
Titolo dell’opera: Giove e Semele
Autore: Peter Paul Rubens (Siegen 1577 - Anversa 1640)
Datazione: 1636-38
Collocazione: Brussel, Musèe des Beaux Arts
Committenza: Cardinale Infante Ferdinando, fratello di Filippo IV
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (27 x 39,4/5cm)
Soggetto principale: Giove fulmina Semele
Soggetto secondario:
Personaggi: Giove, Semele
Attributi: corona, fulmine (Giove)
Contesto: ambiente interno
Precedenti:
Derivazioni:
Immagine: http://www.opac-fabritius.be/fr/F_database.htm
Bibliografia: D’Ancona P., Rubens, Mondadori, Milano 1955; Held J. S., Rubens, selected drawings, Phaidon Press, London 1959, vol. I p. 93, vol. II, ill. 1; Paratore E., Ovidio e Seneca nella cultura e nell’arte di Rubens, in “Bulletin de l’Institut Historique Belge de Rome”, 38, 1967, pp. 533-565; Burckhardt J., Rubens, Einaudi, Torino 1967, pp. 57 e 67; Held J.S., The oil sketches of Peter Paul Rubens, a critical catalogue, Princeton university press, Washington National gallery of art 1968, pp. 286-287, n. Cat 202 plate 211; Alpers S., The decoration of the Torre de la Parada, in Corpus Rubensianum Ludwig Burchard, IX, Phaidon, Londra 1971, p. 228-229 n. 36 e 36a; Baudouin F., Pietro Pauolo Rubens, Mercatorfonds, Anversa 1977, p. 97, ill. 66 e 274; Jaffé M., Rubens. Catalogo completo, Rizzoli, Milano 1989, pp. 367, ill. 1352; Muller J., Rubens: The Artist as Collector, Princeton University Press, New Jersey 1989, pp. 19 e 112; Bodart D., Rubens, "Art e Dossier", 44, Giunti, Firenze 1990; Davidson Reid J., The Oxford guide to classical mythology in the arts, 1300-1990s, Oxford-New York 1993, vol.2, p. 988.
Annotazioni Redazionali: Filippo IV di Spagna tra il 1535 e il 1536 fece costruire un padiglione di caccia fuori Madrid il quale aveva anche una torre di avvistamento, detta Torre de la Parada che fu presumibilmente realizzata da Juan Gomez de Mora. Rubens nel 1636 fu incaricato tramite il fratello dal re, il Cardinale-Infante Ferdinando, di decorare questa torre con soggetti mitologici tratti per lo più dalle Metamorfosi di Ovidio. Esiste una lettera, primo riferimento ufficiale alla commissione, che Ferdinando aveva inviato il 20 novembre del 1636 al re, informandolo che Rubens aveva già iniziato a lavorare dividendo il lavoro tra i suoi migliori collaboratori, ma che lui stesso avrebbe realizzato i bozzetti ad olio tra cui rientrerebbe, secondo la Alpers, anche questo con Giove e Semele. Le opere lasciano Anversa l’11 marzo 1638 e giungono a Madrid nello stesso anno. Sfortunatamente però, nel 1710, durante la Guerra di Successione spagnola, le truppe austriache del granduca Carlo saccheggiarono la Torre e, a seguire, un incendio nel 1734 nel Castello Reale del Buen Retiro a Madrid causò la perdita di ancora altre tele. Sopravvissero però i bozzetti di mano di Rubens che il pittore eseguì e poi lascio alla realizzazione finale ai suoi allievi tra cui Jan van Eyck, Jacob Jordaens, Cornelis de Vos e Juan Batista del Mazo. In totale, dei 63 soggetti commissionati si conservano 59 tra bozzetti e dipinti e non ci sono pervenuti disegni preparatori. I bozzetti sono dipinti direttamente ad olio, poiché non sono visibili linee preparatorie ad di sotto dello strato esecutivo. Sia la Alpers che Ettore Paratore testimoniano che Rubens aveva un ottima conoscenza della cultura classica, in particolare di Ovidio, cosa che lo portò molto spesso ad attenersi