400 a.C. ca.
EURIPIDE, Baccanti
Testo tratto da: EURIPIDE, Baccanti, traduzione di Ettore Romagnoli Zanichelli, Bologna 1950
DIONISO
Eccomi, sono qui, in questa terra di Tebe, io, figlio di Zeus,
Dionìso: mi genera - un tempo - la vergine di Cadmo,
Sèmele, aiutata nel parto dal fuoco della folgore.
Ho mascherato la mia forma, da dio che sono a uomo,
e sono qui alla fonte di Dirce e alle correnti dell’Ismeno 5
Vedo la tomba di mia madre, lei, la folgorata,
là vicino al palazzo, e vedo le macerie della sua camera
in fumo, avvampate dal fuoco ancora vivo di Zeus:
non muore il rancore di Hera per lei, mia madre.
Io lodo Cadmo che ha reso questo luogo impenetrabile 10
un reliquiario della figlia sua. Io l’ho velato
con corone di tralci e grappoli di vite.
Ho lasciato le piane ricche d’oro di Lidia
e di Frigia e le plaghe di Persia, sferzate dal sole,
e le muraglie della Battriana e la terra gelata
dei Medi; ho attraversato l’Arabia felice
e tutta l’Asia adagiata lungo il mare salato,
incrocio di razze greca e barbara,
che ha città con belle torri,
e per la prima volta sono giunto in questa città di Greci. 20
E in quelle terre ho danzato la mia danza e fondato
i miei misteri, per rivelare ai mortali la mia divinità,
e ora, di questa terra greca, Tebe, per prima,
ho scosso col mio grido, l’ho coperta di pelle di daino,
ho messo nelle sue mani il tirso, arma di edera: 25
merito delle sorelle di mia madre - e proprio loro non dovevano farlo:
spargevano la voce che io, Dionìso, non sarei figlio di Zeus,
che lei, Sèmele, fatta donna da un uomo qualunque,
incolpava Zeus del peccato commesso nel suo letto
- astuzia davvero ispirata di Cadmo! - e per questo godevano a sparlare, 30
piene d’invidia, che Zeus l’uccise, per la menzogna delle nozze.
E per questo io, fuori di casa l’ho sferzate col pungolo del mio delirio,
le ho spinte sul monte e là abitano segnate nella mente dalla mia follia,
costrette a vestire i paramenti dei miei riti,
e tutto il seme femminile dei Cadmei, tutte le donne, 35
le ho strappate alle case, in preda al mio furore.
E ora mischiate insieme alle figlie di Cadmo
giacciono sotto verdi abeti, tra rocce a cielo aperto.
Deve imparare bene questa città, fino in fondo, e anche contro la sua volontà,
che cosa significa non essere iniziati ai misteri di Bacco. 40
E io devo provare l’innocenza di Sèmele, mia madre:
e così rivelerò me stesso dio, quel dio che lei partorì a Zeus.
Cadmo ha ceduto il suo prestigio di tiranno
a Pènteo, nato da sua figlia Agàve,
e costui fa guerra solo alla mia divinità: 45
dai sacrifici mi esclude e nelle sue preghiere mai mi ricorda.
Ecco perché rivelerò a lui e a tutti i Tebani
il dio che è in me. Farò ordine qui,
poi muoverò il passo verso un’altra terra,
ma solo dopo la mia rivelazione. E se la città dei Tebani, 50
infuriata, si proverà con le armi a cacciare le Baccanti dal monte,
sarò io ad attaccare e guiderò un esercito in preda al furore.
Per questo ho preso forma mortale,
per questo mi sono trasformato e fatto uomo.
Ma voi, che avete lasciato il Tmolo, muraglia di Lidia, 55
mio tiaso, donne che da terre barbare
ho portato con me, mie compagne d’imprese e di strada,
su in alto i tamburi della terra dei Frigi
- invenzione di Rea Madre e mia -,
accerchiate questa reggia di Penteo 60
e fateli risuonare: ché veda la città di Cadmo!
Io salirò alle gole del Citerone:
là sono le Baccanti e là mi unirò ai loro cori.(....)
