
Titolo dell’opera: Giove e Semele
Autore: Marco Dente da Ravenna da Giulio Romano
Datazione: entro il 1524 (?)
Collocazione:
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica: bulino (286 x 201 mm)
Soggetto principale: amore di Giove e Semele
Soggetto secondario:
Personaggi: Giove, Semele, Amorino
Attributi: aquila, saetta (Giove)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti: Giulio Romano, Giove e Semele (?)
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia:
Passavant J. D., Le peintre-graveur, contenant l'histoire de la gravure sur bois, sur métal et au burin jusque vers la fin du XVI, Weigel, Leipzig 1864, vol. VI; Petrucci A., “Disegni e stampe di Marcantonio”, in “Bollettino d’arte”, XXX, 1937, p. 392-406; Zerner H. A propos de faux Marcantoine. Notes sur les Amateurs d’estampes à la Renaissance, in “Bibliothèque d’humanisme et de la renaissance”, XXII, 1961, pp. 477-481; Dunand L., Les amours des Dieux, Le Marchard, Parigi 1977, vol. I, p. 171; Shoemaker I. H. – Broun E., The engravings of Marcantonio Raimondi, Allen, Kansas 1981.
Annotazioni redazionali: questa xilografia è assegnata dal Bartsch a Marcantonio Raimondi ma restituita recentemente dalla critica a Marco Dente da Ravenna (Dunand,1977). Tale cambio d’autore sposterebbe l’appartenza di questa xilografia dalla serie dei Modi di Marcantonio Raimondi a quella degli Amori degli dei incisa dal Caraglio (Cfr. scheda opera 44). La serie dei Modi fu disegnata da Giulio Romano entro il 1524, data del suo trasferimento a Mantova (Passavano, 1864), e nonostante Marco Dente fosse uno degli allievi di Marcantonio, visto il contenuto dell’incisione, è più facile che essa risalga al momento della collaborazione con Caraglio. La serie di disegni dei Modi riguardava delle scene di stampo erotico che non aveva come protagonisti gli dei dell’Olimpo come quelle di Caraglio e per le quali Marcantonio fu anche brevemente imprigionato da Clemente VII nel 1524. Fu forse per le stesse stampe che Giulio Romano si allontanò da Roma per Mantova. La curiosità di quest’opera fu che venne accompagnata da sonetti composti appositamente da Pietro Aretino e venne diffusa col titolo “I Modi... cui posero mano Marcantonio Raimondi, Giulio Romano e Pietro Aretino ". I Modi costituiscono una galleria, in forma d'album, di sedici diverse cortigiane reali (con i loro nobili amanti), ognuna con un nome ed un'arte speciale. L'autore dei 16 componimenti lussuriosi è appunto Pietro, che decise di mettere in poesia le immagini del Pippi probabilmente attorno al 1525, anche se, come riporta Dunand, i “pezzi” incisi dal Raimondi erano totalmente venti e soltanto sedici vennero corredati dai sonetti di Aretino. In seguito all’allontanamento da Roma sia Giulio Romano che Pietro Aretino vennero accolti alla corte gonzaghesca dal marchese Federico II. Nell’immagine con Giove e Semele, niente ricorda l’evento drammatico, pochissime cose riconducono alla vicenda mitica. I due amanti sono colti in un momento intimo, poggiati ad un albero, seduti sull’aquila di Giove. Niente potrebbe distinguerli da qualunque altra coppia di amanti se non l’amorino che sopraggiunge da destra con in mano il fulmine di Giove. Il fatto che sia lui e non l’aquila (Cfr. scheda opera 65) ad impugnare il futuro strumento di morte sottolinea che l’amore, almeno in quel momento, predomina su tutto, proprio nello stesso senso dei puttini nel giardino di Venere nella sala dell’Amore al Palazzo giardino di Parma (Cfr. scheda opera 43 e scheda opera 47). L’amorino fa un gesto con la mano verso Giove, come a ricordargli la promessa da cui non può sottrarsi. Questa composizione è chiaramente un’invenzione del Pippi contestuale al tema, l’autore infatti rappresenterà altre due volte il mito della morte di Semele connesso con la nascita di Bacco e lo farà in maniera rigorosamente attinente alle fonti (Cfr. scheda opera 43 e scheda opera 47). Una volta sottratta alla dimensione mitica, la rappresentazione delle situazioni e degli atti d'amore precipita nell’erotismo scisso dalle fonti. Dunand osserva inoltre che nell’arte del Rinascimento l’espressione dei sentimenti occupa un grande valore specie se espressa attraverso il corpo stesso. Il motto “umanesimo” implica una considerazione di riguardo per la creatura umana, una difesa dell’uomo e la nudità in quanto tale smette di essere degradante fino al punto di poter rappresentare, come nell’arte classica, scene d’amore molto esplicite. Le stampe vennero per lo più distrutte ma sopravvissero attraverso un numero consistente di riproduzioni tra le quali alcune propiro di Marco Dente da Ravenna. È per questo che non è ancora chiaro a quale dei due gruppi debba essere assegnata l’incisione anche se, riconoscendovi il mito di Semele si dovrebbe essere più orientati per la serie del Caraglio. Per l’introduzione generale sugli Amori degli dei di Caraglio vedischeda opera 44.
Francesca Paglaro