nulla di sano.
CORO
Parole empie. Straniero, tu non hai nessun rispetto per gli dei, per Cadmo, il capostipite della stirpe del drago: sei figlio di Echione, e ne disonori la progenie.
vv.434-518
SERVO
Siamo qui Penteo: abbiamo catturato la belva contro cui ci avevi mandato. Non è stata vana la spedizione. Ma lo abbiamo trovato un essere mite, non cercò di balzare via in fuga, si lasciava legare docilmente, senza impallidire, senza perdere il bel rosso delle guance. Sorridendo ci invitava a stringere i nodi, a tradurlo davanti a te, e restava fermo: mi ha reso facile il compito. E io, con un senso di vergogna, gli dissi: straniero, non per mio volere ti porto via: ci ha inviati Penteo con questi ordini. Invece le Baccanti, da te incarcerate, che avevi rastrellato e chiuso nelle galere pubbliche, sono sparite: libere balzano di macchia in macchia, invocando il dio Bromio. I ceppi dei piedi si sono disserrati da soli, le chiavi hanno girato da sole nelle porte. Da quando quest'individuo è a Tebe, i miracoli si moltiplicano. Ma sono affari tuoi.
PENTEO
Scostatevi da lui. È intrappolato nelle nostre reti, e non è tanto veloce da riuscire a sottrarsi a me. Di fisico, non sei poi tanto brutto, straniero, almeno agli occhi delle donne, motivo della tua venuta a Tebe. Hai i capelli sciolti, provano che non frequenti palestre, ti scendono lungo le guance, accendono i desideri. Hai la pelle bianca e vuoi averla bianca, stai all'ombra, eviti i raggi del sole: dai la caccia a Afrodite, con la tua bellezza. Avanti, comincia col dirmi da che lombi discendi.
DIÒNISO
Nessun vanto, per carità. La risposta è semplice. Hai sentito parlare del Tmolo, il monte dei fiori?
PENTEO
Certo, il monte che gira tutto intorno alla città di Sardi.
DIÒNISO
Io vengo di laggiù, la mia patria è la Lidia.
PENTEO
I riti che tu importi in Grecia, dove li hai appresi?
DIÒNISO
Diòniso in persona me li ha insegnati, il figlio di Zeus.
PENTEO
Perché, laggiù c'è uno Zeus che fabbrica nuovi dei?
DIÒNISO
No, è lo Zeus che si è congiunto qui in nozze con Semele.
PENTEO
Ti ha obbligato in sogno, o ti è apparso realmente?
DIÒNISO
Io lo vedevo, lui mi vedeva, e mi ha trasmesso i suoi riti.
PENTEO
E di che specie sono, per te, questi riti?
DIÒNISO
Segreti, da non comunicare ai non iniziati.
PENTEO
Ma chi li celebra, ne ricava un guadagno?
DIÒNISO
Non ti è concesso saperlo, anche se sarebbe prezioso per te.
PENTEO
Risposta ben falsificata, per suscitare la mia curiosità.
DIÒNISO
Le cerimonie del dio hanno in orrore i sacrileghi.
PENTEO
E tu dichiari di avere visto bene il dio com'era.
DIÒNISO
No, come voleva essere lui: non ero io a poter disporre.
PENTEO
Hai aggirato l'ostacolo con le tue vuote chiacchiere.
DIÒNISO
Chi parla da savio sembra stolto a chi è ignorante.
PENTEO
È questo il primo posto dove sei venuto a immettere il tuo dio?
DIÒNISO
Tutti i barbari ne celebrano il culto danzando.
PENTEO
Perché sono molto più stupidi dei Greci.
DIÒNISO
Molto più intelligenti, in questo caso, anche se hanno costumi diversi.
PENTEO
Le cerimonie si svolgono di giorno o di notte?
DIÒNISO
Soprattutto di notte: l'ombra comporta solennità.
PENTEO
E inganni e marciume per le donne.