"Venite Baccanti! Venite Baccanti!",
Bromio, dio figlio di un dio,
Dionìso scortate giù 85
dai monti di Frigia
all’ampie strade di Grecia,
Dionìso è Fremito.
antistrofe 1]
Lo serbava nel grembo,
un giorno, la madre tra doglie di parto fatali. 90
Poi a volo piombò il tuono di Zeus,
lei lo espulse dal ventre,
e schiantata dal fulmine
lasciò la vita.
Subito Zeus, figlio di Crono, 95
lo accolse nella guaina segreta
della sua coscia cucita con fibbie dorate,
all’oscuro da Hera.
E lo partorì, dio cranio di toro,
quando le Moire compirono il tempo, 100
e lo coronò di corone di serpi:
da allora le Menadi,
nutrici di fiere,
intrecciano serpenti tra i capelli.
O Tebe, nutrice di Sèmele,
incorònati d’edera,
rivèstiti, rivèstiti dei fiori
dello smilace verde bello di frutti,
libera i freni al furore di Bacco.
Con rami di quercia o d’abete, 110
intreccia con fiocchi di candida lana
le vesti di pelle screziata di cervo
e accanto ai nartèci violenti
fatti santa: presto la terra tutta correrà alla danza,
quando il dio del Fremito guiderà i tiasi 115
"al monte! al monte!", là è in attesa
il branco delle donne
cacciate lontano da spole e telai
dal pungolo folle di Dionìso.
(...)PENTEO
Ero lontano da questo paese
e mi arriva la voce di strane sciagure in questa città: 215
le donne ci hanno lasciato vuote le case
per rituali falsi da invasate, brancolano su ai monti
nel profondo dei boschi; sono in adorazione di questo demonio, l’ultima novità,
Dionìso - ‘chiunque egli sia’ -, e ballano.
In mezzo ai loro tiasi le coppe traboccano di vino 220
E loro se ne stanno acquattate, ciascuna in segreto,
pronte a servire alle voglie dei maschi.
Bella scusa, che loro sono Menadi, che loro sono sacerdotesse esperte!
La verità è che avanti a Bacco mettono Afrodite. 225
Quelle che ho preso, con le mani legate,
le sorvegliano bene le mie guardie nel carcere della nostra città;
quelle che mi sono scappate dalle mani, le stanerò dal monte:
[Ino e Agàve, che mi partorì a Echìone,
e la madre di Atteone, cioè Autònoe] 230
le metterò in gabbia, dentro reti di ferro
e presto questi baccanali scandalosi non andranno più avanti!
E mi si dice anche che ha messo piede qui, nella nostra terra, uno Straniero,
un santone che viene dalla Lidia e sa fare magie:
ha riccioli color bronzo dorato e crine profumato, 235
guance color del vino e nei suoi occhi il fascino di Afrodite,
lui, che giorno e notte se li passa in compagnia con le nostre ragazze
e se le attira con la promessa di gaudiosi misteri.
Ah! Ma se riesco ad averlo qui, sotto questo tetto,
gliela farò passare la voglia di sbatacchiare il tirso e svolazzare all’aria 240
la sua chioma: gliela stacco dal collo quella testa!
Quello va blaterando che Dionìso è un dio,
che un giorno - dice - fu cucito nella coscia di Zeus!
Bruciò, invece, nelle fiamme del fulmine, con sua madre,
perché lei aveva detto quella fandonia delle nozze con Zeus 245
E non sarebbero queste terribili menzogne, degne del capestro?
Boria, boria oltre ogni limite, chiunque sia questo Straniero!
Ma, ecco, quest’altra meraviglia: chi ti vedo? Tiresia,
lo scrutaprodigi, in pelli maculate di cerbiatto,
e il padre di mia madre - c’è davvero
da ridere -: 250
giocano alle Baccanti, con una canna in mano.
È una vergogna, padre, vedere vecchi senza più cervello.
Non vuoi buttarla via quest’edera, non vuoi liberare la tua mano
da codesto tirso, o padre di mia madre?
Tu, Tiresia, l’hai convinto a questo, perché questo tu vuoi: 255
portare tra gli uomini questo nuovo demonio per guardare il volo dei tuoi uccelli,
scrutare le viscere bruciate delle vittime e ricavarci il tuo bel guadagno.
Puoi ringraziarla, tu, la tua vecchiaia e i tuoi capelli bianchi,
se no saresti già in catene in mezzo alle Baccanti,
perché l’hai portata tu, la corruzione, con questi misteri: 260
quando a una festa c’è anche per donne il piacere del vino,
io dico che di sano non c’è più niente in quelle orge.
