117-120 d.C.
PLUTARCO, Cesare, 9, 4 e 5
Testo tratto da: Magnino D.(a cura), Plutarco, Vite Parallele, UTET, Torino 1992
I romani onorano una dea che chiamano Bona, così come i Greci la chiamano ginecea; i Frigi, che la rivendicano a sé, dicono che sia stata la madre del re Mida, mentre per i Romani è la Driade che si unì A Fauno, e per i Greci quella della madre di Dioniso di cui non si pronuncia il nome.
Per questo quando ne celebrano la festa, le donne ricoprono le tende con tralci di vite, e in ossequio al mito vien posto accanto alla dea un serpente sacro. Quando si celebrano i sacri misteri della dea non è consentito che un uomo vi partecipi e neppure che sia della casa; le donne da sole, per quel che si dice, compiono nel rito molte azioni analoghe a quelle dei misteri orfici. Quando viene il tempo della festa la moglie del console o del pretore in carica prende in mano la casa e la prepara per il rito, mentre il marito ne esce, e con lui se ne vanno tutti i maschi della famiglia. I riti più importanti si celebrano durante la notte, e alla veglia notturna si mescolano divertimenti e musica in gran quantità.