DIÒNISO
Anche in pieno giorno si può incappare in vergogne.
PENTEO
Dovrai render ragione delle tue malvage sottigliezze.
DIÒNISO
E tu della tua insipienza, della tua empietà verso il dio.
PENTEO
È sfrontato il nostro Bacco, ben conosce la palestra delle parole.
DIÒNISO
Dimmi, cosa mi capiterà, cosa mi farai di tremendo?
PENTEO
Comincerò a tagliarti quei graziosi riccioli.
DIÒNISO
La mia chioma è sacra: la lascio crescere in onore del dio.
PENTEO
Poi, mi consegnerai il tirso che impugni.
DIÒNISO
Strappamelo tu di mano: il tirso che stringo appartiene a Diòniso.
PENTEO
E infine, custodiremo in prigione il tuo bel corpo.
DIÒNISO
Provvederà il dio in persona a liberarmi, quando lo vorrò.
PENTEO
Certo, quando lo invocherai ritto in mezzo alle tue Baccanti.
DIÒNISO
Anche ora lui è qui, vicino, e vede cosa soffro.
PENTEO
Ah, sì? I miei occhi non lo vedono. Dov'è?
DIÒNISO
Dove sono io. Tu sei un empio, perciò non puoi vederlo.
PENTEO
Prendetelo: questo individuo insulta me e Tebe.
DIÒNISO
E io vi dico che è meglio non legarmi, io savio a voi insensati.
PENTEO
E io, invece, ordino di legarti, perché ho maggiore autorità di te.
DIÒNISO
Tu non sai né quello che dici, né quello che fai, e neanche chi sei.
PENTEO
Io sono Penteo, figlio di Agave, mio padre è Echione.
DIÒNISO
Tu porti, ed è giusto, un nome di pena, di malaugurio.
PENTEO
Va via. Chiudetelo nelle stalle qui accanto, perché veda l'ombra fitta delle tenebre. Là dentro balla quanto ti pare. Le donne che ti sei portato dietro, complici dei tuoi misfatti, le venderemo sui mercati, o le utilizzerò come schiave ai telai, in casa. La smetteranno di suonare questi sordi, ossessivi tamburi.
DIÒNISO
Muoviamoci pure: quello che è scritto, è scritto. Ma Diòniso verrà a chiederti conto di questa violenza, Diòniso che secondo te non esiste: è lui che tu metti in catene, quando fai torto a me.
vv. 642-987
PENTEO
Mi è successa una cosa terribile: lo straniero lo avevo incatenato poco fa, con tutte le regole, e ora è fuggito. Ma come? Quell'individuo è qui? Non è possibile. Come osi farti vedere davanti al palazzo, dopo che sei scappato?
DIÒNISO
Fermati, càlmati, deponi la furia.
PENTEO
Come hai fatto a scioglierti dalle corde, a arrivare qui?
DIÒNISO
Te l'avevo detto - o non mi badavi? - che qualcuno sarebbe venuto a liberarmi.
PENTEO
Qualcuno chi? Tu continui a propinarmi strani discorsi.
DIÒNISO
Colui che ha creato per gli uomini la vite ricca di grappoli.
PENTEO
Bel titolo di gloria che gli dai. ordino che vengano chiuse tutte le porte delle torri di cinta.
DIÒNISO
Ma come? Non sai che gli dei passano anche attraverso le mura?
PENTEO
Quante belle cose sai. Ma non quello che dovresti.
DIÒNISO
Quello che dovrei, lo so sin troppo bene. Ma tu, intanto, ascolta le parole di quell'uomo che sta arrivando dai monti con un bel racconto per te: non ti agitare, io resto qui, non mi muovo.
MESSO
Penteo, sovrano di Tebe, arrivo ora dal Citerone, il monte che splende di nevi perenni.
PENTEO
Arrivi dal Citerone. E cosa ti ha indotto a precipitarti qui? Che notizie porti?
