
Titolo dell'opera: Giove e Semele
Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto
Datazione: 1541 circa
Collocazione: Modena, Galleria Estense
Committenza: Vittore Pisani conte di San Paterniano
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola (127 x 124 cm ca.)
Soggetto principale: Giove fulmina Semele
Soggetto secondario:
Personaggi: Giove, Semele
Attributi: aquila, fiamme (Giove)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Pittaluga M., Il Tintoretto, Zanichelli, Bologna 1925, p. 278; Pallucchini R., I dipinti della Galleria estense di Modena, Cosmopolita, Roma 1945, pp. 173-176; Ghidiglia Quintavalle A., La Galleria Estense di Modena, Roma 1967, pp. 16-17; De Vecchi P., L’opera completa del Tintoretto, Rizzoli, Milano 1970, pp. 86-87; Pallucchini R.- Rossi P., Tintoretto: le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, Vol. I, pp.134-135; Vol. II, pp. 16-17, fig. 33; Barkan L., The Gods Made flesh and the Pursuit of Paganism, New Heaven 1986, p. 8; Davidson Reid J., The Oxford guide to classical mythology in the arts, 1300-1990s, Oxford-New York 1993, p. 587; Masson S., Intorno al soffitto di San Paternian: gli artisti di Vettore Pisani, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte. Atti del convegno Inernazionale di Studi (Venezia 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P. e Puppi L., Venezia 1996, pp. 71-75; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio: il problema dei testi mediatori, in Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 275-289;Nichols T., Tintoretto tradition and identity, Reaktion books, Londra 1999; Cieri Via C., “Dal mito all’allegoria: Tintoretto, un caso esemplare”, in L’Arte delle Metamorfosi, Lithos, Roma 2003, pp. 104-119.
Annotazioni redazionali: questo dipinto fa parte di quattordici tavole ottagonali con episodi mitologici, appartenenti alla Galleria Estense di Modena, acquistate nel 1653 a Venezia, dove forse decoravano il soffitto di un locale nel palazzo dei Conti Pisani di San Paterniano, in seguito smembrati e offerti nel 1658 a Francesco I. L’occasione in cui la decorazione fu realizzata potrebbe ricondursi alle nozze di Vettore Pisani con Paolina Foscari risalenti al 1542, quando per l’evento Vettore fece ristrutturare l’edificio ed ha come tema le favole tratte dalle Metamorfosi di Ovidio. Tutti i quattordici ottagoni (probabilmente in origine sedici, due sono smarriti) rappresentano più precisamente alcuni episodi tratti dalla volgarizzazione che fece dell’opera di Ovidio Niccolò degli Agostini (Guthmuller, 1997). Una decorazione nunziale impressionante affidata a Tintoretto che nonostante la giovane età si esprime in un virtuosismo di stile: potenti scorci dal basso, movimenti esasperati, equilibri precari, punto di vista ribassato. Come fonte d’ispirazione di queste ardite invenzioni prospettiche è stato ipotizzato un viaggio a Mantova dove Jacopo avrebbe potuto osservare gli scorci di Giulio Romano a palazzo Te, ma è probabile che subì anche gli influssi fiorentini michelangioleschi. La scelta dei miti rappresentati suggerisce un raggruppamento degli ottagoni secondo alcuni temi: amore degli dei, amore tra dei e umani e superbia punita. L’episodio con Semele rientra a metà tra le ultime due categorie: Semele è un umana amata da Giove ma punita a causa della sua curiosità, come Psiche, di voler conoscere con certezza l’identità del suo amante. Tale pensiero però, le viene instillato da Giunone, invidiosa della sua gravidanza, ed ella non può essere che uno strumento nelle manovre divine. Come nota Cieri Via (2003) il peccato di ybris è causato non tanto dall’arroganza umana, ma dal desiderio, anch’esso umano, di competere con le divinità. Non ci può essere altro che una conflagrazione o una trasformazione nell’incontro tra divino e umano. Semele è rappresentata, come tutti gli altri ottagoni, con un vertiginoso sotto in su che ce ne fa intravedere le gambe scomposte per l’impatto con la luminosità e la potenza di Giove. Egli, in alto a sinistra, tiene in entrambe le mani le fiamme e guarda l’amante come se il pittore avesse voluto lasciar trapelare un segno di tristezza. L’aquila vola all’altezza del volto di Semele, appena accennato e riverso all’indietro. La composizione ricorda per il dinamismo con cui è rappresentato il sovrano degli dei il disegno di Giulio Romano conservato Mertoun House (Cfr. scheda opera 43), ma è certo che l’esaltazione luministica è in linea con gli altri ottagoni in cui un ruolo fondamentale è giocato da Apollo-Sole, protagonista di molti degli ottagoni (La caduta di Fetonte, Apollo e Pitone, Apollo e Dafne, Apollo e Marsia) e che palesa un evidente “ruolo nel processo creativo e rigenerativo” (Cieri Via, 2003). Dunque siamo in un momento in cui da semplice narrazione mitologica si passa a rappresentazioni sintetiche e allegoriche/esemplificative che tendono a rintracciare un senso particolare del mito, anche combinandone diversi simili insieme, in base alla richiesta della committenza o all’occasione a cui sono in relazione (in questo caso, l’evento nunziale). Non si tratta di scegliere degli episodi che mantengano un senso logico consequenziale, ma di rappresentare esempi che trasmettano un senso attraverso l’allegoria e lo esaltino grazie alla composizione potente e dinamica. Sono attualmente esposti nella galleria di Modena solamente Giove e Antiope e Giove e Europa. Dei sedici pezzi due risultavano perduti già da Paganini (1770) e al tempo di Francesco I vennero riportati nella nuova galleria. Subirono diversi restauri (1912, 1914 da Boschi). Per la datazione è utile un confronto con la Sacra Conversazione di Wildestein (1540) a cui i volti sembrano avvicinarsi. (Rossi- Pallucchini). Vettore non ebbe eredi e furono due suoi nipoti, Zuanne e Gerolamo, a vendere gli ottagoni all’emissario del duca di Modena nel 1661 (Masson, 1996).
Francesca Pagliaro