48: Giove, Semele e la nascita di Bacco

Titolo dell’opera: Giove e Semele

Autore: Cristofano Gherardi, detto il Doceno

Datazione: 1537-54

Collocazione: San Giustino, Castello Bufalini, stanza degli dei pagani (o di Giove)

Committenza: Giulio Bufalini

Tipologia: pittura parietale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Giove sopraggiunge col fulmine nella stanza di Semele

Soggetto secondario:

Personaggi: Giove, Semele

Attributi: aquila, fulmini (Giove)

Contesto: spazio interno

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Ronen A., The Pagana gods. A fresco cyicle by Cristofano Gherardi in the Castello Bufalini, San Giustino, in “Antichità Viva”, XVI, 1977, n. 4, pp. 3-12; Ronen A., Gli affreschi di Cristofano Gherardi nella stufetta del Castello Bufalini a San Giustino, in “Studi di Storia dell’arte”, IV, 1993, pp. 69-84; De Romanis A., San Giustino, Castello Bufalini, in C. Cieri Via, L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 326-329.

Annotazioni redazionali: Cristofano Gherardi detto il Doceno, è l’autore principale del ciclo di Affreschi di Castello Bufalini a San Giustino. Egli, noto come assistente del Vasari, fu costretto ad un esilio volontario dalla Toscana (1537) perché accusato di una congiura ai danni di Cosimo I. Nonostante il suo stesso datore di lavoro ne riduca l’intervento agli affreschi di tema storico in una stanza del mezzanino occidentale (p.213, VII pp. 165, 670, 696 ed.Vasari-Milanesi), la critica ha di recente restituito al pittore la paternità di quasi tutti gli ambienti decorati del Castello. San Giustino è una località umbra vicino Borgo San Sepolcro; il comune nel 1492 donò la il Castello alla famiglia Bufalini che in cambio dovette occuparsi di ristrutturarlo. I lavori cominciarono a dieci anni dal passaggio di proprietà, quando Giulio Bufalini ne affidò i lavori a Giorgio Vasari. Come anticipato, i lavori furono poi interamente realizzati da Gherardi. È piuttosto difficile parlare di cronologia quando si tenta una lettura degli affreschi e questo proprio a causa dei continui spostamenti dell’autore da una città all’altra e da un lavoro all’altro, in ogni caso sembra che il periodo di realizzazione possa essere ristretto tra gli inizi del 1538 e la fine del 1539 ma a più riprese. Al piano superiore si trova la Sala di Apollo, così chiamata dal protagonista delle storie che si svolgono sulle pareti basate sulle Metamorfosi di Ovidio volgarizzate da Giovanni Bonsignori pubblicate a Venezia nel 1487. Al piano inferiore della torre si trova invece la Stanza degli dei Pagani, presieduta da Giove al centro del soffitto, che risalirebbe al periodo iniziale dell’attività; questa stanza è un esempio caratteristico delle decorazioni rinascimentali del soffitto inteso come cielo, ma non più in senso astrologico medievale ma quello di un vero “paradiso rinascimentale degli antichi dei pagani” (Ronen 1977).  Sia la stanza degli dei pagani che quella di Apollo tradiscono evidenti analogie nel programma iconografico con quello del Battista nel palazzo Vitelli alla Cannoniera e con i più noti affreschi della Villa Farnesina a Roma. La preparazione artistica del Gherardi infatti era legata a Raffaellino dal Colle nella cerchia di Raffaello ed è da questo che provengono gli echi della maniera romana. Dopo aver decorato la torre, Gherardi andò a Bologna dove lavorò con Vasari a San Michele al Bosco (1539-40) e tornato a San Giustino si dedicò alla stanza di Prometeo e alla Stanza dei Fatti Romani, unica attribuitagli dal Vasari, nel mezzanino (1541). Oltre a questi ambienti poi, nello stesso mezzanino, ci sono anche una stanzino e una stufetta, sempre decorati con divinità. È proprio tra le decorazioni della stufetta, basate sugli Amori da Giove, che compare la rappresentazione di Semele qui in esame. In generale il tema degli Amori di Giove si prestava ad esaltare insieme alla potenza della divinità anche a valenza erotica del mito, per questo trova una sua collocazione in luoghi di uso privato, rispondendo alla funzione di quegli ambienti, come le camere da letto, gli studioli, le stufette Ronen (1993), che ha pubblicato gli affreschi, sostiene che la fonte esclusiva per la decorazione di questo ambiente sarebbe nuovamente la versione delle Metamorfosi di Ovidio volgarizzata da Giovanni Bonsignori del 1497. In generale gli episodi amorosi sono tipici anche di altri celebri stufette quali quella del