1306-1307
DANTE, Divina Commedia, Paradiso, XXI, vv. 1-16
Già eran li occhi miei rifissi al volto 1
de la mia donna, e l'animo con essi,
e da ogne altro intento s'era tolto.
E quella non ridea; ma «S'io ridessi», 4
mi cominciò, «tu ti faresti quale
fu Semelè quando di cener fessi:
ché la bellezza mia, che per le scale 7
de l'etterno palazzo più s'accende,
com' hai veduto, quanto più si sale,
se non si temperasse, tanto splende, 10
che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore, 11
che sotto 'l petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, 14
e fa di quelli specchi a la figura
che 'n questo specchio ti sarà parvente».