43: Giove, Semele e la nascita di Bacco

Titolo dell’opera: Nascita di Bacco

Autore: Giulio Pippi detto il Romano

Datazione: 1527-28

Collocazione: Mertoun House, Collection the Earl of Ellesmere

Committenza: Federico II Gonzaga

Tipologia: disegno

Tecnica:

Soggetto principale: Giove fulmina Semele e tira fuori Bacco dal suo ventre

Soggetto secondario: i venti soffiano; una vecchia nutrice (Giunone/Beroe?) si dispera

Personaggi: Giove, Bacco, Semele, nutrice (Giunone/Beroe?),venti, tempeste

Attributi: fulmine, personificazioni dei venti(Giove)

Contesto: ambiente interno

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Hartt F., Giulio Romano, Yale University, New Haven – London 1958, vol. II p. 213; Verhayen E., The Palazzo del Te in Mantua. Images of Love and Politics, Johns Hopkins University, Baltimore and London, 1977; Shearman K., The early italian pictures in the collections of her majesty the queen Cambridge, London 1983, pp. 126-131; Tafuri M., Giulio Romano: linguaggio, mentalità, committenti, in Giulio Romano, Electa, Milano 1989, pp. 15-64; Salvy G. J., Giulio Romano, Lagune, Paris 1994; Oberhuber K., “Disegni e dipinti mitologici”,in Giulio Romano, Electa, Milano 1989, pp. 495 e sgg.