Cardinal Bibbiena affrescata da Raffaello e bottega, e quella di Clemente VII a Castel San’Angelo. Gli ovali che decoravano la stufetta di Castello Bufalino erano quattro, ma ne restano solamente tre poiché uno fu asportato assieme all’intonaco; le scene rappresentate sono: Leda e il cigno, Il ratto d’Europa, Giove in forma di satiro che abbraccia Antiope. Gli episodi proseguono sulle pitture rettangolari che decorano le quattro lunette con di nuovo il ratto d’Europa e due affreschi con una donna sdraiata raggiunta da Giove, per i quali è stata proposta l’identificazione con Semele e Giove. A darci la certezza che la fonte di ispirazione di Gherardi fossero proprio le Metamorfosi di Bonsignori è il fatto che l’episodio di Europa sia ripetuto più volte: nell’edizione di riferimento dell’opera, infatti, all’episodio vengono dedicati bene cinque episodi figurati. L’affresco qui in esame, che con tutta probabilità raffigura Semele, si trova nella lunetta sopra la porta d’entrata. Ronen lascia l’identificazione in sospeso, ma sulla base del confronto con altre rappresentazioni della scena, si vuole con questo studio togliere ogni dubbio sul riconoscimento. Semele, distesa nuda su un letto racchiuso da tende, guarda Giove sopraggiungere da sinistra sopra un aquila. Egli tiene il braccio alzato, pronto per colpire la donna con le frecce, non molto visibili a causa dello stato dell’affresco. Alle spalle si intravede una porta, segno che l’ambientazione è all’interno del palazzo di Cadmo a Tebe. L’altra possibile identificazione per la scena sarebbe l’episodio di Danae, anche se si ritiene che  nell’iconografia del mito che la riguarda Giove non sia quasi mai raffigurato di persona (Cfr. scheda opera relativa)comparendo per lo più sotto forma di pioggia dorata (Cfr. scheda opera relativa). Un’altra differenza tra l’episodio di Danae e quello di Semele è la presenza di almeno un’altra figura, (un amorino, una vecchia o entrambi) intorno alla madre di Perseo, tanto che quando queste compariranno nella scena dela principessa tebana, la somiglianza con Danae sarà ancora più decisa (Cfr. ad esempio scheda opera 72). Ronen riconosce nella posa di Semele quella di Venere del perduto cartone di Michelangelo con Venere e Cupido, noto attraverso un’incisione del Raimondi e un dipinto del Ghirlandaio alla Galleria Colonna di Roma (http://arte.stile.it/articoli/2001/03/28/85189.php) ispirato allo stesso disegno e utilizzata anche in altri affreschi del castello. Visto che in ambiente Raffaellesco il mito di Semele è rappresentato in questo modo (Cfr. scheda opera 40) e che la storia della principessa tebana figura tra le incisioni degli Amori di Giulio Romano realizzate da Raimondi, non c’è motivo di dubitare sulla sua identità. Più difficile è comprendere perché l’episodio della folgorazione di Semele compaia due volte: di fronte alla lunetta appena discussa, infatti, è raffigurata l’identica rappresentazione della storia. Ancora Semele distesa, ancora Giove che sopraggiunge su un’aquila con un’unica folgore tra le mani (il fulmine minore ovidiano), ancora la stanza con il letto e il baldacchino. Valgono le stesse considerazioni riferite all’altra immagine dunque non sembrerebbero esserci sono motivi per dubitare dell’identificazione sebbene la somiglianza con Danae possa far avanzare l’ipotesi che i due miti fossero distinti nelle intenzioni, ma quasi identici nell’esecuzione e che dunque uno sia Semele, l’altro Danae. Nell’edizione di Bonsignori non si parla del fulmine minore ovidiano, si dice solo che Giove temperò le sue saette i suoi venti e i tuoni (Semfm13) mentre piuttosto Boccaccio, più fedele al racconto ovidiano e nonniano, parlava testualmente del minor folgore (Semfm12).Questa volta però Ronen individua la fonte della posizione in un’altra incisione del Raimondi raffigurante Arianna abbandonata sull’isola di Nasso, molto celebre nel Cinquecento e sempre confusa con Cleopatra (Bartsch A., XIV, 161) oppure con una menade di un Baccanale, nell’incisione dello stesso autore tratta da un sarcofago conservato a Palazzo Venezia. Gli spazi attorno alle lunette sono ornati con grottesche su fondo bianco, molto somiglianti a quelle della stanza degli dei pagani: questo secondo Ronen potrebbe essere utile per spostare indietro la cronologia della stufetta, ai primi momenti decorativi del Castello, ancora prima della partenza bolognese del Gherardi. 

Francesca Pagliaro