23 a.C.
ORAZIO, Odi, I 17 e I, 19; III, 3
Testo tratto da: Orazio, Le opere. Garzanti 1988, I 17, vv. 21-22 p. 347 e I, 19, vv. 1-5 p. 353, III, 3, 1-20
a Tìndari
(….)Qui all’ombra potrai gustare il vino
innocente di Lesbo: il figlio di Semele
non verrà alle mani con Marte
né da un sospetto sorgerà il timore
che Ciro con isolenza ponga su di te,
così debole, le mani impazienti
e laceri la corona fermata
ai tuoi capelli o la veste indifesa.
a Venere per Glìcera
La madre crudele di ogni amore,
il figlio di Semele tebana
e un desiderio inquieto m’inducono
a destare i fuochi sopiti nel mio cuore
Mi brucia il candore di Glicera (…..)
III, 3, 1-20All’uomo giusto e tenace nei suoi propositi
non scrolla il saldo animo il furore
del popolo che imporre vorrebbe iniquità, né il volto
d’un minaccioso tiranno, né l’Austro
turbinoso signore dell’inquieto Adriatico
né la mano possente di Giove che scaglia i fulmini
se l’orbe terrestre precipiti infranto
il suo rovinare lo investirà imperterrito
Per questa virtù Polluce e l’errante Ercole
riuscirono a raggiungere le ignee rocche
e tra loro giacendo Augusto
berrà il nettare con purpuree labbra
per questo, o padre Bacco, le tue tigri
sottomisero l’indocile collo al giogo
meritevole in cielo; per questa, per condurti
Quirino sfuggì all’Acheronte sui cavalli di martedì (…)