Titolo dell'opera: Diana e Atteone
Autore: Giuseppe Cesari, detto Cavalier d'Arpino
Datazione: post 1600/1601
Collocazione: Parigi, museo del Louvre
Committenza: Pietro Aldobrandini, Cardinale (?)
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola (50,3 x 68 cm)
Soggetto principale: Diana e Atteone
Soggetto secondario:
Personaggi: Diana, Atteone, ninfe
Attributi: corna da cervo, lancia, cani (Atteone); mezzaluna (Diana)
Contesto: paesaggio boscoso con grotta e fonte
Precedenti:
Derivazioni: Cavalier D'Arpino, Diana e Atteone, 1603-1606 circa, Budapest, Szepmüveszeti muzeum (http://gallery.euroweb.hu/html/c/cesari/diana.html); Cavalier D'Arpino, Diana e Atteone, tempera su carta, collezione privata; Bernardino Cesari, Diana e Atteone, 1613, Roma, Galleria Borghese (http://www.giovannirinaldi.it/page/museum/roma_galleriaborghese/image104.htm)
Immagini: http://www.insecula.com/oeuvre/O0017462.html
Bibliografia: Il Cavalier d'Arpino, Roma, Palazzo Venezia, Giugno-Luglio 1973, De Luca, Roma pp. 107-109; Röttgen H., Il cavalier Giuseppe Cesari d'Arpino, Ugo Bozzi Editore, Roma 2002, pp. 110-113, 346, 347.
Annotazioni redazionali: Il Cavalier d'Arpino in questa opera autografa rappresenta la favola di Diana e Atteone, nel momento in cui il cacciatore sorprende la dea nuda presso una fonte d'acqua intenta a bagnarsi con le ninfe. Il giovane irrompe sulla scena con slancio, vestito con una luccicante armatura che restituisce riflessi azzurri e con un mantello rosso svolazzante, pone la mano destra al petto come a voler lodare la bellezza della dea, ignaro del suo triste destino; nella mano sinistra invece impugna la lancia. Diana, è rappresentata nell'atto di spruzzare Atteone con l'acqua, gesto che dà il via alla punizione per averla vista nuda, per aver violato lo spazio divino; le ninfe intorno a lei cercano di coprire le loro nudità dallo sguardo dell'inaspettato ospite. L'artista nel rappresentare la scena si riconnette alla fonte originale del mito, le Metamorfosi di Ovidio, dal testo riprende direttamente il gesto che fa Diana di spruzzare acqua per punire Atteone (Met., III, 190). La crudele punizione è appena cominciata, il cacciatore ha già in testa le corna che prevedono la totale trasformazione in cervo, i suoi cani già non lo riconoscono e si scagliano contro di lui. Un particolare che non deriva da Ovidio è l'atteggiamento della dea che non è adirata alla vista di Atteone, bensì sorpresa, stupita. Il paesaggio boscoso con grotta e fonte d'acqua riconduce invece ancora una volta alle Metamorfosi. Per quanto riguarda la composizione, il Cesari si è ispirato all'affresco di Primaticcio nell'Appartament des Bains del Castello di Fontainebleau, che dovrebbe aver visto nel suo quasi certo viaggio a Parigi. Il pittore infatti fece parte, in quanto stimato artista romano, dell'Ambasceria di Pietro Aldobrandini nel 1600-1601, recatosi in Francia per trattare le nozze tra Maria de Medici ed Enrico IV. Sappiamo da un diario di viaggio che in questa occasione il Cesari dovette realizzare dei dipinti per Enrico IV; il termine post quem relativo alla realizzazione dell'opera è quindi 1600-1601. Tornato poi in Italia continuò a lavorare per Aldobrandini a Frascati, dove ritroviamo negli affreschi della villa a soggetto storico delle analogie compositive con l'opera in questione. Il dipinto non figura nelle raccolte reali di Francia se non nel 1641; precedentemente era presente nella collezione d'arte del banchiere e direttore della Compagnia delle Indie Orientali Edvard Jabach (presente il sigillo della collezione in basso a sinistra). Dal 1785 l'opera è menzionata al Louvre a Parigi con la falsa indicazione di “peint sur alabatre”. Poco dopo il 1601 il Cesari eseguì una seconda versione dell'opera su rame, oggi conservata a Budapest: qui Atteone fa un gesto con la mano come di pentimento per quello che ha appena fatto, protende cioè la mano all'indietro indicando la direzione nella quale vorrebbe tornare, chiedendo scusa. Il tema è in entrambi i casi realizzato in modo sciolto e brillante, con un paesaggio che fa da sfondo con colori pastello (celeste e giallo). Entrambe le versioni fanno parte di quel gruppo di opere erotico-mitologiche raggruppate intorno agli affreschi della villa Belvedere a Frascati di Pietro Aldobrandini. Più tardi il Cesari ripete ancora una volta la composizione, questa volta a tempera su carta, opera conservata in una collezione privata romana. Alla Galleria Borghese è invece presente una copia in olio su tela realizzata nel 1613 dal fratello del pittore, Bernardino Cesari.
Valentina Leonardi