
Titolo dell'opera: Giove e Semele
Autore: Pietro Buonaccorsi, detto Perin del Vaga (1501-1547)
Datazione: 1529-1533
Collocazione: Genova, Palazzo del Principe, Stanza delle Metamorfosi (o di Aracne)
Committenza: Andrea Doria (1466-1560)
Tipologia: pittura murale
Tecnica: affresco
Soggetto principale: Giove raggiunge Semele nella casa di Tebe
Soggetto secondario:
Personaggi: Giove, Semele
Attributi: aquila, fuoco (Giove)
Contesto: ambiente interno
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: Parma E,La pittura in Liguria. Il Cinquecento, a cura di Parma E., Genova 1999, p. 183, fig 156
Bibliografia: Davidson B., Drawings by Perino del Vaga for the Palazzo Doria, Genoa, in “The Art Bulletin”, XLI, 1959 (Dicembre), pp. 315-326; Parma Armani E., Il Palazzo del Principe Andrea Doria a Fassolo in Genova, in “L’Arte”, 10, 1970, pp. 12-59; Gavazza E., La grande decorazione a Genova, Sagep, Genova 1974, vol. I; Boccardo P., in Raffaello e la cultura raffaellesca in Liguria: interventi di restauro, problemi di conservazione e fruizione, Stringa, Genova 1983, p. 44; Parma Armani E., Perin del Vaga: l'anello mancante. Studi sul manierismo, Sagep, Genova 1986, pp. 73-152, 263-267, 279-280; Parma E., Alcuni temi della decorazione ad affresco: Storia–Mitologia–Genealogia, in La pittura in Liguria. Il Cinquecento, a cura di Parma E., Genova 1999, pp. 119-132; Stagno L., Palazzo di Andrea e Giovanni Andrea I Doria (Palazzo del Principe a Fassolo), in La pittura in Liguria. Il Cinquecento, a cura di Parma E., Genova 1999, pp. 173-186; Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 204-206;
Annotazioni redazionali: la costruzione e la decorazione del Palazzo Doria a Fassolo come lo vediamo oggi è il risultato di una lunga serie d’interventi protrattasi per un secolo che si inseriscono all’interno di un programma di adeguamento dell’immagine di Genova voluta da Andrea Doria. Il principe si alleò con Carlo V e fu nominato Capitano Generale dell’Armata Marittima del Mediterraneo e dell’Adriatico. Fu così che Genova guadagnò l’ingresso nella sfera imperiale ma anche la libertà e l’indipendenza della Repubblica. La città doveva poter rispondere ad un ruolo così prestigioso per il quale venne chiamato a Genova Perino. Rispetto agli interventi che si erano attribuiti a Perino la critica ha ridotto il raggio d’azione, includendolo sì nella progettazione architettonica, ma pure ammettendo l’impossibilità di riferire la realizzazione del palazzo ad un singolo artista. Infatti, basandosi sulla testimonianza del Vasari, fraintesa all’origine dal Borghini e dall’Armenini, che aveva attribuito a Perin del Vaga non solo la definizione e la decorazione degli ambienti interni, ma l’intero progetto architettonico del palazzo tutta la critica trovò Perino ad ogni angolo della dimora. I lavori architettonici terminarono entro il 1530 data che compare al centro del soffitto dell'atrio, e subito a seguire iniziarono quelli decorativi terminati entro la primavera del 1533, quando Carlo V fu ospitato nel palazzo per dodici giorni. Ovviamente l’autore principale fu Perin del Vaga ma assieme a lui operarono Luzio Romano, Prospero Fontana, Domenico Rietti detto lo Zaga e Luca Penni. Il programma iconografico del palazzo vuole essere un’autocelebrazione del prestigio committente proprio in vista dell’illustre visita imperiale. Partendo dagli affreschi dell’atrio troviamo i Trionfi di Lucio Emilio Paolo dopo la vittoria sui Galli che alludono alla personale vittoria di Andrea Doria sui francesi, nella Loggia degli Eroi figurano gli antenati della famiglia Doria in veste di antichi romani. Nella Sala della Carità Romana gli affreschi esaltano le virtù morali del committente (Pero allatta il vecchio padre Micone) mentre nel Salone dei Giganti e in quello del Naufragio si passa alla celebrazione implicita dell’imperatore con l’allusione, nell’affresco di Giove che fulmina i giganti ribelli, ai trionfi di Carlo V e con l’affresco perduto di Nettuno che placa le onde dopo il naufragio di Enea a celebrare al contempo lo stesso Andrea Doria. Posti simmetricamente