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sec. V d.C.

SEVERO, Narrazioni III

Traduzione da Bettini M., Pellizer E., Il mito di Narciso. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino, Einaudi, 2003, pag. 193.

Il racconto risultò più assurdo della stessa assurda passione. Narciso era innamorato di se stesso, e da se stesso si mandò in rovina; era di una gran bellezza nel corpo; e si guadagnò così, insieme la bellezza, anche la punizione. Volendosi dissetare, raggiunge una fonte. E trovatosi osservatore della propria bellezza, egli stesso apparve amante e spettatore; e ed amava proprio ciò da cui avrebbe ricavato da se stesso la propria rovina. Era un amato che non aveva ottenuto un amante. Preso dall’amore di se stesso, si tuffò nelle acque; e cercando consolazione alla sua passione, trovò la perdita della vita, e solo così tanto guadagno dalla sua morte ricavò, quanto che alla fine subì una trasformazione; e mostra memoria di sé grazie all’omonimo fiore.