52: Giove, Semele e la nascita di Bacco

Titolo dell’opera: Giove e Semele

Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (1518-1594)

Datazione: 1543-1544

Collocazione: Padova, Museo Civico

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (198 x 133 cm)

Soggetto principale: Giove folgora Semele

Soggetto secondario:

Personaggi: Giove, Semele, Giunone/Beroe(?)

Attributi: luce/fiamme (Giove)

Contesto: stanza di Semele

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: Pallucchini R., Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, vol. II, fig. 90

Bibliografia: Rossi P., Otto Tintoretti restaurati, Catalogo della mostra dicembre-gennaio 1978-1980, Tip. Antoniana, Padova 1979; Pallucchini R.- Rossi P., Tintoretto: le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, vol. I, pp. 141-142, vol. II, fig. 90; Ballarin A., Banzato D. (a cura di), Da Bellini a Tintoretto: dipinti dei Musei civici di Padova dalla meta del Quattrocento ai primi del Seicento, Leonardo-De Luca, Roma 1991, p. 187; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio. Il problema dei testi mediatori, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, in “Atti del Convegno Internazionale di Studi” (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 257-262; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio: il problema dei testi mediatori, in Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 275-289.

Annotazioni redazionali: l’opera fa parte di un ciclo di otto tele dipinte con soggetti mitologici conservate al Museo Civico di Padova e attribuite a un giovane Tintoretto. Paola Rossi ipotizza che in origine le opere decorassero le pareti di un vasto ambiente di un palazzo cittadino (1982). Le tele furono tagliate per essere inserite in un dossale ligneo ma in origine erano formato rettangolare; gli ultimi restauri risalenti alla metà del Settecento hanno ripristinato le dimensioni originarie attraverso delle aggiunte ed è per questo che la serie risulta nuovamente leggibile nella sua unità. Evidentemente ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, puntualmente per alcuni episodi (Cercòpi mutati in scimmie, Deucalione e Pirra, Giove e Semele), più vagamente per altri (Apollo e Marsia, Venere e Adone, compianto di Adone morto), secondo la Rossi, il ciclo sembra non avere un preciso legame fuorché di forma. Güthmuller (1996) sostiene invece che si notano molte divergenze tra il testo ovidiano e le opere, spiegabili soltanto attraverso l’ipotesi che Tintoretto abbia usato un’altra fonte, fonte che secondo lo studioso sarebbe la traduzione delle Metamorfosi in ottava rima di Niccolò degli Agostini, stampata la prima volta proprio a Venezia nel 1522 (Semfr03). Per la tela con Giove e Semele Rossi e Pallucchini avanzano un paragone con l’ottagono di Modena con lo stesso soggetto (Cfr. scheda opera 51), anche se nel dipinto di Padova il plasticismo degli ottagoni modenesi cede il posto a esiti stilisticamente più eleganti e meno incentrati sul chiaroscuro ravvisabili in special modo nella figura riversa di Semele. A Padova, la principessa tebana sembra addormentata più che violentemente scossa dalla potenza di Giove. Poggia innaturalmente le gambe e volge indietro la testa. La presenza della vecchia nutrice viene imputata da Rossi Pallucchini alla fantasia briosa del pittore (Pallucchini-Rossi, op. cit.), ma in realtà è molto frequente la contaminazione tra l’episodio di Semele e quello di Danae simili per l’ambientazione domestica; l’ancella infatti è riferibile alla madre di Perseo e non alla principessa tebana. Come in un disegno di Niccolò dell’Abate (Cfr. scheda opera 56), la vecchia ancella, assimilata a Giunone trasformata in Beroe, viene aggiunta alla scena mentre asseconda l’unione spostando la tenda (compito che le spettava nel favorire la caduta della pioggia d’oro). La scena è animata dal brano paesistico.

Francesca Pagliaro