41: Giove, Semele e la nascita di Bacco

Titolo dell’opera: Giove e Semele

Autore: Nicola di Gabriele Sbraghe, detto Nicola da Urbino (ca. 1480-1537/38)

Datazione: post 1521 ca.

Collocazione: Melbourne, National Gallery of Victoria

Committenza:

Tipologia: Coppa istoriata maiolica (diam. 25,5 cm)

Immagini:

Bibliografia: Papagni G., La maiolica del Rinascimento in Casteldurante, Urbino e Pesaro: da Pellipario ed i Fontana ai Patanazzi, Offset stampa, Fano 1978, p. 51;

Giardini C., Su Nicola da Urbino ed alcune sue maioliche nei musei civici di Pesaro, in “Ceramica antica”, 1991, pp. 34-35; Giardini C.- Calderoni (a cura di), Pesaro: Museo delle ceramiche, a cura di, Bologna 1996, p. 75; Mazzucato O., Gli istoriati e Nicola da Urbino: una problematica attributiva sempre aperta, in “Ceramica Antica”, 14, 2004, n 2, pp. 22-35; Wallen B., A maiolica panel in the widener collection, in “Report and Studies in History of Art, National Gallery of Art, Washington 1968, pp. 95 e sgg.; Negroni F., Nicolò Pellipario: ceramista fantasma, in “Notizie da Palazzo Albani”, 14, 1985, 1, pp. 13-20.

 

 

Annotazioni redazionali: Isabella d’Este (1474-1539), marchesa di Mantova commissionò a Nicola da Urbinoun servizio di piatti da ventuno pezzi decorati per la maggior parte con soggetti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio. Benini riporta che la prima datazione avanzata per il servizio era il 1519, poi posticipata al 1523-25, poiché tra il 1516 e il 1522 Eleonora Gonzaga e il marito Francesco Maria I Della Rovere, quarto Duca di Urbino, si trovavano a Mantova. I. Questi erano stati esiliati da Urbino e, secondo la studiosa, sembra difficile ipotizzare che Isabella commissionasse proprio in quegli anni, un servizio di piatti ad un artista urbinate. Decorati oltre che dalle favole mitologiche, i piatti mostrano anche i cartigli in cui sono riportati motti e delle imprese utilizzati da Isabella e al centro di ogni pezzo campeggia lo stemma degli Este-Gonzaga sorretto da due puttini. Nonostante questa certezza di appartenenza dei piatti a un servizio, in realtà gli studiosi non sono riusciti a trovare un motivo che legasse indissolubilmente i piatti tra loro. Anche le scelte iconografiche sembrano piuttosto casuali, sebbene la Benini ritenga che Isabella avesse una“naturale” tendenza a controllare da vicino le opere commissionate e, di conseguenza, che in tutti gli episodi raffigurati, si possano rintracciare messaggi didascalici interpretabili in chiave neoplatonica.  Si tratta di favole edificanti da leggersi come esempi per l’elevazione dell’uomo ed anche il piatto con Giove e Semele può essere incluso tra questi. Giove è rappresentato non mentre scaglia la saetta verso Semele ma mentre si trasforma lui stesso in fuoco. Questo posto privilegiato delle fiamme è riscontrabile nell’incisione di Caraglio (Cfr. scheda opera 44) o nell’affresco di Perin del Vaga a Palazzo Doria (Cfr. scheda opera 45). La scena si svolge in un’architettura composta da un arco a botte con due colonne con un paesaggio sullo sfondo. Semele, ancora una volta, mostra una tangenza con l’atteggiamento di Danae, questa tenendo la veste per assecondare l’unione con Giove. Semele non è distesa ma è insolitamente seduta e oltre a questa anomalia compositiva, due personaggi assistono alla scena. Un uomo senza particolari connotazioni sembra spiare da dietro un muro come farà Giunone nel dipinto di Schankel (Cfr. scheda opera 73), mentre un altro con elmo, scudo e lancia sembra sopraggiungere. È difficile identificare i personaggi probabilmente interpolati dall’autore. Come spesso nella decorazione di maioliche, gli autori non comprendevano esattamente il soggetto rappresentato e, qualora non avessero un modello incisorio di riferimento, potevano commettere errori compositivi. Il senso dell’episodio però sembra rispondere tendenzialmente ai precetti neoplatonici poiché l’amore di un dio per una mortale, induce costruttivamente l’amata a tentare di superari i suoi limiti e a morire delle propria umanità per liberarsene. Semele cerca dunque di elevarsi al livello del suo amante che significativamente impersona il fuoco d’amore. Considerate le affinità stilistiche con la maiolica con “il Re” conservato a San Pietroburgo, la maiolica andrebbe collocata subito dopo il 1521 (Benini, 1991).

Francesca Pagliaro