CORO
Empietà, o straniero! Tu non hai rispetto per gli dèi
né per Cadmo, che seminò la spiga degli uomini nati dalla terra?
Tu sei figlio di Echìone e proprio tu disonori la tua stessa stirpe? 265
TIRESIA
Quando un uomo di buon senso ha uno spunto buono
per i suoi discorsi, parlare bene non è una grande impresa;
e tu hai la lingua sciolta e quasi dai l’illusione di ragionare bene.
Eppure i tuoi discorsi mancano di buon senso.
Tu ti fai forte della tua brutalità e parli bene per questo, 270
ma sei un cattivo cittadino, perché non hai cervello.
Questo dio, questo ‘demonio nuovo’, che tu schernisci,
io non saprei dirti quanta potenza avrà
nella Grecia. Due, comunque, caro giovanotto,
sono i princìpi che contano tra gli uomini: la dea Demètra, 275
cioè la Terra Madre, chiamala come vuoi:
lei nutre i mortali col frumento, l’alimento solido;
poi venne Dionìso, il figlio di Sèmele, suo complemento:
inventò l’umore liquido del grappolo e lo portò
ai mortali: il vino tronca il dolore degli uomini infelici, 280
quando son pieni del succo della vite,
dona il sonno e fa dimenticare i mali di ogni giorno,
e per le pene – credi – non c’è altro rimedio.
Lui, che è un dio, viene versato in libagione agli altri dèi
e gli uomini gli sono debitori di ogni bene.
E tu lo schernisci perché ‘fu cucito nella coscia di Zeus’? 285
Voglio insegnarti io il senso vero di questo racconto:
a strapparlo dalla fiamma del fulmine
fu Zeus e lo portò, neonato, sull’Olimpo, come un dio;
Hera voleva precipitarlo giù dal cielo, 290
ma Zeus si oppose con un’astuzia degna di un dio:
squarciò una parte dell’etere che circonda la terra,
vi pose un idolo di Dionìso e lo affidò ad Hera come ostaggio
per strapparlo alla sua ira gelosa; col tempo
i mortali dissero che fu cucito nella coscia di Zeus, 295
ma confusero i nomi e s’inventarono questa favola con un gioco di parole:
hòmeros, che significa ‘ostaggio’, e mèros, che significa ‘coscia’.
E questo dio è anche profeta: il furore dionisiaco
e la mania hanno forza profetica grande:
quando il dio con tutto il suo potere penetra nel corpo 300
fa predire il futuro agli invasati.
E questo dio si prende anche una parte del potere di Ares:
un esercito in armi, schierato a battaglia,
è invaso dal terrore già prima di toccare la lancia,
e anche questa è mania che proviene da Dionìso. 305
E un giorno lo vedrai sulle rocce di Delfi
lanciarsi con le fiaccole a corsa giù per la pianura tra i due picchi montani
e agiterà il tirso di Bacco, lo scuoterà
e sarà grande per la Grecia intera. Dammi retta, Pènteo:
non farti illusioni e non pensare che al mondo conti solo la tua forza bruta. 310
Non ritenerti saggio, neppure un po’, se te lo lascia credere
la tua immaginazione malata. E questo dio, accoglilo nella tua terra,
fai per lui libagioni, fatti suo e corona la tua testa.
No, Dionìso non potrà mai costringere le donne ad essere caste
di fronte al sesso, perché è dote naturale 315
[la castità in tutto e sempre]
e devi considerare anche questo: nelle orge di Bacco
chi è casta non sarà corrotta.
Vedi, tu ti compiaci, quando il tuo popolo si accalca
alle porte e la città acclama il nome di Pènteo 320
e anche lui, credo, è felice di ricevere onori.
Perciò io e Cadmo, che tu deridi,
col capo d’edera coronato balleremo
- bella coppia, davvero, con i capelli bianchi! -, ma è nostro dovere e balleremo 325.
Non voglio fare la guerra a questo dio e non ascolterò le tue parole:
tu hai la febbre, febbre da malato, e non c’è medicina
per la tua malattia, perché il veleno tu ce l’hai nel cuore.
CORO
Vecchio, con le tue parole, a Febo tu non manchi di rispetto,
a Bromio, dio grande, rendi onore e dimostri così la tua saggezza. (...)