MESSO
Ho visto le Baccanti selvagge, quelle sfrecciate via da Tebe, coi candidi corpi squassati dall'assillo. E sono venuto per informarti che fanno cose tremende, prodigi allucinanti. Ma prima vorrei sapere se sono libero di esporti cosa è successo, lassù, o se devo ammainare le vele del discorso. Temo le tue reazioni improvvise, signore, la tua facile collera, il tuo temperamento troppo regale.
PENTEO
Parla pure: per me, in ogni caso, sei esente da colpe. Non ci si può sdegnare con chi agisce secondo giustizia. Ma quanto più è scandaloso quello che hai da riferire sulle Baccanti, tanto più dura legge applicheremo contro chi, insidiosamente, ha insegnato arti del genere alle donne.
MESSO
Pascolavo, poco fa, sulle alture le mie greggi, nell'ora in cui il sole manda i primi raggi e comincia a scaldare la terra. E vedo tre gruppi di donne: il primo lo capeggiava Autonoe, il secondo Agave, tua madre, il terzo Ino. Giacevano tutte abbandonate al sonno, chi col dorso appoggiato ai rami bassi degli abeti, chi con la testa posata sulle foglie di quercia sparse al suolo, a caso, ma non scompostamente, non come dici tu, ebbre di vino, stordite dalla musica dei flauti, e a caccia di Afrodite, negli angolini del bosco, isolate.
Tua madre, sentendo il muggito delle mie mandrie, lanciò un grido, levandosi in mezzo alle Baccanti, perché si scuotessero dal sonno. Ed esse, scacciando dagli occhi il profondo torpore, si rizzarono in piedi, in uno spettacolo di compostezza incredibile, vecchie, giovani, e vergini ignare di nozze. Cominciarono a sciogliersi i capelli sulle spalle, a stringere i lacci allentati delle pelli che indossavano, a farsi cinture, per i velli screziati, con serpenti che ne lambivano le guance. Alcune, tenendo tra le braccia un cerbiatto o dei lupacchiotti selvaggi, gli offrivano il dolce latte: erano da poco madri, avevano abbandonato i figli, e le mammelle erano ancora turgide, altre si inghirlandavano con corone di edera, di quercia, di smilace fiorita. Una di esse, afferrato il tirso, lo batté sulla pietra e subito erompe una fresca sorgente d'acqua, un'altra pianta il bastone per terra e di là il dio fece sgorgare una polla di vino; Baccanti, prese dal desiderio della candida bevanda, grattavano il suolo colla punta delle dita e zampillavano fiotti di latte: rivoli di miele squisito stillavano dai tirsi avvolti di edera. Se tu eri con noi, lassù, vedendo queste cose, avresti pregato, invocato il dio che ora insulti.
Ci riuniamo noi, pastori e mandriani: avevamo visto cose incredibili, stupefacenti, volevamo discuterne. E uno di quelli che hanno contatti con la città, esperto nel parlare, chiese a noi tutti: «Uomini che abitate le sacre pendici del monte, perché non cerchiamo di stanare dai Baccanali Agave, la madre di Penteo, e così ci guadagniamo il favore del re?». Le sue parole ci persuasero e ci mettemmo in agguato, al riparo di folti cespugli. All'ora prescritta le Baccanti cominciano a agitare il tirso per i loro riti; invocavano a una sola voce il figlio di Zeus, Bromio, il dio del grido: l'eccitazione si era trasmessa all'intero bosco, alle belve: non c'era più niente di fermo, tutto si agitava in frenesia.
Agave, nei suoi balzi, mi passa vicino e io scatto fuori per afferrarla, uscendo dal cespuglio dove mi ero nascosto. E Agave gridò: «Mie cagne veloci, questi uomini ci danno la caccia: seguitemi, seguitemi, fate dei vostri tirsi un'arma».