ai due Saloni ci sono i due appartamenti dei proprietari, quello ad est della moglie di Andrea, Peretta Usodimare, quello ad ovest destinato all’ammiraglio stesso. Entrambi gli appartamenti sono decorati con scene tratte dal mito classico: nell’appartamento di Andrea si vedono soggetti eroici (Sala di Perseo) o ancora allusivi delle virtù del committente (Sala di Cadmo, dello Zodiaco, dei Sacrifici), in quello di Peretta invece si scelgono miti tratti dalle Metamorfosi Ovidiane come quello di di Fetonte, Amore e Psiche, o le varie metamorfosi “amorose” di Giove. Nel complesso, come nota Parma Armani, la scelta dei soggetti teneva anche conto della divisione tra ambienti esterni e ambienti interni, dunque tra quelli di rappresentanza, con la scelta di soggetti storico civili facilmente identificabili, e quelli privati, dove era necessaria la conoscenza preliminare del repertorio. La presenza di alcuni disegni al Louvre per le Arti Liberali rappresentate nei pennacchi della volta della stanza delle Metamorfosi (Parma, p.138) confermano la totale responsabilità di Perino nella progettazione di questa sala. La Stanza delle Metamorfosi si articola attraverso una volta ad ombrello con sedici lunette, nelle quali è raccontato il mito di Aracne e Minerva e gli Amori di Giove tessuti da Aracne sulla sua tela (Giove e Antiope, Leda e il cigno, Giove e Alcmena, Ratto d’Europa, Giove e Semele, Ratto di Ganimede; quattro episodi non identificati; nei dodici pennacchi invece figurano le Arti Liberali, ampliate secondo la teoria aristotelica, (Grammatica, Retorica, Filosofia, Prospettiva, Stereometria, Musica, Astronomia, Geometria, Aritmetica, Dialettica, Magia, Teologia). Secondo Elena Parma Armani le scene erotiche raffigurate nelle lunette vengono in parte riequilibrate nel senso dalle Arti Liberali della volta. Secondo Boccardo che segue la lettura di Panofsky, leggendo le due sale, quella di Psiche e quella di Aracne, come se rappresentassero un insieme, si vedrebbero articolati i due aspetti dell’amore platonico, quello intellettuale e quello carnale. Rifacendosi al Convito, dove Platone distingue due Amori e due Veneri, la Venere Celeste (l’amor divino e la bellezza ideale) e la Venere Volgare (l’amore umano e dei sensi), Marsilio Ficino chiamò queste due Veneri “Veneri gemelle” (“geminae Veneres”). Secondo Boccardo Psiche rappresenterebbe l’amore mentale, mentre gli amori tessuti da Aracne sulla tela e rappresentati nelle lunette, quello carnale. La lunetta in cui è rappresentato l’incontro fatale tra Giove e Semele si trova all’angolo destro della parete di fondo. Giove ancora in equilibrio sull’aquila tiene la mano di Semele con la sinistra e poggia l’altra mano su una spalla. I due si guardano, come nell’incisione con lo stesso episodio rappresentata da Caraglio, su disegno forse proprio di Perino per la serie degli Amori degli dei (Cfr. scheda opera 44). L’unico segno che lascia presagire l’imminente tragedia è la presenza delle fiamme alle spalle dell’aquila. Leggendo Ovidio: “il corpo mortale di lei non sopporta il tremendo bagliore celeste, e quel dono nuziale la incenerisce” (Semfc22).Perino si è attenuto forse di più a quest’annotazione di Ovidio piuttosto che alla menzione del singolo fulmine creando uno scenografico fondale di fiamme, ed è proprio questo tremendo bagliore rappresentato nella lunetta. Le lenzuola di Semele sono curiosamente arancione/dorato, come se il fuoco avesse già attecchito attorno a lei, anche questa potrebbe essere un’eco delle fiamme che circondano la coppia nell’incisione di Caraglio (Cfr. scheda opera 44) e che potrebbero confermare la mano di Perino. Mentre gli altri amori raffigurati dall’artista però compaiono davvero sulla tela di Aracne, quello della principessa tabana e del sovrano dell’Olimpo non è menzionato da Ovidio. Probabilmente gli Amori di Giove erano un soggetto talmente diffuso nella decorazione palatina che non fu indispensabile attenersi strettamente alla serie della tela visto che si trattava di un repertorio molto comune (Cfr. scheda opera 48 e 65).
Francesca Pagliaro