
Titolo dell'opera: Giove e Semele
Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto
Datazione: 1543-44 ca.
Collocazione: Londra, National Gallery
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola (22.9 x 65.4 cm)
Soggetto principale: Giove fulmina Semele
Soggetto secondario:
Personaggi: Giove, Semele
Attributi: aquila, fiamme (Giove)
Contesto: stanza di Semele a destra / scorcio paesaggistico a sinistra.
Precedenti:
Derivazioni:
Bibliografia: Pittaluga M., Il Tintoretto, Zanichelli, Bologna 1925, p. 278; De Vecchi P., L’opera completa del Tintoretto, Rizzoli, Milano 1970, pp. 86-87; Pallucchini R.- Rossi P., Tintoretto: le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, p. 21 e n. 58 p. 139; Raimondi E., Poesia come Retorica, Olschki, Firenze 1980; Barkan L., The Gods Made flesh and the Pursuit of Paganism, New Heaven 1986, p. 8; Davidson Reid J., The Oxford guide to classical mythology in the arts, 1300-1990s, Oxford-New York 1993, p. 587; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio: il problema dei testi mediatori, in Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997,, pp. 275-289;Nichols T., Tintoretto tradition and identity, Reaktion books, Londra 1999 Cieri Via C., “Dal mito all’allegoria: Tintoretto, un caso esemplare”, in L’Arte delle Metamorfosi, Lithos, Roma 2003,, pp. 104-119.
Annotazioni redazionali: Pallucchini e Rossi testimoniano come quest’opera, per la vicinanza con lo stile e il formato schiavonesco, fosse stata originariamente assegnata proprio al dalmata. Waterhouse fin dal 1927, però, la rivendicava a Tintoretto e ora che l’attribuzione sembra definitivamente certa, si può riconoscere la mano del pittore accostandola al suo momento di più intenso accostamento allo Schiavone (1543-44) a cui appartengono anche le sei scene bibliche conservate a Vienna e (Salomone e la regina di Saba, Convito di Baldassarre, Trasporto dell’Arca Santa, Betsabea inginocchiata davanti a David, ecc..). Questo stile, che Anna Pallucchini definisce corsivo e di “cassone”, impostato su schemi del manierismo tosco-romano e ritmi movimentati smossi dal parmigianesimo di Schiavone, è tipico del primo Tintoretto. Come è visibile dal formato di Giove e Semele siamo nell’ambito di una serie di vere e proprie predelle profane eseguite attorno agli anni Quaranta che servivano a decorare cassoni o spalliere di mobili. In queste opere egli aderisce ai canoni di una produzione domestica e di elaborazione narrativa più semplice, lontana dall’originalità delle decorazioni icastiche dei soffitti, come quello di Vettore Pisani a San Peterniano (Cfr. scheda opera 51). Intorno alla metà del quinto decennio queste opere di piccolo formato avvicinabili ai cassoni sono molto di moda e nonostante, come già detto, le caratteristiche stilistiche e dalla pennellata, richiamino lo Schiavone, la dilatazione spaziale alle spalle di Giove, pur entro i limiti ridotti della tavola, è vicina ai citati cassoni di Vienna. Il dio appare nella coltre di nubi, in una alone di luce; sta per infliggere il colpo mortale a Semele e tutta la sua potenza e grandezza sembra aprire un buco nella tela, come se ci fosse una zona dove né il paesaggio esterno, né la stanza della principessa possano più esistere. Tale presenza di nubi è richiamata in tutte le versioni delle metamorfosi di età umanistico-rinascimentale (Anguillara, Dolce, Agostini) ma considerando che anche per gli ottagoni si servirà dell’opera Agostiniana, immaginiamo che la fonte resti la stessa. Nonostante l’evento sia tragico però (e qui sta la differenza per tipo di committenza), il tono sembra ironico, quasi teatrale. Semele è statica, distesa di spalle, rilassata, in una posizione in cui non era mai stata rappresentata prima. Si tiene la testa con la mano e si volta ammiccante verso Giove, come consapevole e fiera di quello che sta accadendo. Nell’atteggiamento sembra la Semele descritta da Nonno di Panopoli, fiera e decisa ad affrontare il suo destino. In realtà però, il tono è chiaramente smorzato per via della destinazione privata della scena. L’ambientazione, divisa tra esterno e interno, vede l’ingresso della camera di Semele aperto da alcune colonne classiche e la giovane chiusa nel tendaggio del baldacchino sul suo letto. Il tutto dà l’impressione di uno stage teatrale che ricorda le opere più mature dell’artista o forse solo segna l’inizio di questo tipo di architettura delle immagini. Come nota Raimondi (1980) nelle opere del quinto decennio del Cinquecento Tintoretto esalterà questo tono teatrale del mito e più volte inserirà notazioni ludiche come nel dipinto di Monaco con Marte, Venere e Vulcano, dove il cagnolino che abbaia svela la presenza dell’amante sotto il letto (Cieri Via 2003). L’opera fu restaurata nel 1978-79 e prima di essere acquistata dalla National Gallery nel 1896 tramite Christie’s come opera dello Schiavone apparteneva alla collezione di Lord Leighton. De Vecchi (1970, p. 89 n. 36) l’assegnò definitivamente a Tintoretto.
Francesca Pagliaro