Solo fuggendo riuscimmo ad evitare che ci sbranassero vivi. Ma esse si avventarono sulle mandrie che pascolavano l'erba: e bada, non avevano coltelli in mano. Una agguanta una giovenca colle mammelle gonfie che muggiva, altre si buttano su gruppi di vacche, ne fanno scempio. Bisognava averlo visto per crederci. Interi fianchi, zampe dai bifidi zoccoli vengono scagliate qua e là: pezzi di carne sanguinolenta, tra i rami, lasciavano cadere rosse gocce sotto gli abeti. E i tori, prima violenti, i tori, che hanno la rabbia nelle corna, si abbattevano al suolo, trascinati da torme di donne. Li spolparono sino alle ossa, più veloci, signore, di un battito delle tue ciglia. Poi come uccelli che saettano in aria, volavano sulle distese della pianura, quelle distese che presso le correnti dell'Asopo producono per i Tebani fertili spighe. Piombano, le Baccanti, su Isia, Eritre, ai piedi del Citerone: come uno sciame di nemici abbattono e devastano tutto, rapiscono i bambini dalle case, e ciò che si caricavano semplicemente sulle spalle non cadeva sulla nera terra, bronzo o ferro che fosse; fuoco ardeva tra i loro riccioli, ma non bruciava. Gli uomini schiumando d'ira per il saccheggio delle Baccanti, si precipitano alle armi: si assistette allora a una scena paurosa. Le punte delle loro lance non si tinsero di rosso, ma le Baccanti, scagliando i tirsi ferirono e misero in fuga gli uomini, non senza l'aiuto di un dio. E di nuovo correvano là da dove erano venute, alle sorgenti che il dio aveva fatto sgorgare per loro. Si astergevano il sangue dalle mani, i serpenti gli leccavano colla lingua le gocce sulle guance.
Chiunque sia questo dio, accoglilo nella tua città, signore: egli è grande in ogni cosa, e dicono, a quanto sento, che ha dato lui agli uomini la vite che scaccia il dolore: e senza vino non c'è Afrodite, non c'è nessun altro piacere per gli uomini, mai.
CORO
Ho paura a parlare con tutta franchezza al sovrano, ma ci provo lo stesso: Diòniso non è inferiore a nessun altro dio.
PENTEO
La violenza delle Baccanti dilaga vicino a noi come un incendio: ci copre di vergogna agli occhi dei Greci. Non c'è da esitare. Va alla porta di Elettra, raduna tutti gli opliti, i cavalleggeri veloci, i peltasti, gli arcieri, per affrontare le Baccanti. Subire a opera di donne ciò che stiamo subendo passa ogni limite.
DIÒNISO
Tu non ti lasci convincere, Penteo, non mi badi quando parlo. Ma anche se ricevo del male da te, ti ripeto lo stesso: non prendere le armi contro il dio, stattene quieto: Bromio non ti permetterà di cacciare le Baccanti dai monti della gioia.
PENTEO
Smettila di farmi la lezione. Sei riuscito a scappare: pensa a conservarti la libertà. o vuoi che ti ricacci in prigione?
DIÒNISO
Io, mortale, non me la sentirei di recalcitrare con furia al pungolo di un dio. Meglio offrire un sacrificio.
PENTEO
Lo offrirò, il sacrificio: scateno su per le balze del Citerone un bel massacro di donne: se lo sono meritato.
DIÒNISO
Fuggirete tutti: sarà un'ignominia: gente protetta da scudi di bronzo ricacciata indietro dai tirsi delle Baccanti.
PENTEO
Ci siamo trovati a lottare con questo straniero impossibile: non tace mai né quando è sopraffatto, né quando attacca.
DIÒNISO
Amico mio, un modo per aggiustare le cose ci sarebbe.
PENTEO
E come? Trasformandomi in schiavo delle mie schiave?
DIÒNISO
Ti condurrò io le donne qui, senza che tu ricorra alle armi.