DIONISO
Dionìso mi ha introdotto, il figlio di Zeus.
PENTEO
C’è là uno Zeus che partorisce nuove divinità?
DIONISO
No. È lo stesso che qui si unì in nozze con Sèmele.
PENTEO
E in sogno o da sveglio ti ha imposto la sua volontà?
DIONISO
Io lo vedevo, lui vedeva me, e così mi affidò i suoi riti. 470
PENTEO
E questi riti, di che specie sono per te?
DIONISO
Cose da non dire: non può sapere chi non è iniziato.
PENTEO
E che guadagno c’è per chi li celebra?
DIONISO
A te è proibito sentire, ma conoscerli merita.
PENTEO
L’hai rigirata bene tu, questa risposta, per mettermi la voglia di sapere.
DIONISO
I riti del dio odiano chi pratica sacrilegio.
PENTEO
E questo dio, dici di averlo visto bene: com’era?
DIONISO
Come voleva: io questo non potevo imporlo.
PENTEO
Di nuovo giri intorno proprio bene e non mi dici niente.
DIONISO
Chi dice cose sagge, di certo sembra stolto a uno stolto. 480
PENTEO
È Tebe la prima città dove vieni a portare questo demone tuo?
DIONISO
Già tutti i barbari celebrano questi riti.
PENTEO
Di certo! Sono più stolti di noi Greci.
DIONISO
Al contrario! Diversi sono i loro costumi.
PENTEO
E questi tuoi riti misteriosi, li compi di notte o di giorno? 485
DIONISO
Di notte, soprattutto: c’è qualcosa di sacro nelle tenebre.
PENTEO
Per le donne c’è solo inganno e marciume.
DIONISO
Se è per questo, la corruzione c’è chi la trova anche di giorno.
PENTEO
La devi pagare per questi tuoi sofismi maliziosi.
DIONISO
E tu per la tua stoltezza e, soprattutto, per la tua empietà. 490
PENTEO
Com’è sfrontato il baccante e a parole se la cava bene.
DIONISO
Dimmi cosa devo subire? Che mi farai di tanto tremendo?
PENTEO
Prima di tutto ti taglierò codesta tua chioma delicata.
DIONISO
Sono sacri i miei capelli: li curo per il dio.
PENTEO
Poi mi darai questo tirso che ti tieni in mano. 495
DIONISO
Prenditelo da solo: è di Dionìso il tirso. (...)
Oh, ascoltate la mia voce, ascoltate!
Oh Baccanti, oh, Baccanti!
CORO
Che grido è questo? Che grido? Da dove
il grido di Evio, il dio della gioia, mi ha chiamato?
DIONISO
Oh, di nuovo io vi parlo, 580
io, il figlio di Sèmele e di Zeus.
CORO
Oh, oh, signore, nostro padrone,
corri da noi al nostro tiaso,
o dio del fremito, Bromio! (...)
DIONISO
Incendia la fiamma viva del fulmine,
brucia, brucia la reggia di Pènteo! 595
CORO
Ah, ah.
Non vedi il fuoco? Non vedi là,
attorno alla tomba sacra di Sèmele,
la fiamma che lei un tempo lasciò,
fulminata dal tuono di Zeus? 600
A terra, Menadi, a terra
gettate i corpi tremanti!
Il nostro signore assalta questo palazzo,
lo scuote dall’alto e dal basso, il figlio di Zeus! (...)
DIONISO
[…] muterai forma, diventerai un drago; si muterà in bestia 1330
e prenderà l’aspetto di un serpente anche tua moglie Armònia,
figlia di Ares, che tu, nato mortale, avesti in sposa.
E con la tua sposa guiderai un carro trainato da buoi,
alla testa di barbari: oracolo di Zeus.
E molte città distruggerai con eserciti immensi. 1335
E quando violeranno col saccheggio l’oracolo del Lossia,
conosceranno un ritorno amaro.
Ma Ares salverà te e Armonia,
E ti porrà a vivere nella terra dei beati.
Queste parole io dico, io, Dionìso, figlio di padre non mortale, 1340
ma di Zeus. Se voi aveste imparato la saggezza
- ma non voleste -, ora la vostra vita sarebbe felice,
perché del figlio di Zeus avreste guadagnato l’alleanza.