strettamente al testo durante l’esecuzione delle sue opere. La Alpers, in particolare, evidenzia i rapporti tra i bozzetti di Rubens e le incisioni delle varie edizioni dell’Ovidio illustrato in particolar modo le invenzioni di Rubens sembrano vicine a tre di queste: l’edizione di Lione del 1557 con xilografie di Bernard Salomon (Cfr. scheda opera 57), quella di Leipzig del 1582 e, in generale, alle incisioni di Antonio Tempesta (Cfr. scheda opera 66). Rubens per la Torre Parada scelse in particolar modo miti d’amore ma anche meno popolari ottenendo l’effetto di un personalissimo Ovidio illustrato. La decorazione della Torre deve essere intesa, dunque, come una serie che sceglie la narrazione piuttosto che l’allegoria poiché la sua fonte sono proprio le incisioni delle Metamorfosi non moralizzate e, sempre secondo la Alpers, Rubens condivide con il testo latino un atteggiamento nei confronti dell’esperienza umana e l’alta considerazione dell’amore. “Le stesse metamorfosi, una sorta di rinascita dell’uomo in natura, sono spesso i mezzi attraverso cui la potenziale tragedia dell’attore umano si trasforma in un naturale trionfo. Rubens vede l’amore, come Ovidio, in termini di pathos, come parte della condizione umana.” (Alpers, 1971). Come già anticipato, secondo la studiosa, l’opera conservata a Brussel sarebbe uno dei bozzetti per mano di Rubens di un dipinto perduto appartenente a quelli della Torre Parada. Assegnato precedentemente a Jordaens il dipinto è menzionato col suo titolo corretto nell’inventario della torre del 1700 anche se erroneamente interpretato come Giove e Giunone e già da quella data attribuito a Jordaens. Probabilmente venduto nel 1888 al conte Don Juan di Valencia lasciato come eredità al museo di Brussel dal Conte di Valencia nel 1919 assieme a La caduta di Icaro, Cupido sul delfino, Il giudizio di Mida e la caduta di Fetonte. Rubens sceglie di dipingere il momento dell’incontro, mentre Giove sopraggiunge e già la sua potenza spinge indietro Semele; la figura del dio è una chiara citazione dell’Apollo del Belvedere mentre la posa di Semele è basata sulla Proserpina del sarcofago Altemps Mazzarini-Rospigliosi della collezione nel palazzo Rospigliosi a Roma (Reinach, Repertoires del relifs grecs et romain, III, Paris, 1912, p. 318), ma anche nel sarcofago con lo stesso episodio conservato a Berlino che Rubens aveva già usato nel suo schizzo per il Rapimento di Proserpina. Tale distorsione del corpo serve a rendere la potenza di Giove e l’impossibilità per Semele di contenerne l’urto. È significativa la scelta di non dipingere Giove in cielo come nell’incisione Salomon (scheda opera 57), a cui chiaramente è ispirato il bozzetto, ma di mostrarlo già entrato nella stanza di Semele (Cfr. scheda opera 40 e 48). Accanto a lui compare l’aquila e nel complesso risulta assai vicino allo stesso episodio rappresentato da Primaticcio a Fontainebleau (Cfr. scheda opera 49). In questa scelta dunque l’artista sembra non dipendere dagli ovidi illustrati ma dalla volontà di dare alla scena una dimensione più domestica del rapporto tra il dio e un’ umana. Anche un dio può trovarsi nella situazione di non essere capace di salvare qualcuno che ama dalla morte e può essere disarmato a compiere la sua volontà. La Alpers lo inserisce nel gruppo delle conseguenze dell’amore degli umani per gli dei, assieme ad episodi come quello di Cefalo e Procri.
Francesca Pagliaro