PENTEO
Ahi, quest'uomo mi sta tendendo una trappola.
DIÒNISO
Quale trappola? Io ti voglio salvare, con le mie arti.
PENTEO
C'è un'intesa tra voi, per perpetuare i baccanali.
DIÒNISO
L'intesa io ce l'ho, è vero, ma col dio.
PENTEO
Portatemi l'armatura, e tu smettila di parlare.
DIÒNISO
Basta. Allora non le vuoi vedere, le donne, tutte insieme, sul monte?
PENTEO
Oh se lo voglio, e sono pronto a pagare oro, molto oro.
DIÒNISO
Come mai ti è piombata addosso tutta questa frenesia?
PENTEO
Ci patirò, ma voglio vederle ubriache.
DIÒNISO
E ti piacerebbe vedere cose per cui patisci?
PENTEO
Sì, ma le vedrei in silenzio, da dietro gli abeti.
DIÒNISO
Ma ti staneranno, anche se arrivi di soppiatto.
PENTEO
No, di soppiatto no: in questo hai ragione.
DIÒNISO
Ti devo fare da guida, vogliamo avviarci?
PENTEO
Sbrigati, non perdiamo altro tempo.
DIÒNISO
Infìlati un peplo di lino.
PENTEO
Cosa? Devo camuffarmi da donna?
DIÒNISO
Preferisci rischiare la pelle, se si accorgono, lassù, che sei un maschio?
PENTEO
Hai di nuovo ragione: la sai lunga, tu.
DIÒNISO
Diòniso mi ha istruito a puntino.
PENTEO
Come faccio a mettere in pratica i tuoi consigli?
DIÒNISO
Entriamo in casa: penserò io a vestirti.
PENTEO
Con un abito femminile? Mi vergogno.
DIÒNISO
Dunque, non ti interessa più vedere le Menadi?
PENTEO
Spiegami come intendi acconciarmi.
DIÒNISO
Intanto, ti scioglierò i capelli, che porti raccolti sul capo.
PENTEO
E il secondo tratto del mio abbigliamento?
DIÒNISO
Un peplo, lungo sino ai piedi, e un nastro in testa.
PENTEO
Il tutto, completato con cosa?
DIÒNISO
Un tirso da impugnare, e una screziata pelle di cerbiatto.
PENTEO
Non me la sento di vestirmi da donna.
DIÒNISO
Dunque, verserai sangue, dando battaglia alle Baccanti.
PENTEO
Giusto: prima bisogna partire in esplorazione.
DIÒNISO
È meno sciocco che andare a caccia di un male con un altro male.
PENTEO
Ma come faccio a attraversare la città di Cadmo senza che mi vedano?
DIÒNISO
Passeremo per strade deserte; ti guiderò io.
PENTEO
Meglio qualunque cosa che venir schernito dalle Baccanti. Entriamo in casa, e deciderò sul da farsi.
DIÒNISO
Come ti pare: io da parte mia sono bello e pronto.
PENTEO
Allora entrerei nella reggia: e poi ne uscirò armato da capo a piedi o attenendomi, invece, ai tuoi consigli.
DIÒNISO
Donne, l'uomo si getta nella rete, verrà dalle Baccanti, e sconterà questa colpa, colla morte.
Diòniso, ora tocca a te: non sei lontano. Lo puniremo. Prima, però, fallo uscire di cervello, iniettagli una confusa follia, perché se ragiona non vorrà indossare, mai, un abito femminile. Ma, fuorviato di senno, se lo metterà. Voglio esporlo al riso dei Tebani, condurlo attraverso la città camuffato da donna, dopo quelle minacce che lo rendevano terribile. Ma vado a preparare per Penteo l'abbigliamento con cui scenderà all'Ade, scannato dalle mani di sua madre, e saprà chi è Diòniso, figlio di Zeus, Dio in tutto e per tutto, tremendo e dolcissimo per i mortali. |[continua]|
CORO
str.