Annotazioni redazionali: nell’elenco dei dipinti perduti assegnati a Giulio Romano, Hartt ne menziona uno con la “Favola di Semele” di cui resta solamente questo disegno. A conferma di ciò sappiamo che con tale titolo il dipinto era menzionato nell’appartamento costruito dal duca Ferdinando a Mantova; inoltre nella lista del mercante olandese Nys si legge dell’esistenza di “un quadro di Giulio Romano sopra l’asse con la favola di Semele” (Hartt, 1958). Sembra che poiché il quadro rappresentava un soggetto troppo raccapricciante, fu rimosso per andare poi perduto. Secondo Hartt, il dipinto con la Nascita di Bacco avrebbe fatto parte di un ciclo di 12 che l’autore definisce “della famiglia di Giove” e che comprende Giove allattato dalla capra Amaltea; Giove bambino guardato dalle coribanti a Creta Nascita di Apollo e Diana, Giove intronizzato (perso), Nascita di Venere, il giovane Nettuno su una conchiglia, Giove e Giunone ascendono all’Olimpo, Il giovane Plutone entra nell’Ade, Lo svezzamento di Ercole, Ercole e il serpente, Achille e Chirone. Sei di questi lavori esistono ancora a sono tutti in collezioni inglesi. Tutti i dipinti sono menzionati nell’inventario Gonzaga del 1627 o nella lista connessa con la corrispondenza del commerciante olandese Nys dello stesso anno. Dei sei dipinti persi del ciclo, tra cui quello con Bacco e Semele, restano testimonianze attraverso disegni e di quattro restano incisioni. Sebbene la destinazione non sia ancora del tutto chiarita è possibile avanzare delle ipotesi sulla base del tema che lega in maniera palese tutte le opere sopra menzionate e cioè il rapporto con il tema della nascita e dell’infanzia. Hartt sostiene che dalle dimensioni desumibili dai dipinti rimasti, il ciclo era sicuramente destinato alla decorazione di una camera da palazzo, questo nonostante nell’inventario non appaiano menzionate in ordine. Sebbene per la presenza del tema si potrebbe immaginare più facilmente come destinazione proprio la Sala di Giove a Palazzo Ducale il fatto che Vasari non menzioni questa sala in maniera specifica lo smentirebbe visto che se i dipinti fossero stati collocati lì, si sarebbe trattato di un ciclio molto esteso. Inoltre Vasari menziona quattro di questi dipinti come incisi da Giovan Battista Mantovano, senza nessuna certezza che questo ciclo esistesse in realtà. Lo studioso conclude che Vasari non avesse visto questo ciclo rappresentato a Mantova perché forse era in stanze a lui inaccessibili. Secondo Hartt l’intero gruppo è stilisticamente molto più in relazione con l’ultimo lavoro fatto a Palazzo Te e, se si considera il legame col tema della maternità, nascita, infanzia, e successione di potere è possibile pensare a una connessione con l’erede di Federico: Francesco III Gonzaga. Il figlio di Federico nacque nel 1533 e tra ottobre e dicembre dell’anno seguente sono registrati dei pagamenti per il soffitto di due piccole camere nel castello, ad uso della duchessa. Queste stanze, ora distrutte, soddisferebbero tutti i requisiti in relazione ai dipinti. Hartt ritiene che i dipinti provengano da contesti diversi e questo spiegherebbe, di quelli rimasti, la frettolosa preparazione del legno, l’esecuzione veloce e la partecipazione degli allievi il che li rende più vicini a dipinti da cassone o cavalletto. Shermann (1983) ha riunito tutti i quadri mitologici ma senza postularne l’unitarietà che è tutt’ora soltanto un’ipotesi. I temi prescelti per decorare gli appartamenti erano sempre legati o alla funzione domestico/matrimoniale per esaltare l'amore e celebrare le virtù dei committenti e soggetti quali gli amori di Giove si prestavano ad esaltare insieme alla potenza della divinità, la valenza erotica del mito. La rappresentazione di Semele in realtà di erotico ha poco e sappiamo dalle incisioni di Marco Dente da Ravenna su disegno di Giulio Romano che se avesse voluto, il pittore avrebbe saputo come esaltare il lato sensuale della storia. Qui è invece colto il momento culmine della drammaticità. Semele è raffigurata distrutta dalla potenza di Giove, mentre venti incontenibili eruttano fuoco, vento e fiamme, il dio tira fuori il bambino dal suo ventre per strapparlo al fulmine; sta distesa con il braccio alzato sopra la testa e il viso girato all’indietro per proteggersi dal colpo. La bocca è aperta e dalla pancia è già quasi completamente uscito Bacco. Il bambino sembra quasi spinto fuori ed è tenuto per la mano destra dal padre. Giove, tenendo in mano le saette sta per colpire Semele seguito dalle personificazioni dei “nuvoli, venti e di tempeste e di lampi” ai quali fa menzione Bonsignori (Semfm13). Agli schemi narrativi delle illustrazioni dell’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Giovanni dei Bonsignori http://www.italica.rai.it/rinascimento/iconografia/prot_1754.htmverrà informata la maggior parte della produzione figurativa di questi temi. A ulteriore conferma che la fonte in questione sia proprio Bonsignori c’è la chiara direzione del bambino che non va verso la gamba di Giove, come dovrebbe secondo le Metamorfosi di Ovidio (III, 310) ma va verso la pancia; Bonsignori infatti, parla esplicitamente di utero, rigettando la meno comprensibile tradizione dell’inserimento nella gamba (Semfm13) che sarà invece accettata sia da Ludovico Dolce (Semfr05) che da Niccolò degli Agostini (Semfr58). In più Ovidio dice che il bambino non è ancora completamente formato, mentre qui sembra già piuttosto maturo. L’unica anomalia rispetto alle fonti, che tornerà anche nel dipinto al Getty Museum (Cfr. scheda opera 47), è la presenza di una nutrice alle spalle di Semele. Potrebbe trattarsi o della vera Beroe sopraggiunta nella stanza di Semele, o ancora di Giunone trasformata che però fingerebbe una improbabile disperazione. Non è possibile un’identificazione con Ino, poiché in tutte le fonti Giove le affida il bambino soltanto dopo averlo partorito lui stesso e non prima (ad es. Semfr05 e Semfr07). Tale struttura narrativa basata su Bonsignori caratterizzerà non solo la pittura di cassone ma anche i primi cicli ad affresco che, come ipotizzato in questo caso, trovano la loro collocazione in luoghi di uso privato. Accanto alle «cose poetiche e di materie abandevoli, dove vi entrano con molta satisfatione de’ buoni le figure di bellissime femmine, di vaghi giovani e di puttini con paesi festoni e grottesche» che Giovan Battista Armenini, menziona come soggetti principi per le camere private, cominciano a diffondersi anche i miti legati alla ciclicità e alla fecondità naturale. Questi, che trovano una facile rispondenza con la funzione delle ville in rapporto alla natura, non sono assenti però dalle decorazioni dei palazzi cittadini e rivelano spesso e volentieri un senso allegorico-ideologico, legato al committente. Il senso della nascita di Bacco, che è sentito come un secondo Giove per somiglianza di allevamento e per il passaggio di trono derivato dalla tradizione orfica, potrebbe dunque riferirsi verosimilmente al passaggio di consegne tra Federico e Francesco e al valore rigenerativo a cui Bacco è sempre connesso.

Francesca Pagliaro