sec. XVII d.C.
GIOVAN BATTISTA MARINO (Napoli 1569/ 1625), Adone
Narciso
5,17
E ti vò raccontar, se non t’aggrava
ciò ch’adivenne al misero Narciso.
Narciso era un fanciul ch’innamorava
tutte le belle ninfe di Cefiso.
La più bella di lor, che s’appellava
Eco per nome, ardea del suo bel viso
ed adorando quel divin sembiante
parea fatta idolatra e non amante
5,20
"Amor (dicean le verginelle amanti)
o da questo sord’aspe Amor schernito,
dov’è l’arco e la face onde ti vanti?
perché non ne rimane arso e ferito?
Deh fa signor che con sospiri e pianti
ami invan non amato e non gradito!
Come più tant’ orgoglio ormai sopporti?
vendica i propri scorni e gli altrui torti."
5,21
A quel caldo pregar l’orecchie porse
l’arcier contro il cui stral schermo val poco
e l’cacciator superbo un giorno scorse
tutto soletto in solitario loco.
Stanco egli di seguir cinghiali ed orse
cerca riparo dal celeste foco;
tace ogni augello al gran calor ch’essala,
salvo la roca e stridula cicala
5,26
La contempla e saluta e tragge ahi folle!
dal mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco e arciero.
Invidia a quell’umor liquido e molle
la forma vaga è l simulacro altero
e, geloso del bene ond’egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.
5, 27
Mancando alfin lo spirto al’infelice,
troppo a se stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè del’onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L’onda che già l’uccise, or gli è nutrice,
perch’ogni suo vigor prende dal’acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago.
Eco
4, 179
Sette forate e stridule cicute
con molle cera di sua man composte
bella varietà di voci argute
formano in disegual serie disposte,
onde il silenzio dele selve mute
impara ad alternar dolci risposte
ed ale note querule e canore
fa la ninfa degli antri aspro tenore
5,18
Era un tempo costei ninfa faconda
e note sov’ogni altra ebbe eloquenti,
ma da Giunon crucciosa ed iraconda
le fur lasciati sol gli ultimi accenti.
Pur, seben la sua pena aspra e profonda
distinguer non sapean tronchi lamenti,
supplia, pace chiedendo ai gran martiri,
or con sguardi amorosi, or con sospiri
12,98
Querule ador ador voci interrotte
sparger con essi aprova Adon si sente
quai suol di primavera a mezzanotte
formar tra rami il rossignuol dolente.
L’abitatrice del’opache grotte
ch’invisibile altrui parla sovente
mentr’ei si lagna addolorato e geme
replica per pietà le note estreme
8,56
Quinci, penso, adivien che la loquace
gia ninfa che per lui muta si tacque,
d’abitar, fatta voce, or si compiace
dov’ei di vaneggiar già si compiacque.
Quivi dè detti estemi ombra seguace
d’arco in arco lontan fugge per lacque;
e, qual d’Olimpia entro l’eccelsa mole,
moltiplica risposte ale parole.