Mi accadrà mai di danzare
a piedi nudi, nelle veglie notturne,
inebriata di Bacco, roteando la testa
nell'aria umida di rugiada?
Come la cerbiatta che gioca
nei verdi piaceri del prato,
scampata al varco di fitte reti,
a inseguitori feroci:
ma grida il cacciatore, tesa è la corsa dei cani,
rapida come tempesta, tormentosa è la fuga,
balza la cerbiatta per la pianura
lungo il fiume, e finalmente gioisce
dell'assenza dell'uomo, dei germogli
di una ombrosa foresta.
La saggezza ideale! È calcare più forte
il piede sul collo dei nemici?
È questo il dono più bello dei celesti
ai mortali? Il bello
è prezioso, sempre.
ant.
La forza degli dei! Tardi si muove,
ma è sicura, colpisce chi onora
la vanagloria, chi non esalta
la vita dei superni e ha per compagna
la follia. Nascondono gli dei,
astuti, il lungo passo del tempo,
perseguono il sacrilego.
Non è bene conoscere e operare
oltre la parte assegnata.
Costa ben poco pensare che dio,
chiunque egli sia, è potente
e che eterne, ancorate a natura
sono le norme scandite dai secoli.
La saggezza ideale! È calcare più forte
il piede sul collo dei nemici?
È questo il dono più bello dei celesti
ai mortali? Il bello
è prezioso, sempre.
Felicità è sfuggire alla tempesta
del mare, raggiungere il porto,
felicità è trovarsi oltre il dolore,
vincere gli altri, comunque,
in ricchezza, in potenza. Infinite
sono le speranze come infiniti gli uomini:
si compiono o svaniscono. Ma io
giudico fortunata la vita
di chi è felice giorno dopo giorno.
DIÒNISO
Tu che sei ansioso di vedere quello che non si deve vedere, e cerchi quello che non si deve cercare, dico a te, Penteo, esci dalla reggia, lasciati guardare nel tuo abbigliamento di donna, di Menade delirante, di spia di tua madre e del suo stuolo. Perfetto: ti si direbbe una delle figlie di Cadmo, tale e quale.
PENTEO
Mi pare di vedere due soli, e Tebe, la città delle sette porte, mi sembra di vederla doppia. E tu davanti a me, tu che mi guidi, mi sembri un toro, ti sono cresciute sulla testa corna di toro. Ma una volta, eri una bestia selvaggia? Perché adesso sei divenuto proprio un toro.
DIÒNISO
Dio è con noi: prima era ostile, ora è un alleato; ora sì che vedi quello che devi vedere.
PENTEO
Come ti sembra che stia? Ce l'ho il portamento di Ino, o magari di Agave, mia madre?
DIÒNISO
Vedendo te, mi sembra di vedere una di loro. Ma guarda che ti è andato un ricciolo di traverso, non è più come te lo avevo sistemato io sotto il nastro.
PENTEO
Mi è andato fuori posto dentro la reggia, quando scuotevo i capelli avanti e indietro, nella danza bacchica.
DIÒNISO
Permettimi di riaggiustartelo: a noi compete essere tuoi servi. Tieni su la testa.
PENTEO
Ecco, fammi bello: sono nelle tue mani.
DIÒNISO
La cintura ti si è allentata e le pieghe del peplo non cadono diritte sulle caviglie.
PENTEO
Pare anche a me, ma solo a destra: a sinistra la veste piomba bene sopra il tallone.
DIÒNISO
Quando ti accorgerai che le Baccanti non sono le svergognate che credevi, mi riterrai il migliore dei tuoi amici.
PENTEO
Per assomigliare di più a una Baccante, devo impugnare il tirso colla destra o colla sinistra?
DIÒNISO
Colla destra, e contemporaneamente alza il piede destro: mi rallegro che hai cambiato modo di ragionare.
