
Titolo opera:Giunone e Semele
Autore: Baldassarre Peruzzi
Datazione: 1511 (D’Ancona); 1509-1510 (Frommel, Coffin)
Collocazione: Roma, Villa Farnesina, sala del fregio, parete est
Committenza: Agostino Chigi
Tipologia: pittura paritale
Tecnica: affresco
Soggetto principale: Giunone/Beroe e Semele parlano
Soggetto secondario:
Personaggi: Giunone/Beroe, Semele
Attributi: aspetto da vecchia, abiti da nutrice (Giunone/Beroe)
Contesto: paesaggio boschivo
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Hermanin F., La Farnesina, L.U.C.E., Roma 1930, pp. 71-74,76-77; Saxl F., The Villa Farnesina, in Lectures, Londres 1957, I, p. 193 D’Ancona P., Gli Affreschi della Farnesina a Roma, ed. del Milione, Milano 1959, p. 92; Mercalli M.- Pagliai D., Baldassarre Peruzzi, sala del fregio, in I luoghi di Raffaello a Roma, catalogo mostra, Roma, gennaio-marzo 1984, Multigrafica Editrice, Roma 1983, pp. 32-38; Gerlini E., La Villa de la farnésine à Rome, Nouvelle série, itinéraires des muséès, galeries et monuments d’Italie, n. 2, Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma 1990, p. 55; Cappelletti F., L’uso delle Metamorfosi di Ovidio nella decorazione ad affresco della prima metà del Cinquecento. Il caso della Farnesina, in Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antiche Mythos in Text und Bild, atti del convegno, Bad Homburg 1991, Walter H., Horn H.J. (a cura di), Berlino, pp. 115-128; Frommel C.L.(a cura di), La Villa Farnesina a Roma, Panini, Modena 2003, pp. 9-42, 70-79, 175-177; Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 298-301.
Annotazioni redazionali: la scena fa parte del fregio che si trova nella piccola sala al pianterreno della Villa Farnesina a Roma. La villa, che nelle forme architettoniche di Raffaello riproponeva l’ideale di villa classica, fu costruita dal banchiere Agostino Chigi a partire dal 1506 e già dopo tre anni si iniziò la decorazione dei primi ambienti. Nel 1590 fu acquistata dal cardinale Alessandro Farnese, da cui il nome odierno di Villa Farnesina. La datazione della realizzazione del fregio non è ancora del tutto certa: alcuni la fanno risalire al 1511, successivamente al soffitto della Sala della Galatea, mentre altri l’anticipano al 1509-10, ritenendola così la prima impresa pittorica del Peruzzi nella villa di Agostino Chigi. Il fregio di 30 cm che decora un ambiente destinato a sala d’aspetto per gli ospiti del banchiere fa parte di una trabeazione divisa tra un architrave ed un cornicione e ricorda l’origine del fregio nei templi antichi. A conferma della datazione anticipata assegnatagli da Frommel ci sarebbe il suo aspetto ancora prettamente quattrocentesco, espresso nella netta bidimensionalità e nel susseguirsi delle scene una dopo l’altra: infatti le scene si svolgono su uno sfondo unico, formato da una foresta di alberi. Tale carattere stilistico della composizione tradirebbe un momento iniziale dell’attività romana del Peruzzi, non ancora influenzato dal classicismo di Raffaello. Sono due le fonti individuate per le storie: le Metamorfosi di Ovidio e il De Consolatione Philosophiae di Boezio per le fatiche di Ercole. Partendo dalla parete a nord troviamo appunto le Fatiche di Ercole; sullaparete orientale gli Amori di Giove, nello specifico Europa, Danae e Semele,Diana e Atteone, Giudizio di Mida e il carro di Nettuno; sulla parete successiva ci sono esclusivamente divinità marine e fluviali, mentre la parete ovest consta i miti di Marsia, Meleagro e Orfeo. Il ciclo, studiato complessivamente da F. Saxl (1957), che ha individuato una successione dei temi di amore e di morte, e più recentemente dal Coffin, che lo legge alternando significato di ragione e passione e dunque anche apollineo e dionisiaco. Secondo Marica Mercalli e Daniela Pagliai (1983) la narrazione svolge invece aspetti positivi e negativi del percorso della natura umana, partendo dalla soggezione passiva ai voleri divini (Europa e Danae), per arrivare, passando per l’incapacità irreversibile da parte dell’uomo di entrare in contatto con la vera essenza del divino (Semele ed Atteone) alla dolorosa e mortale conquista della sua individualità (Marsia, Meleagro ed Orfeo). L'uomo virtuoso per eccellenza sarebbe quindi Ercole, che con le sue prove ostacola e sovrasta il volere capriccioso degli dei e osservando le sue gesta ogni ospite erudito poteva riconoscere l’esemplare virtù del padrone di casa (Mercalli-Pagliai, 1983). D’altra parte, dalla parete su cui si trovano Le dodici fatiche, si accede proprio alla sua camera da letto del banchiere, ulteriore segno del legame con l’eroe. La critica non è concorde nello stabilire da dove cominci il ciclo: Saxl pensa che la narrazione pittorica abbia inizio con il Ratto di Europa, Frommel crede invece che si debba partire dalle fatiche di Ercole, poste sopra la porta della camera di Agostino Chigi e motiva tale scelta notando che nelle altre pareti è sempre presente un’ “anticipazione” delle tematiche svolte in quella successiva, mentre quella con Ercole è l’unica a iniziare e terminare entro i “limiti architettonici” imposti. Nonostante l’interpretazione di Frommel segua le linee della lettura avanzata da Mercalli e Pagliai, cambiando l’ordine di lettura delle scene viene completamente a mancare il senso stesso del percorso simbolico basato sulla virtus umana. È certo invece che fossero le scene delle fatiche ad essere state realizzate per ultime, forse in considerazione dell’importanza simbolica che hanno le scene in questione. L’episodio con Semele ingannata da Giunone, che segue immediatamente quello di Danae, è assolutamente identico per composizione alle rappresentazioni dell’episodio nei codici miniati contemporanei o di poco più antichi (Cfr. scheda opera 34). Come abbiamo già visto, il senso di ogni mito va letto coralmente con gli altri e gli episodi tragici di Semele e Atteone sono fortemente simbolici per il destino dell’uomo che tenta di avvicinarsi alla divinità senza essere stato adeguatamente preparato. La principessa tebana, non solo non sarà adeguatamente preparata, ma sarà ingannata da Giunone travestitasi da Beroe: questa le farà credere che è necessario informarsi sull’identità del suo amante inducendola ad una sorta di suicidio involontario. La scena successiva ce ne dimostrarà la fine (Cfr. scheda opera 40). Tra le tante moralizzazioni medievali l’unica a dare un senso all’episodio dell’inganno è l’Epitre d’Othea (Semfm14), che lo usa per ammonire il fedele a dubitare prima dell’identità degli interlocutori, poi del divino. Sebbene in un contesto pervaso di astrologia e intriso di umanesimo, ci sia poco spazio per letture allegoriche medievali stringenti potrebbe essere questa una delle spiegazioni della presenza di due episodi dedicati a Semele, tra cui quello dell’inganno, fortunato solo in epoca medievale. Il Peruzzi d’altronde resta assolutamente fedele alle fonti dalle quali trae i temi rappresentati e anche alle tradizione figurative sviluppate fino a quel momento.
Francesca Pagliaro