PENTEO
E pensi che potrei sostenere sulle spalle il Citerone, con le sue convalli e le sue Baccanti?
DIÒNISO
Puoi, se lo desideri: prima la tua mente era offuscata, ora il tuo cervello è come bisogna che sia.
PENTEO
Portiamo delle leve? o devo sollevarlo con le mani il Citerone e lasciarmelo scivolare sulle braccia o sulle spalle?
DIÒNISO
Non vorrai distruggere le dimore delle Ninfe, le sedi di Pan, dove risuonano i suoi flauti.
PENTEO
Hai detto bene: le donne non vanno piegate colla forza: mi nasconderò dietro gli abeti.
DIÒNISO
Ti nasconderai, come deve farlo uno che va subdolamente a spiare le Baccanti.
PENTEO
Secondo me, ora sono nei cespugli, come degli uccelli presi nelle dolcissime reti d'amore.
DIÒNISO
E non è per questo che ti spingi a esplorare? Probabilmente le catturerai, se non saranno prima loro a catturare te.
PENTEO
Aprimi la strada attraverso Tebe: sono l'unico dei Tebani che osa fare queste cose.
DIÒNISO
L'unico che porta pena per questa città, l'unico: per questo, ti attendono le prove che devi affrontare. Seguimi: io sono la tua scorta, la tua salvezza: un altro ti ricondurrà di laggiù.
PENTEO
La donna che mi ha generato.
DIÒNISO
Sarai un esempio per tutti.
PENTEO
È per questo che vado.
DIÒNISO
Ma al ritorno ti porteranno...
PENTEO
Un trattamento raffinato.
DIÒNISO
le mani di tua madre.
PENTEO
Mi preannunzi delizie.
DIÒNISO
Straordinarie delizie.
PENTEO
In ogni caso, quelle che merito.
DIÒNISO
Sei un essere terribile, terribile e terribili prove ti attendono. Troverai una fama che si alza sino al cielo. Tendi le tue mani, Agave, e voi, figlie di Cadmo, nate da uno stesso seme: io conduco questo giovane a un grande confronto: il vincitore sarà Bromio, sarò io. Il resto, lo diranno i fatti.
vv. 1045-1153
2º MESSO
Lasciate le ultime case di Tebe, guadammo l'Asopo e ci inoltriamo su per le rocce del Citerone, Penteo, io, che seguivo il mio sovrano, e davanti lo straniero che apriva la marcia.
Ci fermiamo in una valle verdeggiante, senza parlare, badando a non far rumore: volevamo vedere senza essere visti. Era una valle scoscesa, percorsa da torrenti, ombreggiata da pini. Là sedevano le Baccanti, immerse in piacevoli fatiche. Alcune incoronavano con nuovi ciuffi d'edera un tirso morto, altre cantavano, a voci alterne, un inno a Bacco: sembravano puledre affrancate dal loro giogo istoriato. Ma Penteo, l'infelice, non scorgeva questa massa di donne e disse: «Straniero, da qui dove siamo adesso i miei occhi non colgono le bastarde Menadi: ma se salgo, dalle rocce, in cima a un abete, non mi sfuggirebbero le loro immonde azioni».
E allora assisto a un impressionante miracolo dello straniero. Afferra il ramo più alto di un abete, proprio sulla sommità, lo piega lentamente, lo flette sino alla nera terra; si curvava come un arco, come il legno che il tornio ruotando veloce foggia a forma di ruota. Lo straniero con le mani tira giù sino al suolo quel tronco selvatico: non fu, certo, impresa da mortale. Sistema Penteo sui rami, lentamente lascia andare l'abete, non di scatto, per non disarcionare Penteo: dritto si staglia contro il cielo l'albero, col mio padrone in cima. Le vide, allora, le Baccanti, o piuttosto, furono esse a vedere lui. Quando ormai lo si poteva distinguere lassù, e lo straniero era sparito di colpo, nell'etere echeggiò una voce, la voce - credo - di Diòniso: «o giovani, ecco vi ho portato l'uomo che si fa beffe di me e del mio culto: a voi punirlo». Mentre diceva così, il cielo e la terra si copersero del bagliore di un fuoco terribile: l'aria si fece silenziosa, tacquero nel fitto bosco le foglie, non si udiva ansito di belva.
Alle orecchie delle Baccanti giunse indistinto il grido: si drizzarono in piedi, si guardavano intorno. Di nuovo echeggiò la voce di Bacco, chiari ne intesero gli ordini ora le figlie di Cadmo: balzando impetuose nella corsa saettarono come colombe, Agave, la madre, con le sue sorelle dello stesso seme, e le Baccanti tutte: saltavano oltre dirupi e torrenti invasate dallo spirito del dio. Quando scorsero il mio padrone appollaiato sull'abete, cominciarono a gettargli contro dei sassi con estrema violenza, dall'alto di una roccia, una sorta di torre d'assedio, e lo tempestavano con rami d'abete, lanciavano tirsi, attraverso l'aria, contro quel povero bersaglio di Penteo. Ma senza colpirlo. Si accanivano: e l'infelice era fuori della portata dei loro tiri, ma privo di scampo, ormai. Spezzano poi rami di quercia, cercando di svellere l'abete dalle radici, con quelle leve non di ferro. Ma anche così i loro sforzi caddero nel vuoto. Disse allora Agave: «Perché non ci disponiamo tutte intorno, e afferriamo il tronco per catturare la belva che c'è salita sopra? Non deve raccontare in giro i nostri riti segreti». Mille mani insieme ghermirono l'abete, e lo divelsero: Penteo sbalzato dal ramo precipita al suolo dall'alto, gridando di terrore: aveva capito di essere vicino alla fine.
La madre gli piomba addosso; come sacerdotessa fu lei a dare inizio allo scempio. Penteo si strappò il nastro dai capelli, perché la povera Agave riconoscesse suo figlio, non lo ammazzasse. Toccandole le guance, la supplicava: «Madre, sono tuo figlio, Penteo, il figlio che hai partorito nella reggia di Echione, abbi pietà, madre, non uccidere tuo figlio per punire le mie colpe».
Colla bava alla bocca, roteando le pupille stravolte, incapace di recuperare la ragione - il dio la possedeva - Agave non ascolta suo figlio. Agguanta il braccio sinistro di quell'infelice, gli pianta un piede contro le costole, e tira, gli asporta una spalla, non per forza propria, il dio le aveva infuso nelle mani tutto quel vigore. E Ino completa l'opera dall'altro fianco, gli squarta le carni, gli si buttano addosso Autonoe e la massa delle Baccanti. L'aria si riempì di clamori; Penteo gridò finché ebbe respiro, le Baccanti celebravano con urla il trionfo. E una brandiva un braccio di Penteo, l'altra un piede con il calzare, i fianchi erano stati spolpati, a strappi: con le mani insanguinate, le Baccanti giocavano a palla con i resti di Penteo.
I pezzi del cadavere giacciono disseminati dappertutto: sotto le scarpate, nel fitto profondo del bosco: non sarà facile rintracciarli. Della misera testa di Penteo si è impadronita la madre, l'ha conficcata in cima a un tirso, la ostenta giù per il Citerone come la testa di un leone di montagna. Ha lasciato le sorelle in mezzo ai cori delle Baccanti, sta per entrare in città, dentro le mura, felice per la sua preda sciagurata, invocando Bacco, il suo compagno di battuta, che ha collaborato alla cattura, il dio della vittoria, e gli porta una vittoria gonfia di lacrime.
Ma io mi allontano da questa sventura prima che Agave arrivi alla reggia. Avere senno, venerare gli dei, ecco la cosa più bella: la sapienza, credo, più alta e utile per i mortali che ne fanno uso.